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bensì vero che una nazione divisa in brani, inerme nella massima parte, e compressa da una preponderante, ordinata e vigilante forza straniera, non potrebbe da sè rivendicare il suo diritto di essere; e questa è la sua infelicità e un ricordo di modestia. Ma è anche vero che non lo potrebbe nemmeno con qualunque più poderoso aiuto esterno senza un forte volere e uno sforzo corrispondente dalla sua parte. Un braccio vigoroso può bensì levar dal letto un paralitico, ma non dargli la forza di reggersi e di camminare." Per la stessa ragione il Manzoni ammirava la grande impresa compiuta dal generale Garibaldi; ma, quanto più gli appariva meravigliosa, tanto più ei vi riconosceva l’opera del popolo italiano che la secondò: "E mille valorosi condotti, come a una festa, da un valorosissimo a conquistare a questa patria comune un vasto e magnifico tratto del suo territorio, da principio con l’armi, a un’immensa disuguaglianza di numero, come a prova dell’ardire, e poi con la sola forza del nome e della presenza, come a prova della spontaneità dell’assenso." Questa pare a me e deve parere a molti bella e buona sapienza politica; si chiama pure (a dispetto di certe sottigliezze e squisitezze di stile che possono talora apparir soverchie) un parlar chiaro e sicuro, come d’uomo profondamente convinto. |
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bensi vero che una nazione divisa in brani, inerme |
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Il Manzoni ebbe pure la grande fortuna che gli eventi gli diedero ragione. Nel 1848 egli voleva essere più tosto repubblicano con l’unitario Mazzini, che federalista col re Carlo Alberto; del che dolevansi i suoi amici piemontesi, in ispecie il Balbo e l’Azeglio. {{pt|Que-|Quest'ultimo}} |
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