Pensieri e discorsi/Un poeta di lingua morta: differenze tra le versioni

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==I.==
 
E vecchio era e solitario, e schivava il consorzio e la vista degli uomini. Raccontano che si facesse portare solo in luoghi solinghi, dove scendeva e passeggiava: per che cosa se non per ascoltare ciò che gli avrebbero sussurrato le creature de’ suoi poemi? per ritrovarsi nel mondo suo, cui discinde dal nostro l’inguadabile oceano della morte? Perchè egli era veramente un antico, un evaso al passato, un superstite alla rovina della poesia pagana; e provava lo spasimo del passato non senza mostrare ai lieti o indifferenti del nostro tempo, nostro e non suo, quel corrugamento della fronte, che pare disprezzo ed è dolore. Diceva sorridendo d’essere già vissuto tra Cicerone e {{AutoreCitato|Publio Virgilio Marone|Virgilio}}, e che si piacque di rivivere ora. Ma io risalirei più lontano. In lui era il Greco; e qualche sua poesia sente la mollezza ardente dell’antichissimo suo concittadino Ibyco. E non importa soggiungere che poetava anche in greco con elegante facilità. Ma, greco o latino, egli sdegnava il presente, nè solo in letteratura e filologia, sì un poco in tutto. Anche scrivendo l’italiano, egli non voleva essere de’ nostri, e usava la lingua del cinquecento. In somma egli viveva di cose svanite, e il suo pensiero aveva continuamente bisogno di risuscitare bellezze morte.
 
Era, se si vuole, l’ultimo degli umanisti, coi quali aveva in comune, oltre il culto della poesia e della letteratura antica, anche altro: per esempio, se non con molti, almeno con alcuni di essi, la conciliazione nel proprio cuore del paganesimo, se non altro formale, con la devozione cristiana. Ricordo di sfuggita il Poliziano e Pico della Mirandola che vollero essere seppelliti in tonaca di domenicani. E di lui tutti sanno, anche perchè ricordato sul suo feretro in iscrizioni latine, che era piissimo e che diceva molti, credo cinque, rosari al giorno. E nota è anche l’amicizia che lo legava al vecchio Pontefice; amicizia su cui i sentimenti religiosi valevano almeno quanto la comunanza degli studi e del gusto.
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E opera di mano moderna, e seppellita, in certo modo, perchè prendesse la patina e muffa d’antico; ma la mano è d’un Michelangelo o, meglio, d’un Cellini. Sì che l’illusione è grande; e ci fa dire che pochi poeti Alessandrini e Romani avrebbero saputo concinnare con altrettanta grazia nativa, tra lo stil dei moderni e il sermon prisco, tra le reminiscenze del mondo Omerico ed Esiodeo e le particolarità usuali della casa e della strada, un poema così perfetto.
 
Il quale oh! avessi potuto intendere dalla tua bocca, o poeta! Dicono che eri recitatore armonioso e persuasivo. Avrei voluto sentirti ripetere questi versi soavissimi, che continuano {{AutoreCitato|Publio Virgilio Marone|Virgilio}}, in faccia al mare che tu hai popolato di ninfe, vedendo le cimbe dei pescatori di pesce-spada, di che hai favellato al mondo. Ma tu ora non reciterai più soave e piano. La morte ha chiuso per sempre la tua bocca di poeta antico. Eppure non sei morto. I poeti non muoiono quando lasciano tanta vita d’imagini.
 
Queste ricambiano a lui il sacro dono. Vennero alla vita per lui, poichè prima erano confuse nell’oscurità e nel caos, per così dire, della natura e della psiche, ed esso le trasse fuori e soffiò loro sopra, ed apparvero a tutti: ora sono esse quasi l’alito incessante d’una sua seconda vita. E chiunque udrà in questo mare bellissimo, ripercosse dai monti le voci dei pescatori trionfali, chiunque fermerà gli occhi su una paranza immobile ad esplorare, chiunque udrà il tintinnio cadenzato dei cembali, penserà a te, come a vivente, come ad immortale, o poeta sepolto; e vedendo uscir dalla sua grotta di conchiglie iridescenti la fata Morgana e addensare con la spola arguta del vento sull’ordito della bonaccia la sua trama variopinta, e distendere la meravigliosa tela in cui ondeggiano le città e si moltiplicano le cose, ripeterà il tuo nome, come di mago non impari e non diverso, o Diego Vitrioli.