Divina Commedia/Purgatorio/Canto XXX: differenze tra le versioni
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{{opera
|NomeCognome=Dante Alighieri
|TitoloOpera=Divina Commedia
|NomePaginaOpera=Divina Commedia
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|TitoloSezione=[[Divina Commedia/Purgatorio|Purgatorio]]<br /><br />Canto trentesimo
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|CapitoloSuccessivo=Canto trentunesimo
|NomePaginaCapitoloSuccessivo=Divina Commedia/Purgatorio/Canto XXXI
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''Canto XXX, dove narra come Beatrice apparve a Dante e Virgilio il lasciò, e lo recitare per l'alta donna de la incostanza e difetto di Dante, e qui l'auttore piange i suoi difetti con vergogna compuntiva.''
<poem>
Quando il settentrïon del primo cielo,
che né occaso mai seppe né orto
né d'altra nebbia che di colpa velo, {{r|3}}
e che faceva lì ciascuno accorto
di suo dover, come 'l più basso face
qual temon gira per venire a porto, {{r|6}}
fermo s'affisse: la gente verace,
venuta prima tra 'l grifone ed esso,
al carro volse sé come a sua pace; {{r|9}}
e un di loro, quasi da ciel messo,
'Veni, sponsa, de Libano' cantando
gridò tre volte, e tutti li altri appresso. {{r|12}}
Quali i beati al novissimo bando
surgeran presti ognun di sua caverna,
la revestita voce alleluiando, {{r|15}}
cotali in su la divina basterna
si levar cento, ad vocem tanti senis,
ministri e messagger di vita etterna. {{r|18}}
Tutti dicean: 'Benedictus qui venis!',
e fior gittando e di sopra e dintorno,
'Manibus, oh, date lilïa plenis!'. {{r|21}}
Io vidi già nel cominciar del giorno
la parte orïental tutta rosata,
e l'altro ciel di bel sereno addorno; {{r|24}}
e la faccia del sol nascere ombrata,
sì che per temperanza di vapori
l'occhio la sostenea lunga fïata: {{r|27}}
così dentro una nuvola di fiori
che da le mani angeliche saliva
e ricadeva in giù dentro e di fori, {{r|30}}
sovra candido vel cinta d'uliva
donna m'apparve, sotto verde manto
vestita di color di fiamma viva. {{r|33}}
E lo spirito mio, che già cotanto
tempo era stato ch'a la sua presenza
non era di stupor, tremando, affranto, {{r|36}}
sanza de li occhi aver più conoscenza,
per occulta virtù che da lei mosse,
d'antico amor sentì la gran potenza. {{r|39}}
Tosto che ne la vista mi percosse
l'alta virtù che già m'avea trafitto
prima ch'io fuor di püerizia fosse, {{r|42}}
volsimi a la sinistra col respitto
col quale il fantolin corre a la mamma
quando ha paura o quando elli è afflitto, {{r|45}}
per dicere a Virgilio: 'Men che dramma
di sangue m'è rimaso che non tremi:
conosco i segni de l'antica fiamma'. {{r|48}}
Ma Virgilio n'avea lasciati scemi
di sé, Virgilio dolcissimo patre,
Virgilio a cui per mia salute die' mi; {{r|51}}
né quantunque perdeo l'antica matre,
valse a le guance nette di rugiada
che, lagrimando, non tornasser atre. {{r|54}}
"Dante, perché Virgilio se ne vada,
non pianger anco, non piangere ancora;
ché pianger ti conven per altra spada". {{r|57}}
Quasi ammiraglio che in poppa e in prora
viene a veder la gente che ministra
per li altri legni, e a ben far l'incora; {{r|60}}
in su la sponda del carro sinistra,
quando mi volsi al suon del nome mio,
che di necessità qui si registra, {{r|63}}
vidi la donna che pria m'appario
velata sotto l'angelica festa,
drizzar li occhi ver' me di qua dal rio. {{r|66}}
Tutto che 'l vel che le scendea di testa,
cerchiato de le fronde di Minerva,
non la lasciasse parer manifesta, {{r|69}}
regalmente ne l'atto ancor proterva
continüò come colui che dice
e 'l più caldo parlar dietro reserva: {{r|72}}
"Guardaci ben! Ben son, ben son Beatrice.
