Pagina:Zibaldone di pensieri I.djvu/123: differenze tra le versioni

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<noinclude>''pria'' </noinclude>''forza, inconsapevoli'' producono nel nostro animo quegli effetti, bisogna trasportarli come sono più meno nella poesia, e che così bene e divinamente imitati, aggiuntaci la maraviglia e l’attenzione alle minute parti loro che nella realtà non si notavano, e nella imitazione si notano, è forza che destino in noi questi stessissimi sentimenti che costoro vanno cercando, questi sentimenti che costoro non ci sanno di grandissima lunga destare; e che il poeta quanto più parla in persona propria e quanto più aggiunge di suo, tanto meno imita, (cosa già notata da {{AutoreCitato|Aristotele}}, al quale volendo o non volendo senz’avvedersene si ritorna) e che il sentimentale non è prodotto dal sentimentale, ma dalla natura, ''qual ella è'', e la natura ''qual ella è'' bisogna imitare, ed hanno imitata gli antichi, onde una similitudine d’{{AutoreCitato|Omero}} semplicissima senza spasimi e senza svenimenti, e un’ode d’{{AutoreCitato|Anacreonte|Anacreonte}}, vi destano una folla di fantasie, e vi riempiono la mente e il cuore senza paragone più che cento mila versi sentimentali; perchè quivi parla la natura, e qui parla il poeta: e non si {{ZbPagina|17}} avvedono che appunto questo grand’ideale dei tempi nostri, questo conoscere così intimamente il cuor nostro, questo analizzarne, prevederne, distinguerne ad uno ad uno tutti i più minuti affetti, quest’arte insomma psicologica, distrugge l’illusione senza cui non ci sarà poesia in sempiterno, distrugge la grandezza dell’animo e delle azioni; (v. quel che ho detto in altro pensiero) e che mentre l’uomo (preso in grande) si allontana da quella puerizia, in cui tutto è singolare e maraviglioso, in cui l’immaginazione par che non abbia confini, da quella puerizia che così era propria del mondo a tempo degli antichi, come è propria di ciascun uomo al suo tempo, perde la capacità di esser sedotto, diventa artificioso e malizioso, non sa più palpitare per una cosa che conosce vana, cade tra le branche della ragione, e se anche palpita (''perchè il cuor nostro non è cangiato ma la mente''
<noinclude>''pria'' </noinclude>''forza, inconsapevoli'' producono nel nostro animo quegli effetti, bisogna trasportarli come sono piú meno nella poesia, e che cosí bene e divinamente imitati, aggiuntaci la maraviglia e l’attenzione alle minute parti loro che nella realtà non si notavano, e nella imitazione si notano, è forza che destino in noi questi stessissimi sentimenti che costoro vanno cercando, questi sentimenti che costoro non ci sanno di grandissima lunga destare; e che il poeta quanto piú parla in persona propria e quanto piú aggiunge di suo, tanto meno imita, (cosa già notata da {{AutoreCitato|Aristotele}}, al quale volendo o non volendo senz’avvedersene si ritorna) e che il sentimentale non è prodotto dal sentimentale, ma dalla natura, ''qual ella è'', e la natura ''qual ella è'' bisogna imitare, ed hanno imitata gli antichi, onde una similitudine d’{{AutoreCitato|Omero}} semplicissima senza spasimi e senza svenimenti, e un’ode d’{{AutoreCitato|Anacreonte|Anacreonte}}, vi destano una folla di fantasie, e vi riempiono la mente e il cuore senza paragone piú che cento mila versi sentimentali; perché quivi parla la natura, e qui parla il poeta: e non si {{ZbPagina|17}} avvedono che appunto questo grand’ideale dei tempi nostri, questo conoscere cosí intimamente il cuor nostro, questo analizzarne, prevederne, distinguerne ad uno ad uno tutti i piú minuti affetti, quest’arte insomma psicologica, distrugge l’illusione senza cui non ci sarà poesia in sempiterno, distrugge la grandezza dell’animo e delle azioni; (v. quel che ho detto in altro pensiero) e che mentre l’uomo (preso in grande) si allontana da quella puerizia, in cui tutto è singolare e maraviglioso, in cui l’immaginazione par che non abbia confini, da quella puerizia che cosí era propria del mondo a tempo degli antichi, come è propria di ciascun uomo al suo tempo, perde la capacità di esser sedotto, diventa artificioso e malizioso, non sa piú palpitare per una cosa che conosce vana, cade tra le branche della ragione, e se anche palpita (''perché il cuor nostro non è cangiato ma la mente''