Divina Commedia/Purgatorio/Canto XXXIII: differenze tra le versioni
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{{opera
|NomeCognome=Dante Alighieri
|TitoloOpera=Divina Commedia
|NomePaginaOpera=Divina Commedia
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|TitoloSezione=[[Divina Commedia/Purgatorio|Purgatorio]]<br /><br />Canto trentatreesimo
}}
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|CapitoloPrecedente=Canto trentaduesimo
|NomePaginaCapitoloPrecedente=Divina Commedia/Purgatorio/Canto XXXII
|CapitoloSuccessivo=Canto trentaquattresimo
|NomePaginaCapitoloSuccessivo=Divina Commedia/Purgatorio/Canto XXXIV
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''Canto XXXIII, il quale si è l'ultimo de la seconda cantica, ove si racconta sì come Beatrice dichiaroe a Dante quelle cose ch'elli vide, trattando e dimostrando le future vendette e de la ingiuria nel predetto carro del grifone; e infine, veduti li quattro fiumi del Paradiso, escono verso il cielo.''
<poem>
'Deus, venerunt gentes', alternando
or tre or quattro dolce salmodia,
le donne incominciaro, e lagrimando; {{r|3}}
e Bëatrice, sospirosa e pia,
quelle ascoltava sì fatta, che poco
più a la croce si cambiò Maria. {{r|6}}
Ma poi che l'altre vergini dier loco
a lei di dir, levata dritta in pè,
rispuose, colorata come foco: {{r|9}}
'Modicum, et non videbitis me;
et iterum, sorelle mie dilette,
modicum, et vos videbitis me'. {{r|12}}
Poi le si mise innanzi tutte e sette,
e dopo sé, solo accennando, mosse
me e la donna e 'l savio che ristette. {{r|15}}
Così sen giva; e non credo che fosse
lo decimo suo passo in terra posto,
quando con li occhi li occhi mi percosse; {{r|18}}
e con tranquillo aspetto "Vien più tosto",
mi disse, "tanto che, s'io parlo teco,
ad ascoltarmi tu sie ben disposto". {{r|21}}
Sì com'io fui, com'io dovëa, seco,
dissemi: "Frate, perché non t'attenti
a domandarmi omai venendo meco?". {{r|24}}
Come a color che troppo reverenti
dinanzi a suo maggior parlando sono,
che non traggon la voce viva ai denti, {{r|27}}
avvenne a me, che sanza intero suono
incominciai: "Madonna, mia bisogna
voi conoscete, e ciò ch'ad essa è buono". {{r|30}}
Ed ella a me: "Da tema e da vergogna
voglio che tu omai ti disviluppe,
sì che non parli più com'om che sogna. {{r|33}}
Sappi che 'l vaso che 'l serpente ruppe,
fu e non è; ma chi n' ha colpa, creda
che vendetta di Dio non teme suppe. {{r|36}}
Non sarà tutto tempo sanza reda
l'aguglia che lasciò le penne al carro,
per che divenne mostro e poscia preda; {{r|39}}
ch'io veggio certamente, e però il narro,
a darne tempo già stelle propinque,
secure d'ogn'intoppo e d'ogne sbarro, {{r|42}}
nel quale un cinquecento diece e cinque,
messo di Dio, anciderà la fuia
con quel gigante che con lei delinque. {{r|45}}
E forse che la mia narrazion buia,
qual Temi e Sfinge, men ti persuade,
perch'a lor modo lo 'ntelletto attuia; {{r|48}}
ma tosto fier li fatti le Naiade,
che solveranno questo enigma forte
sanza danno di pecore o di biade. {{r|51}}
Tu nota; e sì come da me son porte,
così queste parole segna a' vivi
del viver ch'è un correre a la morte. {{r|54}}
E aggi a mente, quando tu le scrivi,
di non celar qual hai vista la pianta
ch'è or due volte dirubata quivi. {{r|57}}
Qualunque ruba quella o quella schianta,
con bestemmia di fatto offende a Dio,
che solo a l'uso suo la creò santa. {{r|60}}
Per morder quella, in pena e in disio
cinquemilia anni e più l'anima prima
bramò colui che 'l morso in sé punio. {{r|63}}
Dorme lo 'ngegno tuo, se non estima
