Pagina:Zibaldone di pensieri II.djvu/104: differenze tra le versioni

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niente d’infinito, non piú che quello di qualsivoglia animale. E cosí non si può dedur nulla in questo proposito, dalla infinità dei nostri desideri, conseguenza della sopraddetta e spiegata {{ZbPagina|611}} infinità dell’amor proprio. Né dalla nostra infinita, o vogliamo dire indefinita capacità di amare, cioè di essere piacevolmente affetti e inclinati verso gli oggetti; conseguenza dell’infinito amor del piacere, il quale deriva immediatamente e necessariamente dall’amor proprio infinito, o senza limiti né misura (4 feb. 1821).
<section begin=1 /><!--{{ZbPagina|610}}-->niente d’infinito, non piú che quello di qualsivoglia animale. E cosí non si può dedur nulla in questo proposito, dalla infinità dei nostri desideri, conseguenza della sopraddetta e spiegata <section end=1 /><section begin=2 />{{ZbPagina|611}} infinità dell’amor proprio. Né dalla nostra infinita, o vogliamo dire indefinita capacità di amare, cioè di essere piacevolmente affetti e inclinati verso gli oggetti; conseguenza dell’infinito amor del piacere, il quale deriva immediatamente e necessariamente dall’amor proprio infinito, o senza limiti né misura (4 feb. 1821).




{{ZbPensiero|611/1}} Alla p. 112. Prima di Gesú Cristo, o fino a quel tempo, e ancor dopo, da’ pagani, non si era mai considerata la società come espressamente, e per sua natura, nemica della virtú, e tale che qualunque individuo il piú buono ed onesto, trovi in lei senza fallo e inevitabilmente, o la corruzione, o il sommo pericolo di corrompersi. E infatti sino a quell’ora, la natura della società, non era stata espressamente e perfettamente tale. Osservate gli scrittori antichi, e non ci troverete mai quest’idea del ''mondo nemico del bene'', che si trova a ogni passo nel Vangelo, e negli scrittori moderni ancorché profani. Anzi (ed avevano {{ZbPagina|612}} ragione in quei tempi) consideravano la società e l’esempio come naturalmente capace di stimolare alla virtú, e di rendere virtuoso anche chi non lo fosse: e in somma il buono e la società, non solo non parevano incompatibili, ma cose naturalmente amiche e compagne (4 feb. 1821).
{{ZbPensiero|611/1}} Alla p. 112. Prima di Gesú Cristo, o fino a quel tempo, e ancor dopo, da’ pagani, non si era mai considerata la società come espressamente, e per sua natura, nemica della virtú, e tale che qualunque individuo il piú buono ed onesto, trovi in lei senza fallo e inevitabilmente, o la corruzione, o il sommo pericolo di corrompersi. E infatti sino a quell’ora, la natura della società, non era stata espressamente e perfettamente tale. Osservate gli scrittori antichi, e non ci troverete mai quest’idea del ''mondo nemico del bene'', che si trova a ogni passo nel Vangelo, e negli scrittori moderni ancorché profani. Anzi (ed avevano <section end=2 /><section begin=3 />{{ZbPagina|612}} ragione in quei tempi) consideravano la società e l’esempio come naturalmente capace di stimolare alla virtú, e di rendere virtuoso anche chi non lo fosse: e in somma il buono e la società, non solo non parevano incompatibili, ma cose naturalmente amiche e compagne (4 feb. 1821).




{{ZbPensiero|612/1}} Alla p. 535. fine. Cosí anche il piacere della speranza, non è mai piacere presente, nemmeno in quanto speranza; cioè l’atto del piacere della speranza, cammina in quel medesimo modo che ho notato nell’atto del piacere presente, o della rimembranza o considerazione del piacere passato (5 feb. 1821).
{{ZbPensiero|612/1}} Alla p. 535. fine. Cosí anche il piacere della speranza, non è mai piacere presente, nemmeno in quanto speranza; cioè l’atto del piacere della speranza, cammina in quel medesimo modo che ho notato nell’atto del piacere presente, o della rimembranza o considerazione del piacere passato (5 feb. 1821).<section end=3 />