Pagina:Zibaldone di pensieri II.djvu/26: differenze tra le versioni

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come quel tale era pazientissimo de’ travagli e de’ pericoli, attivo nei negozi, vigilante al bisogno, atto alla guerra, o ai maneggi politici, soggiunge poi, che nell’ozio era molle ed effeminato, o almeno si compiaceva anche dell’ozio, e dei diletti pacifici, e insomma delle frivolezze, e che tanto era pigro e voluttuoso nell’ozio, quanto laborioso diligente e tollerante nel negozio. Vedi il libro II. cap. 88. sect.2. cap. 98. sect.3. cap. 102. sect.3. cap. 105. sect.3. Dappertutto fa menzione dell’ozio, e sempre li trova inclinati anche a questo e non poco, sebbene sieno gli uomini piú attivi di quel secolo. Cosa ignota agli antichi Eroi romani, i quali nell’ozio non trovavano né potevano trovare nessun piacere. E infatti questo lineamento {{ZbPagina|475}} nei ritratti sbozzati da Velleio non si trova prima del detto tempo che fu l’epoca della decisa e sviluppata corruzione de’ Romani. Di Lucullo e di Antonio è cosa ben nota in questo proposito (Di Scipione Emiliano parla bensí Velleio riguardo all’ozio, 1.13. sect.3. ma molto diversamente). Notate dunque gli effetti dell’incivilimento e della corruzione. Notate quanto ella porti per sua natura all’inazione, all’ozio, e alla pigrizia: che anche gli uomini piú splendidi e attivi, in questa condizione della società, inclinano naturalmente all’inazione. La causa è il piacere che nell’antico stato di Roma non si poteva trovar nell’ozio, e perciò l’uomo desiderando il piacere e la vita si dava necessariamente all’azione: e cosí accade in tutte le nazioni non ancora o mediocremente incivilite. La causa è pure l’egoismo, per cui l’uomo non si vuole scomodare a profitto altrui, se non quanto è necessario, o quanto giova a se stesso. La causa è la mancanza delle {{pt|il-|illusioni, }}
come quel tale era pazientissimo de’ travagli e de’ pericoli, attivo nei negozi, vigilante al bisogno, atto alla guerra, o ai maneggi politici, soggiunge poi, che nell’ozio era molle ed effeminato, o almeno si compiaceva anche dell’ozio, e dei diletti pacifici, e insomma delle frivolezze, e che tanto era pigro e voluttuoso nell’ozio, quanto laborioso diligente e tollerante nel negozio. Vedi il libro II, cap. 88, sect. 2, c. 98, sect. 3, c. 102, sect. 3, c. 105, sect. 3. Dappertutto fa menzione dell’ozio, e sempre li trova inclinati anche a questo e non poco, sebbene sieno gli uomini piú attivi di quel secolo. Cosa ignota agli antichi Eroi romani, i quali nell’ozio non trovavano né potevano trovare nessun piacere. E infatti questo lineamento {{ZbPagina|475}} nei ritratti sbozzati da Velleio non si trova prima del detto tempo che fu l’epoca della decisa e sviluppata corruzione de’ Romani. Di {{AutoreCitato|Lucullo}} e di Antonio è cosa ben nota in questo proposito (Di {{AutoreCitato|Scipione Emiliano}} parla bensí {{AutoreCitato|Velleio}} riguardo all’ozio, 1.13. sect.3. ma molto diversamente). Notate dunque gli effetti dell’incivilimento e della corruzione. Notate quanto ella porti per sua natura all’inazione, all’ozio, e alla pigrizia: che anche gli uomini piú splendidi e attivi, in questa condizione della società, inclinano naturalmente all’inazione. La causa è il piacere che nell’antico stato di Roma non si poteva trovar nell’ozio, e perciò l’uomo desiderando il piacere e la vita si dava necessariamente all’azione: e cosí accade in tutte le nazioni non ancora o mediocremente incivilite. La causa è pure l’egoismo, per cui l’uomo non si vuole scomodare a profitto altrui, se non quanto è necessario, o quanto giova a se stesso. La causa è la mancanza delle {{pt|il-|illusioni, }}