Pagina:Zibaldone di pensieri I.djvu/225: differenze tra le versioni

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<section begin=1 />Così se ti abbatti a passare, poniamo, per un luogo dove si faccia giustizia, tu senti ribrezzo di quella esecuzione, e pure io metto pegno che non ti puoi tenere che non alzi gli occhi per vederla così di sfuggita, e poi rivolgerli immediatamente altrove. V. a tal proposito un luogo notabile di {{Ac|Platone}}, ''Opere'', Ed. Astii, t.IV, p.236, lin. 8-16. E così di ogni cosa che ci faccia ribrezzo: così se tu hai corso un pericolo che ti spaventi, ti si stringe il cuore in pensarci, non hai forza di fermarti in quel pensiero di quel momento di quel caso di quella vicinanza della morte ec., ma neanche hai forza di cacciarlo, anzi bisogna pur che tra il volere e il non volere ci lasci andare un’occhiata. Similmente, se ti si affaccia qualche pensiero che ti addolori, la ricordanza di qualche cosa che ti faccia vergognare teco stesso ec. La ragione di questo effetto non è certo quell’inebbriamento che dice la {{Ac|Staël}}, e nemmeno la curiosità come può vedere chiunque ci faccia un poco di considerazione. Piuttosto direi che quell’ignoto ci fa più pena che il noto; e siccome quell’oggetto ci spaventa o ci abbrividisce o ci attrista, non sappiamo lasciarlo stare così intatto, e anche con ribrezzo, abbiamo pure una certa voglia di dargli una tal quale squadrata che ce lo faccia conoscere alquanto. Forse anche, e così credo, proviene dall’amore dello straordinario, e odio naturale della monotonia e della noia ch’è ingenito in tutti gli uomini, e offrendosi un oggetto che rompe questa monotonia, ed esce dell’ordine comune, quantunque ci paia<section end=1 /> <section begin=2 />{{ZbPagina|90}} più grave assai della noia, di cui forse anche, in quel punto non ci accorgiamo e non abbiamo nessun pensiero, pur troviamo un certo piacere in quella scossa in quell’agitazione, che ci produce la vista fuggitiva di esso oggetto. La quale spiegazione si ravvicina a quella della {{Ac|Staël}}, giacchè la noia non è altro che il vuoto dell’anima, ch’è riempito, come ella dice da quel pensiero, e occupato intieramente<section end=2 />
<section begin=1 />Così se ti abbatti a passare, poniamo, per un luogo dove si faccia giustizia, tu senti ribrezzo di quella esecuzione, e pure io metto pegno che non ti puoi tenere che non alzi gli occhi per vederla così di sfuggita, e poi rivolgerli immediatamente altrove. Vedi a tal proposito un luogo notabile di {{Ac|Platone}}, ''Opere'', Ed. Astii, t.IV, p.236, lin. 8-16. E così di ogni cosa che ci faccia ribrezzo: così se tu hai corso un pericolo che ti spaventi, ti si stringe il cuore in pensarci, non hai forza di fermarti in quel pensiero di quel momento di quel caso di quella vicinanza della morte ec., ma neanche hai forza di cacciarlo, anzi bisogna pur che tra il volere e il non volere ci lasci andare un’occhiata. Similmente, se ti si affaccia qualche pensiero che ti addolori, la ricordanza di qualche cosa che ti faccia vergognare teco stesso ec. La ragione di questo effetto non è certo quell’inebbriamento che dice la {{Ac|Staël}}, e nemmeno la curiosità come può vedere chiunque ci faccia un poco di considerazione. Piuttosto direi che quell’ignoto ci fa più pena che il noto; e siccome quell’oggetto ci spaventa o ci abbrividisce o ci attrista, non sappiamo lasciarlo stare così intatto, e anche con ribrezzo, abbiamo pure una certa voglia di dargli una tal quale squadrata che ce lo faccia conoscere alquanto. Forse anche, e così credo, proviene dall’amore dello straordinario, e odio naturale della monotonia e della noia ch’è ingenito in tutti gli uomini, e offrendosi un oggetto che rompe questa monotonia, ed esce dell’ordine comune, quantunque ci paia<section end=1 /> <section begin=2 />{{ZbPagina|90}} più grave assai della noia, di cui forse anche, in quel punto non ci accorgiamo e non abbiamo nessun pensiero, pur troviamo un certo piacere in quella scossa in quell’agitazione, che ci produce la vista fuggitiva di esso oggetto. La quale spiegazione si ravvicina a quella della {{Ac|Staël}}, giacchè la noia non è altro che il vuoto dell’anima, ch’è riempito, come ella dice da quel pensiero, e occupato intieramente<section end=2 />