Pagina:Zibaldone di pensieri I.djvu/318: differenze tra le versioni

Alebot (discussione | contributi)
m Edit by Alebot
Corpo della pagina (da includere):Corpo della pagina (da includere):
Riga 1: Riga 1:
<section begin=1 /><!--{{ZbPagina|184}}-->
<section begin=1 /><!--{{ZbPagina|183}}--><section end=1 /><section begin=2 />{{ZbPagina|184}} che questa vista, quantunque appartenga intieramente alle facoltà dell’anima, e in nessun modo ai sensi, tuttavia non dipende affatto dalla volontà, e se pure appartiene alla memoria, le appartiene, possiamo dire esternamente, perché tu in quel punto neanche ti ricordavi delle cose vedute, ed è piuttosto quella vista che te le richiama alla memoria, di quello che la stessa memoria te le richiami al pensiero. Effettivamente molte volte neanche pensandoci apposta, ci ricorderemmo di alcune cose, che all’improvviso ci vengono in immagine viva e vera dinanzi agli occhi. E notate che ciò accade senza nessun motivo e nessuna occasione presente, che tocchi nella memoria quel tasto, perché del rimanente molte volte accade che una leggerissima circostanza, quasi movendo una molla della nostra memoria, ci richiami idee e ricordanze anche lontanissime, senza nessuno intervento della volontà, e senza che i nostri pensieri d’allora ci abbiano alcuna parte.
{{ZbPensiero|184/1}}Piú volte m’é accaduto di addormentarmi con alcuni versi o parole in bocca, ch’io avrò ripetute spesso dentro la giornata, o dentro qualche ora prima del sonno, o vero coll’aria di qualche cantilena in mente; dormire pensando o sognando tutt’altro, e risvegliarmi ripetendo fra me gli stessi versi o parole, o colla stess’aria nella fantasia. Pare che l’anima nell’addormentarsi deponga i suoi pensieri e immagini d’allora, come deponiamo i vestimenti, in un luogo alla mano e vicinissimo, affine di ripigliarli, subito svegliata. E questo pure senza operazione della volontà. Parimente s’io dentro la giornata aveva letto per un certo tempo del greco o latino o francese o italiano elegante ec. quando la mia memoria era piú pronta, (perché ora<section end=1 /><section begin=2 />{{ZbPagina|185}} che nello svegliarmi la trovo ottusissima, non mi accade cosí facilmente) mi risvegliava con varie frasi di quelle lingue in mente, e quasi parlando quelle lingue fra me, non ostante che nel sonno, nessuna idea me le avesse richiamate. Questo pure involontariamente. E cosí si può dire di cento altre idee d’ogni sorta, che al risvegliarti si presentano spontaneamente affatto (24 luglio 1820).

Qualunque cosa ci richiama l’idea dell’infinito è piacevole per questo, quando anche non per altro. Cosí un filareo un viale d’alberi di cui non arriviamo a scoprire il fine. Questo effetto è come quello della grandezza, ma tanto maggiore quanto questa è determinata, e quella si può considerare come una grandezza incircoscritta. Ci piacerà anche piú quel viale quanto sarà piú spazioso, piú se sarà scoperto, arieggiato e illuminato, che se sarà chiuso al di sopra, o poco arieggiato, ed oscuro, almeno quando l’idea di una grandezza infinita che ci deve presentare deriva da quella grandezza che cade sotto i sensi, e non è opera totalmente dell’immaginazione, la quale come ho detto, si compiace alcune volte del circoscritto, e di non {{pt|ve-|vedere }}<section end=3 />

{{ZbPensiero|184/1}}Piú volte m’é accaduto di addormentarmi con alcuni versi o parole in bocca, ch’io avrò ripetute spesso dentro la giornata, o dentro qualche ora prima del sonno, o vero coll’aria di qualche cantilena in mente; dormire pensando o sognando tutt’altro, e risvegliarmi ripetendo fra me gli stessi versi o parole, o colla stess’aria nella fantasia. Pare che l’anima nell’addormentarsi deponga i suoi pensieri e immagini d’allora, come deponiamo i vestimenti, in un luogo alla mano e vicinissimo, affine di ripigliarli, subito svegliata. E questo pure senza operazione della volontà. Parimente s’io dentro la giornata aveva letto per un certo tempo del greco o latino o francese o italiano elegante ec. quando la mia memoria era piú pronta, (perché ora<section end=2 /><section begin=3 />{{ZbPagina|185}} che nello svegliarmi la trovo ottusissima, non mi accade cosí facilmente) mi risvegliava con varie frasi di quelle lingue in mente, e quasi parlando quelle lingue fra me, non ostante che nel sonno, nessuna idea me le avesse richiamate. Questo pure involontariamente. E cosí si può dire di cento altre idee d’ogni sorta, che al risvegliarti si presentano spontaneamente affatto (24 luglio 1820).
Qualunque cosa ci richiama l’idea dell’infinito è piacevole per questo, quando anche non per altro. Cosí un filareo un viale d’alberi di cui non arriviamo a scoprire il fine. Questo effetto è come quello della grandezza, ma tanto maggiore quanto questa è determinata, e quella si può considerare come una grandezza incircoscritta. Ci piacerà anche piú quel viale quanto sarà piú spazioso, piú se sarà scoperto, arieggiato e illuminato, che se sarà chiuso al di sopra, o poco arieggiato, ed oscuro, almeno quando l’idea di una grandezza infinita che ci deve presentare deriva da quella grandezza che cade sotto i sensi, e non è opera totalmente dell’immaginazione, la quale come ho detto, si compiace alcune volte del circoscritto, e di non vedere piú che tanto per potere immaginare ec (25 luglio 1820).
In ordine alle donne, diceva taluno, ho già perdute due virtú teologali, la fede e la speranza. Resta l’amore, cioè la terza virtú, della quale per anche non mi posso spogliare, con tutto che non creda né speri piú niente. Ma presto mi verrà fatto, e allora finalmente mi appiglierò alla contrizione.

(25 luglio 1820).<section end=3 />
Piè di pagina (non incluso)Piè di pagina (non incluso)
Riga 1: Riga 1:

<references/>