Come degnasti d'accedere al monte?
non sapei tu che qui è l'uom felice?". {{r|75}}
Li occhi mi cadder giù nel chiaro fonte;
ma veggendomi in esso, i trassi a l'erba,
tanta vergogna mi gravò la fronte. {{r|78}}
Così la madre al figlio par superba,
com'ella parve a me; perché d'amaro
sente il sapor de la pietade acerba. {{r|81}}
Ella si tacque; e li angeli cantaro
di sùbito 'In te, Domine, speravi';
ma oltre 'pedes meos' non passaro. {{r|84}}
Sì come neve tra le vive travi
per lo dosso d'Italia si congela,
soffiata e stretta da li venti schiavi, {{r|87}}
poi, liquefatta, in sé stessa trapela,
pur che la terra che perde ombra spiri,
sì che par foco fonder la candela; {{r|90}}
così fui sanza lagrime e sospiri
anzi 'l cantar di quei che notan sempre
dietro a le note de li etterni giri; {{r|93}}
ma poi che 'ntesi ne le dolci tempre
lor compartire a me, par che se detto
avesser: 'Donna, perché sì lo stempre?', {{r|96}}
lo gel che m'era intorno al cor ristretto,
spirito e acqua fessi, e con angoscia
de la bocca e de li occhi uscì del petto. {{r|99}}
Ella, pur ferma in su la detta coscia
del carro stando, a le sustanze pie
volse le sue parole così poscia: {{r|102}}
"Voi vigilate ne l'etterno die,
sì che notte né sonno a voi non fura
passo che faccia il secol per sue vie; {{r|105}}
onde la mia risposta è con più cura
che m'intenda colui che di là piagne,
perché sia colpa e duol d'una misura. {{r|108}}
Non pur per ovra de le rote magne,
che drizzan ciascun seme ad alcun fine
secondo che le stelle son compagne, {{r|111}}
ma per larghezza di grazie divine,
che sì alti vapori hanno a lor piova,
che nostre viste là non van vicine, {{r|114}}
questi fu tal ne la sua vita nova
virtüalmente, ch'ogne abito destro
fatto averebbe in lui mirabil prova. {{r|117}}
Ma tanto più maligno e più silvestro
si fa 'l terren col mal seme e non cólto,
quant'elli ha più di buon vigor terrestro. {{r|120}}
Alcun tempo il sostenni col mio volto:
mostrando li occhi giovanetti a lui,
meco il menava in dritta parte vòlto. {{r|123}}
Sì tosto come in su la soglia fui
di mia seconda etade e mutai vita,
questi si tolse a me, e diessi altrui. {{r|126}}
Quando di carne a spirto era salita,
e bellezza e virtù cresciuta m'era,
fu' io a lui men cara e men gradita; {{r|129}}
e volse i passi suoi per via non vera,
imagini di ben seguendo false,
che nulla promession rendono intera. {{r|132}}
Né l'impetrare ispirazion mi valse,
con le quali e in sogno e altrimenti
lo rivocai: sì poco a lui ne calse! {{r|135}}
Tanto giù cadde, che tutti argomenti
a la salute sua eran già corti,
fuor che mostrarli le perdute genti. {{r|138}}
Per questo visitai l'uscio d'i morti,
e a colui che l' ha qua sù condotto,
li preghi miei, piangendo, furon porti. {{r|141}}
Alto fato di Dio sarebbe rotto,
se Letè si passasse e tal vivanda
fosse gustata sanza alcuno scotto {{r|144}}
di pentimento che lagrime spanda".
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===== Voci correlate =====
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[[en:The Divine Comedy/Purgatorio/Canto XXX]]
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