Oh come mai s'intorbida: differenze tra le versioni
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▲{{Qualità|avz=25%|data=1 dicembre 2008|arg=Poesie}}{{Intestazione letteratura
| Nome e cognome dell'autore =Iacopo Vittorelli
| Titolo =Oh come mai s'intorbida
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Per la ricuperata salute del Nobil Uomo
<poem>
Oh come mai s'intorbida
Quella pupilla
Come la guancia morbida
Diviene asciutta e lividal
Io di Fernando al risico
Gelo per tema subita,
E il consultato Fisico
Pensa, ripensa e dubita.
Ei presso al vacuo talamo
Sta con pietosa indagine,
E invano il dotto calamo
Verga salubri pagine.
Licor non v'ha
Non erba o sasso o polvere
Che sappian quell'immobile
Febbre crudel risolvere.
Al duro affanno, al tremito
Bella consorte pallida
Risponde
La famigliuola squallida.
Sul suolo intanto giacciono
Le corde d'oro armoniche,
E Grazie e Muse tacciono
Disperse e malinconiche.
Quali per lui si udirono
Inni che alati e rapidi
Corsero Italia, e girono
Fino all'Erculee lapidi!
Cantò l'eterno fulmine,
Che con orrendi sibili
Squarcia il petroso colmine
Dell'Alpi inaccessibili:
E il mar, che d'acque gravido
Sormonta i gioghi Atlantici;
E il buon Noè, che impavido
Spreme dal seno i cantici.
Me volle pur di lucida
Onda Castalia aspergere.
Che mi volea sommergere.
Talora sparse all'etera
Un suon più lasso e facile,
Cangiando l'aurea cetera
Nella sampogna gracile.
Per lui tra sassi frangere
S'udiro i fonti ceruli;
Per lui s'udiron piangere
Gli usignuoletti queruli.
A' carmi suoi restarono
I pastorelli
A' carmi suoi stillarono
Mele perfin gli aconiti.
Talora amò di pungere
Lidia, che al terso specolo
Siede le carni ad ungere
Vizze per troppo secolo.
Punse gli Adon, ch'esultano
Fra i lini e i merli Batavi,
E alla modesta insultano
Frugalità degli Atavi.
Punse l'innumerevole
Schiera che in Pindo gracida,
E d'armonia stucchevole
La sacra rupe infracida.
Ahi come tutto è labile!
Freddo silenzio e ruggine
Del vate deplorabile
Or copre la testuggine.
Dunque negate al misero
Saran le forze pristine?
Dunque gl'Iddii permisero
Che il suo morir contristine?
Da colpo sì terribile
II Ciel pietoso guardine,
Porta sul negro cardine.
Divinità pacifica,
Tenero Nume
Tu l'erba più vivifica
Cerca nel
Segua felice a splendere
Di tante doti il cumulo
No, che non deve scendere
Pari valor nel tumulo.
No, no... Ma quai fiammeggiano
Astri nel ciel sì nubilo?
Quai voci intorno eccheggiano
D'inesplicabil giubilo?
Fernando (i lidi suonano)
Non fia che resti esanime:
I Numi lo ridonano
Alle sensibil anime.
Dunque fia vero? E sospite
Degg'io, Fernando, credere?
Al mio signore ed ospite
Io potrò dunque riedere?
Il cor nel sen mi tremula...
II pié vacilla e arrestasi...
Questa è una gioja ch'emula
Tutto il piacer di un'estasi.
Quell'io che dal rammarico
Sentiami l'alma svellere,
Or di letizia carico
Vo' coronarmi d'ellere.
Ah! mentre salvo e intrepido
Lo abbraccio e risalutalo,
Favelli il pianto tepido,
Se il labbro resta
Deh! poi che gli alti Superi
I nostri voti accolsero,
Tutti que' don ricuperi
Che i morbi rei gli tolsero.
Non osin più le indomite
Febbri con gli occhi maceri
Destargli in seno un fomite
Che lo depredi e laceri.
Lo ricominci a pascere
Sodo vigor Nestoreo,
E cento volte nascere
Ei vegga il crine arboreo.
Io mando un grido altissimo: —
Tu che le sfere domini,
A lieto fin tardissimo
Serba il miglior degli uomini.
</poem>
[[Cateogira:Odi]]
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