Pagina:Zibaldone di pensieri V.djvu/195: differenze tra le versioni

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indispensabile perfezione {{ZbPagina|3107}} di lei, o come solo indizio che possa dimostrarla veramente perfetta e somma.
<section begin=1 /><!--{{ZbPagina|3106}}-->indispensabile perfezione <section end=1 /><section begin=2 />{{ZbPagina|3107}} di lei, o come solo indizio che possa dimostrarla veramente perfetta e somma.


Altra proprietà dell’uomo si è che laddove la superiorità, laddove la virtú congiunta colla fortuna non produce se non un interesse debole, cioè l’ammirazione; per lo contrario la sventura in qualunque caso, ma molto piú la sventura congiunta colla virtú, produce un interesse vivissimo, durevole e dolcissimo. Perocché l’uomo si compiace nel sentimento della compassione, perché nulla sacrificando, ottiene con essa quel sentimento che in ogni cosa e in ogni occasione gli è gratissimo, cioè una quasi coscienza di proprio eroismo e nobiltà d’animo. La sventura è naturalmente cagione di dispregio e anche d’odio verso lo sventurato, perché l’uomo per natura odia, come il dolore, cosí le idee dolorose. Mirando dunque, malgrado la sciagura, alla virtú dello sciagurato, e non abbominandolo né disdegnandolo quantunque tale, e finalmente giungendo a compassionarlo, cioè a voler coll’animo entrare a parte de’ suoi {{ZbPagina|3108}} mali, pare all’uomo di fare uno sforzo sopra se stesso, di vincere la propria natura, di ottenere una prova della propria magnanimità, di avere un argomento con cui possa persuadere a se medesimo di esser dotato di un animo superiore all’ordinario; tanto piú ch’essendo proprio dell’uomo l’egoismo, e il compassionevole interessandosi per altrui, stima con questo interesse che niun sacrifizio gli costa, mostrarsi a se stesso straordinariamente magnanimo, singolare, eroico, piú che uomo, poiché può non essere egoista, e impegnarsi seco medesimo per altri che per se stesso. Veggansi le pagg.3291-97. e 3480-2. L’uomo nel compatire s’insuperbisce e si compiace di se medesimo: quindi è ch’egli goda nel compatire, e ch’ei si compiaccia della compassione. L’atto della compassione è un atto d’orgoglio che l’uomo fa
Altra proprietà dell’uomo si è che laddove la superiorità, laddove la virtú congiunta colla fortuna non produce se non un interesse debole, cioè l’ammirazione; per lo contrario la sventura in qualunque caso, ma molto piú la sventura congiunta colla virtú, produce un interesse vivissimo, durevole e dolcissimo. Perocché l’uomo si compiace nel sentimento della compassione, perché nulla sacrificando, ottiene con essa quel sentimento che in ogni cosa e in ogni occasione gli è gratissimo, cioè una quasi coscienza di proprio eroismo e nobiltà d’animo. La sventura è naturalmente cagione di dispregio e anche d’odio verso lo sventurato, perché l’uomo per natura odia, come il dolore, cosí le idee dolorose. Mirando dunque, malgrado la sciagura, alla virtú dello sciagurato, e non abbominandolo né disdegnandolo quantunque tale, e finalmente giungendo a compassionarlo, cioè a voler coll’animo entrare a parte de’ suoi <section end=2 /><section begin=3 />{{ZbPagina|3108}} mali, pare all’uomo di fare uno sforzo sopra se stesso, di vincere la propria natura, di ottenere una prova della propria magnanimità, di avere un argomento con cui possa persuadere a se medesimo di esser dotato di un animo superiore all’ordinario; tanto piú ch’essendo proprio dell’uomo l’egoismo, e il compassionevole interessandosi per altrui, stima con questo interesse che niun sacrifizio gli costa, mostrarsi a se stesso straordinariamente magnanimo, singolare, eroico, piú che uomo, poiché può non essere egoista, e impegnarsi seco medesimo per altri che per se stesso. Veggansi le pagg.3291-97. e 3480-2. L’uomo nel compatire s’insuperbisce e si compiace di se medesimo: quindi è ch’egli goda nel compatire, e ch’ei si compiaccia della compassione. L’atto della compassione è un atto d’orgoglio che l’uomo fa<section end=3 />