Pagina:Zibaldone di pensieri I.djvu/138: differenze tra le versioni

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greci e Pindaro e Orazio nell’economia del comportamento. E certo alle volte è nobilissimo tanto pel sentimento quanto per le parole: ma pochissimi pezzi finiscono di piacere; non arriva quasi mai non ostante quello che s’è detto del suo stile estrinseco alla felicità d’espressione, e alla bellezza della composizione delle parole d’{{AutoreCitato|Quinto Orazio Flacco|Orazio}}, è oscuro assai spesso per le costruzioni gli equivoci (non già voluti, come i seicentisti, ma non avvertiti o trascurati) la soppressione delle idee intermedie ne’ passaggi (se ben questa è naturale, perché {{ZbPagina|25}} il poeta fervido quantunque non passi mai da un pensiero all’altro senza una qualche cagione e occasione che è come il legame delle diverse idee, nondimeno questo legame essendo sottilissimo lo salta facilmente, o anche non saltandolo affatto, il lettore non lo arriva a vedere) e anche nel passare per es. dalle premesse alla conseguenza ec. insomma è sovente sconnesso, (ma questa potrebbe anche essere una lode per la verità dell’imitazione dell’affetto e dell’estro, e tutto questo difetto dell’oscurità lo ha comune con {{AutoreCitato|Pindaro}}) ha qualche macchia di seicentisteria, che però è rara e non farebbe gran caso; ha qualche metafora non seicentesca affatto, ma troppo ardita, alla pindarica sì, ma soverchiamente ardita, come canzone eroica 14, dice dell’armi di Toscana: ''Elle non tra i confin del patrio lito, Quasi belve in covili, Ma fero udir gentili Per le strane foreste aspro'' ruggito; canzone eroica 41, chiama le vele ''le tessute penne''; (se ben quella del ruggito si potrebbe difendere colla similitudine che precede, delle belve, onde si riferisse a quella, cioè la metafora non fosse più semplicemente delle armi ruggenti, ma cambiate in fiere o assomigliate alle fiere e così ruggenti, per una enallage pindarica) fa forza alla lingua nelle voci (come le composte alla greca: ondisonante ec. che la nostra lingua non ama) nelle forme trasportate dal greco e latino
greci e {{AutoreCitato|Pindaro}} e {{AutoreCitato|Quinto Orazio Flacco|Orazio}} nell’economia del comportamento. E certo alle volte è nobilissimo tanto pel sentimento quanto per le parole: ma pochissimi pezzi finiscono di piacere; non arriva quasi mai non ostante quello che s’è detto del suo stile estrinseco alla felicità d’espressione, e alla bellezza della composizione delle parole d’Orazio, è oscuro assai spesso per le costruzioni gli equivoci (non già voluti, come i seicentisti, ma non avvertiti o trascurati) la soppressione delle idee intermedie ne’ passaggi (se ben questa è naturale, perché {{ZbPagina|25}} il poeta fervido quantunque non passi mai da un pensiero all’altro senza una qualche cagione e occasione che è come il legame delle diverse idee, nondimeno questo legame essendo sottilissimo lo salta facilmente, o anche non saltandolo affatto, il lettore non lo arriva a vedere) e anche nel passare per es. dalle premesse alla conseguenza ec. insomma è sovente sconnesso, (ma questa potrebbe anche essere una lode per la verità dell’imitazione dell’affetto e dell’estro, e tutto questo difetto dell’oscurità lo ha comune con {{AutoreCitato|Pindaro}}) ha qualche macchia di seicentisteria, che però è rara e non farebbe gran caso; ha qualche metafora non seicentesca affatto, ma troppo ardita, alla pindarica sì, ma soverchiamente ardita, come canzone eroica 14, dice dell’armi di Toscana: ''Elle non tra i confin del patrio lito, Quasi belve in covili, Ma fero udir gentili Per le strane foreste aspro'' ruggito; canzone eroica 41, chiama le vele ''le tessute penne''; (se ben quella del ruggito si potrebbe difendere colla similitudine che precede, delle belve, onde si riferisse a quella, cioè la metafora non fosse più semplicemente delle armi ruggenti, ma cambiate in fiere o assomigliate alle fiere e così ruggenti, per una enallage pindarica) fa forza alla lingua nelle voci (come le composte alla greca: ondisonante ec. che la nostra lingua non ama) nelle forme trasportate dal greco e latino