per singular cagione essere eccelsa
lei tanto e sì travolta ne la cima. {{r|66}}
E se stati non fossero acqua d'Elsa
li pensier vani intorno a la tua mente,
e 'l piacer loro un Piramo a la gelsa, {{r|69}}
per tante circostanze solamente
la giustizia di Dio, ne l'interdetto,
conosceresti a l'arbor moralmente. {{r|72}}
Ma perch'io veggio te ne lo 'ntelletto
fatto di pietra e, impetrato, tinto,
sì che t'abbaglia il lume del mio detto, {{r|75}}
voglio anco, e se non scritto, almen dipinto,
che 'l te ne porti dentro a te per quello
che si reca il bordon di palma cinto". {{r|78}}
E io: "Sì come cera da suggello,
che la figura impressa non trasmuta,
segnato è or da voi lo mio cervello. {{r|81}}
Ma perché tanto sovra mia veduta
vostra parola disïata vola,
che più la perde quanto più s'aiuta?". {{r|84}}
"Perché conoschi", disse, "quella scuola
c' hai seguitata, e veggi sua dottrina
come può seguitar la mia parola; {{r|87}}
e veggi vostra via da la divina
distar cotanto, quanto si discorda
da terra il ciel che più alto festina". {{r|90}}
Ond'io rispuosi lei: "Non mi ricorda
ch'i' stranïasse me già mai da voi,
né honne coscïenza che rimorda". {{r|93}}
"E se tu ricordar non te ne puoi",
sorridendo rispuose, "or ti rammenta
come bevesti di Letè ancoi; {{r|96}}
e se dal fummo foco s'argomenta,
cotesta oblivïon chiaro conchiude
colpa ne la tua voglia altrove attenta. {{r|99}}
Veramente oramai saranno nude
le mie parole, quanto converrassi
quelle scovrire a la tua vista rude". {{r|102}}
E più corusco e con più lenti passi
teneva il sole il cerchio di merigge,
che qua e là, come li aspetti, fassi, {{r|105}}
quando s'affisser, sì come s'affigge
chi va dinanzi a gente per iscorta
se trova novitate o sue vestigge, {{r|108}}
le sette donne al fin d'un'ombra smorta,
qual sotto foglie verdi e rami nigri
sovra suoi freddi rivi l'alpe porta. {{r|111}}
Dinanzi ad esse Ëufratès e Tigri
veder mi parve uscir d'una fontana,
e, quasi amici, dipartirsi pigri. {{r|114}}
"O luce, o gloria de la gente umana,
che acqua è questa che qui si dispiega
da un principio e sé da sé lontana?". {{r|117}}
Per cotal priego detto mi fu: "Priega
Matelda che 'l ti dica". E qui rispuose,
come fa chi da colpa si dislega, {{r|120}}
la bella donna: "Questo e altre cose
dette li son per me; e son sicura
che l'acqua di Letè non gliel nascose". {{r|123}}
E Bëatrice: "Forse maggior cura,
che spesse volte la memoria priva,
fatt' ha la mente sua ne li occhi oscura. {{r|126}}
Ma vedi Eünoè che là diriva:
menalo ad esso, e come tu se' usa,
la tramortita sua virtù ravviva". {{r|129}}
Come anima gentil, che non fa scusa,
ma fa sua voglia de la voglia altrui
tosto che è per segno fuor dischiusa; {{r|132}}
così, poi che da essa preso fui,
la bella donna mossesi, e a Stazio
donnescamente disse: "Vien con lui". {{r|135}}
S'io avessi, lettor, più lungo spazio
da scrivere, i' pur cantere' in parte
lo dolce ber che mai non m'avria sazio; {{r|138}}
ma perché piene son tutte le carte
ordite a questa cantica seconda,
non mi lascia più ir lo fren de l'arte. {{r|141}}
Io ritornai da la santissima onda
rifatto sì come piante novelle
rinovellate di novella fronda, {{r|144}}
puro e disposto a salire a le stelle.
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===== Voci correlate =====
{{wikipediaargomento|Purgatorio_-_Canto_trentatreesimo|Purgatorio - Canto trentatreesimo}}
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[[en:The Divine Comedy/Purgatorio/Canto XXXIII]]
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