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Nel 1845 il conte Ilarione Petitti di Roreto, ''Consigliere di Stato ordinario di S.M. Sarda e Socio di varie Accademie,'' si arrotolò metaforiche maniche ed esplose il suo “''Delle strade ferrate italiane e del miglior ordinamento di esse, Cinque Discorsi” <ref>''Delle strade ferrate italiane e del miglior ordinamento di esse. Cinque Discorsi di Carlo Ilarione Petitti''”, Capolago, Tipografia e Libreria Elvetica, 1845.</ref> ''un corposo testo di 652 pagine, fondamentale per lo studio economico e politico delle linee ferroviarie del nostro Paese di cui all’epoca si parlava come possibili, probabili anzi certe. I “Cinque Discorsi” di Petitti prendevano in osservazione i vari aspetti della progettazione, della costruzione e della gestione delle linee ferroviarie. Da una Torino isolata dal resto della Penisola dalla politica degli Asburgo, Petitti indicava “quali” erano le linee da costruire in Italia. In un’Italia ideale, senza confini. Questo non poteva essere accettato da una comunità di staterelli la cui politica era eterodiretta da Francia e Austria.
E infatti le reazioni ci furono, oscillanti fra l’apprezzamento, ma ironico e pieno di “distinguo”, in “''{{TestoCitato|Del danno che avverrebbe allo Stato Pontificio|Del danno che avverrebbe allo Stato Pontificio da qualunque strada ferrata fra la Toscana e l’Adriatico}}''
Non era (solo) patriottismo imperiale; uno degli obiettivi era il leggendario collegamento “La Valigia delle Indie” che doveva unire Londra con le sue colonie indiane. Il solo passare per qualche città ne doveva, nell’immaginario della rurale Italia dell’epoca, arricchire come ''nawab'' i fortunati abitanti, lambiti dalle dovizie del misterioso Oriente.
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''Ferrovia da Milano verso Piacenza. ''
''In esecuzione delle condizioni stabilite dalla convenzione 1 maggio
Sfortunatamente, la prima concessionaria, la “Società della Strada Ferrata dell’Italia Centrale”, economicamente poco attrezzata, dopo aver intrapreso i lavori da Piacenza a Bologna, si trovò in grandi difficoltà nella ben più impegnativa tratta appenninica. Per cinque anni i lavori si trascinarono stancamente fra discussioni e proteste, anche da parte di abili tecnici che anonimamente segnalavano:
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La linea Milano-Piacenza pian piano si distese lungo il parallelo asse della Via Emilia utilizzando quanto era già stato costruito. Qui avviene uno strano fatto a cui finora non ho trovato risposta. Nasce il “''Mistero della stazione di Bologna''”. Seguitemi.
Dopo accanite discussioni iniziate già nel 1842 e dopo presentazioni di memorie e conferenze,
''Nel 1853 si procede al materiale tracciamento della linea con le decisioni intorno alle collocazioni delle grandi stazioni […] Molto opportunamente la discussione cittadina (di Bologna) verte sull’ubicazione della stazione, che la società concessionaria intende collocare in zona esterna, oltre la circonvallazione, tra porta delle Lame e porta San Felice''
<ref>Lupano, A Dal Zoppo, ''Nascita di Bologna, Centrale delle correnti ferroviarie'', in R. Dirindin - E. Pirazzoli (a cura di), “Bologna Centrale, Città e ferrovia tra metà Ottocento e oggi”, CLUEB, Bologna, 2008, pag. 15.</ref>
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La successiva mattina di domenica 14 dicembre, i treni “non celebrativi” hanno cominciato un meno appariscente ma altrettanto rapido servizio di quotidianità, accorciando ulteriormente l’Italia, avvicinandone gli abitanti.
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