Pagina:Zibaldone di pensieri II.djvu/55: differenze tra le versioni

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Cosí i nostri principi. Regnano, e saprebbero servire (Cosí i nostri magistrati, ministri, grandi. Regnano e servono. Sanno riunir l’una cosa all’altra. Le mettono effettivamente in opera ambedue). Ma come sarebbero capacissimi di servitú (e perciò appunto che regnano come fanno, e che son tali signori), cosí sarebbero incapaci di libertà e di uguaglianza. Questa non può né convenire particolarmente, né conservarsi in una nazione, senza le qualità e le forze della natura. Un uomo o una nazione snaturata, non può esser libera, né {{ZbPagina|525}} molto meno uguale: non può se non regnare o servire. La libertà richiede ''homines non mancipia'', ἄνδρας καὶ οὺκ ἀνδράποδα, e chi è schiavo o dei padroni servendo, o di se stesso, dell’egoismo, e delle basse inclinazioni regnando, non può comportare lo stato libero, né uguale. L’amor di se stesso è inseparabile dall’uomo. Questo lo porta ad innalzarsi. Dove l’innalzamento ec. in somma la soddisfazione dell’amor proprio è impossibile, quivi l’uomo non può vivere. Ora nello stato di perfetta libertà ed uguaglianza, l’individuo non fa progressi senza virtú e pregi veri, perché la sua fortuna, gli onori, le ricchezze, i vantaggi ec. dipendono dalla moltitudine, la quale non potendo giudicare secondo gli affetti e inclinazioni particolari, perché queste son varie e infinite, e non si accordano insieme, bisogna che giudichi secondo le regole e le opinioni universali, cioè le vere. Chi dunque manca di virtú e pregi veri (e tali sono gli uomini corrotti), non può sopportare la libertà e l’uguaglianza, né trovar vita in questo stato (18 gennaio 1821).
<section begin=1 /><!--{{ZbPagina|524}}-->Cosí i nostri principi. Regnano, e saprebbero servire (Cosí i nostri magistrati, ministri, grandi. Regnano e servono. Sanno riunir l’una cosa all’altra. Le mettono effettivamente in opera ambedue). Ma come sarebbero capacissimi di servitú (e perciò appunto che regnano come fanno, e che son tali signori), cosí sarebbero incapaci di libertà e di uguaglianza. Questa non può né convenire particolarmente, né conservarsi in una nazione, senza le qualità e le forze della natura. Un uomo o una nazione snaturata, non può esser libera, né <section end=1 /><section begin=2 />{{ZbPagina|525}} molto meno uguale: non può se non regnare o servire. La libertà richiede ''homines non mancipia'', ἄνδρας καὶ οὺκ ἀνδράποδα, e chi è schiavo o dei padroni servendo, o di se stesso, dell’egoismo, e delle basse inclinazioni regnando, non può comportare lo stato libero, né uguale. L’amor di se stesso è inseparabile dall’uomo. Questo lo porta ad innalzarsi. Dove l’innalzamento ec. in somma la soddisfazione dell’amor proprio è impossibile, quivi l’uomo non può vivere. Ora nello stato di perfetta libertà ed uguaglianza, l’individuo non fa progressi senza virtú e pregi veri, perché la sua fortuna, gli onori, le ricchezze, i vantaggi ec. dipendono dalla moltitudine, la quale non potendo giudicare secondo gli affetti e inclinazioni particolari, perché queste son varie e infinite, e non si accordano insieme, bisogna che giudichi secondo le regole e le opinioni universali, cioè le vere. Chi dunque manca di virtú e pregi veri (e tali sono gli uomini corrotti), non può sopportare la libertà e l’uguaglianza, né trovar vita in questo stato (18 gennaio 1821).




{{ZbPensiero|525/1}} ''Sane quod Poematis delectari se ait, id'' {{ZbPagina|526}} ''non abhorret ab huius compendii scriptore, quando stylus eius est in historia declamatorius, ac Poetico propior, adeo ut etiam hemistichia Virgilii profundat'': dice G. G. Vossio di {{AutoreCitato|Floro}} (de Historic. latt. l.1). Nel lib. IV.
{{ZbPensiero|525/1}} ''Sane quod Poematis delectari se ait, id'' <section end=2 /><section begin=3 />{{ZbPagina|526}} ''non abhorret ab huius compendii scriptore, quando stylus eius est in historia declamatorius, ac Poetico propior, adeo ut etiam hemistichia Virgilii profundat'': dice G. G. Vossio di {{AutoreCitato|Floro}} (de Historic. latt. l.1). Nel lib. IV.<section end=3 />