Brani di vita/Libro primo/In Sacris: differenze tra le versioni

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Giù, fumano le ville nascoste tra i frutteti. Oggi si cibano coloro che digiunavano ieri. Ecco le messi d'oro, le viti opime, la prosperità della pace, ed è pur dolce pensare che per questa pace si è fatto qualche cosa anche noi. Quando starò per addormentarmi nel sonno che non ha fine mai, mi voglio far portare a quella finestra là, voglio dare un'ultima e lunga occhiata a questa terra che altri maledisse e noi benedicemmo, a questa patria dei miei affetti, dove nacquero i miei figli nello spirito, dove riposano i miei cari morti nella pace. Con quello sguardo la vedrò tutta, bella, grande, felice, e non mi dorrà di morire in terra di libertà: con quello sguardo voglio darle l'ultima benedizione; non la benedizione del rito scomparso, ma quella del cuore, la benedizione del vecchio che abbandona la vita sereno, senza dolore e senza rimorsi. Poi mi seppelliranno sotto una pietra bianca qui, all'ombra delle querce, ed i fringuelli faranno i nidi a primavera tra i rami, e nelle notti serene canteranno i rosignoli nei cespugli di rose. Quelli che ora sono bimbi, diverranno uomini, e passando di qui, guarderanno la mia pietra coperta di fiori selvatici e di muschi morbidi e diranno: Povero curato! Era un galantuomo e ci ha voluto bene!
Sì, vi ho proprio voluto bene, parrocchiani miei. Io non vi ho insegnato ad aver paura di Dio, non vi ho imbrogliato la testa e la coscienza con precetti minuti e con obblighi di pratiche superstiziose. Vi ho detto: non fate male a nessuno; amate il vostro padre, la vostra libertà, i vostri fratelli; questa era tutta la dottrina del povero curato. Vi ricordate le sere lunghe d'inverno, quando nevicava fitto ed io accanto al fuoco vi narravo la storia del nostro paese? Ebbene, io non v'ho insegnato mai ad odiare nessuno, non v'ho insegnato ad odiar nulla, fuori che il male. Io ve la predicavo davvero quella legge d'amore, di tolleranza, di rettitudine di cuore, per la quale da giovane avevo combattuto i sacerdoti che maledicono, che ingannano, che odiano. Questa chiesa non era la chiesa delle scomuniche, ma della carità e della fratellanza, e voi non avevate paura della mia logora vestaccia nera; e quando d'estate io passava lungo i margini de' campi leggendo {{AutoreCitato|Publio Virgilio Marone|Virgilio}}, le belle mietitrici si rizzavano sui solchi, sorridenti nel sole splendido, coi capelli dati ai liberi venti delle nostre montagne, e tendendomi le braccia nude, mi gridavano: buon passeggio, signor curato! Ed io alle vostre belle mietitrici non ho guastato nè la coscienza, nè altro; questo proprio lo posso dire!...
Ehi, dico, signor curato, dove andiamo a finire? Vedete un po' che razza di sciocchezze mi girano pel cervello a guardare quella chiesina solitaria sulla vetta di Monte Calderaro! Sì, davvero sarei un buon curato io, con quell'odore di santità che ho indosso! Bisognerebbe proprio che l'Eminentissimo Arcivescovo fosse matto da legare per sacramentarmi curato! E poi tutto questo non è che un sogno impossibile. Certo sarei un buon curato, meglio di molti e di moltissimi, ma quelle benedette mietitrici dovrei confessarle io, e.... basta!