Pagina:Zibaldone di pensieri V.djvu/215: differenze tra le versioni

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lettori non sono piú greci. Nondimeno l’interesse nell’Iliade è vivissimo continuo e durevole eziandio dopo la lettura. Esso è per Ettore e per li troiani. I lettori di qualsivoglia nazione, dopo tanti secoli, dopo tanti cangiamenti sofferti dallo spirito umano, tutti efficacemente e continuamente s’interessano leggendo la Iliade. E tutti non per altri che per li troiani e per Ettore, cioè per la sventura; e questo interesse {{ZbPagina|3144}} si riduce principalmente e come a suo capo alla compassione. Questa cioè è quel sentimento dominante e finale, che noi nella Iliade provando, chiamiamo interesse della medesima. Le quali cose mossero il Cesarotti a intitolar quel poema, come ho detto, ''La Morte d’Ettore'', misurando l’indole e l’intento primitivo, proprio e vero del poema dall’effetto ch’ei produce sopra di noi in tanta diversità e lontananza di tempo, di nazione, di opinioni, di carattere e di costumi. Nell’Eneide l’interesse della compassione non v’è. Dico non v’è, come interesse finale. Quello che si concepisce per Didone, quello per Niso ed Eurialo sono interessi episodici che non ci accompagnano se non per piccola parte del poema, né hanno che fare colla sostanza e collo scopo di esso, talmente che possono affatto risecarsi senza che la testura né il principale e finale effetto del poema per nulla se ne risentano o ne siano cangiati. L’interesse per l’Eroe felice, cioè per Enea, e per la parte felice, cioè per li troiani, dovette esser mediocre anche a principio, {{ZbPagina|3145}} come di sopra ho mostrato, ed ora è piú che mediocre. E ciò, non ostante che il lettore di {{AutoreCitato|Virgilio}} non possa quasi a meno di trasferire o di continuare ne’ fortunati troiani dell’Eneide quell’interesse ch’egli ha conceputo per gli sfortunati e vinti troiani della Iliade. Perocché egli è certissimo che l’Iliade oltre all’aver partorito l’Eneide, oltre all’averla nutrita e cresciuta, per dir cosí, del suo proprio latte, (voglio dire averle somministrato
<section begin=1 /><!--{{ZbPagina|3143}}-->lettori non sono piú greci. Nondimeno l’interesse nell’Iliade è vivissimo continuo e durevole eziandio dopo la lettura. Esso è per Ettore e per li troiani. I lettori di qualsivoglia nazione, dopo tanti secoli, dopo tanti cangiamenti sofferti dallo spirito umano, tutti efficacemente e continuamente s’interessano leggendo la Iliade. E tutti non per altri che per li troiani e per Ettore, cioè per la sventura; e questo interesse <section end=1 /><section begin=2 />{{ZbPagina|3144}} si riduce principalmente e come a suo capo alla compassione. Questa cioè è quel sentimento dominante e finale, che noi nella Iliade provando, chiamiamo interesse della medesima. Le quali cose mossero il Cesarotti a intitolar quel poema, come ho detto, ''La Morte d’Ettore'', misurando l’indole e l’intento primitivo, proprio e vero del poema dall’effetto ch’ei produce sopra di noi in tanta diversità e lontananza di tempo, di nazione, di opinioni, di carattere e di costumi. Nell’Eneide l’interesse della compassione non v’è. Dico non v’è, come interesse finale. Quello che si concepisce per Didone, quello per Niso ed Eurialo sono interessi episodici che non ci accompagnano se non per piccola parte del poema, né hanno che fare colla sostanza e collo scopo di esso, talmente che possono affatto risecarsi senza che la testura né il principale e finale effetto del poema per nulla se ne risentano o ne siano cangiati. L’interesse per l’Eroe felice, cioè per Enea, e per la parte felice, cioè per li troiani, dovette esser mediocre anche a principio, <section end=2 /><section begin=3 />{{ZbPagina|3145}} come di sopra ho mostrato, ed ora è piú che mediocre. E ciò, non ostante che il lettore di {{AutoreCitato|Virgilio}} non possa quasi a meno di trasferire o di continuare ne’ fortunati troiani dell’Eneide quell’interesse ch’egli ha conceputo per gli sfortunati e vinti troiani della Iliade. Perocché egli è certissimo che l’Iliade oltre all’aver partorito l’Eneide, oltre all’averla nutrita e cresciuta, per dir cosí, del suo proprio latte, (voglio dire averle somministrato<section end=3 />