Dio ne scampi dagli Orsenigo/Capitolo ottavo: differenze tra le versioni

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|Nome e cognome dell'autore=Vittorio Imbriani
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Rinunzierei a descrivere, come lo stato di abbattimento,
in cui rimase il Della-Morte, dopo questo colloquio,
cosí, pure, il perturbamento dell’animo della Radegonda;
ma mi è forza tentare di ritrarlo. Essa non seppe resistere
alla tentazione di leggere que’ due carteggi, de’
quali era depositaria e che avrebbe dovuto incenerir, subito,
senza neppure mettervi gli occhi, oppure riconsegnare
all’Almerinda infatti. «Come!» dirà ognuno «La
Salmojraghi commettere una indiscretezza cosiffatta?»
Siete troppo indulgenti. Indiscretezza? era abuso di fiducia
bello e buono! come tale il vlalutava ed il condannava
essa stessa, nel suo secreto. «Ma se aveva fatto tanto
la scrupolosa in casa del giovane, da non volergliene
sentir leggere una pagina!» Ah! non vuol dire! cosí porta
la natura nostra: in pubblico (se, anche il pubblico è
ridotto al termine minimo d’un solo individuo) affettiamo
sensi sdegnosi e noncuranza suprema; soli con noi
medesimi, operiamo in aperta contraddizione di quelli.
V’è un po’ d’ipocrisia, anche, nella virtú piú incorrotta e
sincera. «Ma cedere ad una curiosità, cosí volgare?...»
Permettetemi di dubitare, che, in lei, questo atto poco
lodevole fosse effetto di volgare curiosità. La spingeva
affetto pe’ due protagonisti e, quindi, desiderio di conoscere
in tutte le fasi quel dramma, nel quale era apparsa,
come deus ex machina, per troncare il nodo, prima; e,
poi, una sollecitudine anche piú ideale, la sollecitudine
per la passione, prescindendo dalle persone implicate, il
desiderio di sapere come si ama. Infatti, quella corrispondenza
fu, per lei, proprio, una rivelazione bella e
buona; un alzarsi del sipario e mostrare uno spettacolo
tremendo, splendido, inatteso, affascinante; una nuova
chiave per ispiegarsi il mondo e lo scopo nostro e le pretese,
che possiamo accamparvi, in modo tutt’altro, che
non avesse fatto, sin allora. Interrogò l’Almerinda; osservò
Maurizio. La signora Ruglia-Scielzo ripigliava, rifioriva ogni giorno, come chi si rià di una lunga malattia;
aveva le gote rosse ed il guardo umido di chi, dopo aver
combattuto, lungamente, pallido, un pericolo, si sente,
alla fin fine, salvo e sicuro. Era entrata in piena convalescenza
morale. Ebbene, la Radegonda se ne scandalizzava;
e sí, che tutto era opera sua. Non sapeva capacitarsi,
che ad altri tornasse tanto facile lo smettere la sublime
abitudine della passione, del rimorso; piú facile, che non
torni all’infimo de’ beoni il rinunziare all’ubbriachezza!
E che, poteva disapprendersi, cosí presto, quella scienza
invidiabile? Chi era stato tanto agitato, rassegnarsi, anzi
compiacersi, nella pace assoluta e piena, nella ignobile
apatia? cicatrizzare, con tanta rapidità, una piaga tanto
profonda? e non lasciar maggior orma che una gondola,
solcando il queto stagno? Quasi quasi, avrebbe perorata,
presso l’amica, la causa del povero Della-Morte.
Questi le ispirava una pietà, mista di venerazione, come
quegli, che era stato visitato da un Dio potente. E la sollecitudine,
ch’ella provava pel giovane, era tanto evidente,
e tanto patente, che avevano un secreto comune, che
i fratelli Scielzo cominciarono a metterlo in burla, sostenendo,
che la Milanese fosse innamorata di lui.
 
La Salmojraghi il rivide spesso, gli parlò di frequente,
in disparte; ma non toccarono, mai, del secreto comune.
Maurizio stava, per lo piú, cupo, ipocondrico, smorto,
convulso, come chi non può risanare da un morbo
occulto, che il consumi. Talvolta, conversando, massime
con la lombarda, consapevole del suo stato, o con
persone, che dovea desiderare nol conoscesser mai, affettava
ilarità crudele, buffoneggiava con eccesso studiato.
Cercò un diversivo alla passione; e lui, che soleva
garrire, acerbamente, i fratelli Scielzo per quel viziaccio
delle carte, divenne giocatore. O che volete? Come ammazzar
le serate, ora, che non poteva spenderle, servendo
la sua signora o consolandosi col pensarne? soprattutto,
dovendo passarle spesso, ne’ salotti di lei, acciò
l’interromper, di subito, le sue visite frequenti non fosse
argomento di sospetto a’ malevoli! Ma non aveva
modo nel giocare o discrezione; perdeva o guadagnava
poste spropositate, con ispensieratezza eroica. Il suo
pensiero non era al tavolino ed al macao, anzi presso la
donna, che sedeva sul canapè, dirimpetto, o sulla poltrona,
nella stanza contigua; non alla perdita: perduta
lei, che importava ogni altra cosa? non al guadagno:
qual primiera poteva ridargliela? qual somma vinta poteva
ricomperargliene lo affetto?
 
È naturale, dunque, che affascinasse la Salmojraghi; e
che questa giudicasse la sventura, la demenza, il tumulto
delle passioni, la piaga insanabile di Maurizio, non solo
piú nobile e felice della pace, riacquistata dalla signora
Ruglia, ma, pur anco, della prospera e lieta sorte, goduta,
sino allora, da lei stessa. Fra quel sorriso snervante della
fortuna e quelle lagrime disperate con l’apparente tranquillità,
che la nascondeva al volgo, qual era meglio? Fra
l’Inferno ed il Paradiso dantesco, c’è da esitare? Non per
la Salmojraghi! La sofferenza le apparve cosa desiderabile;
la colpa o ciò, che, fino allora, aveva chiamato con
questo nome, quasi, uno stato di grazia, moralmente superiore
alla inerte e sterile innocenza. Avete, mai, visto in
uno sperimento chimico, ravvicinare due sali, la base di
ciascuno de’ quali abbia maggiore affinità con l’acido
dell’altra, che non col proprio? si decompongono e, contemporaneamente,
ecco costituiti due corpi, diversi da’
primi. Come avviene, che la pietra infernale ed il sal comune,
ravvicinati, si trasformino in nitrato di sodio ed in
cloruro di argento, cosí era accaduto nel ravvicinamento
del Radegondato di serenità con l’Almerinduro di passione,
la tranquillità della Radegonda era passata nell’Almerinda,
il turbamento morale della Ruglia-Scielzo si era
trasfuso nella Salmojraghi-Orsenigo.
 
La Radegonda, semplice sino a quel punto, scaltrita,
ora, dalla cognizione di questa tresca, aguzzò gli occhi.
E guardò sotto altro aspetto tutte le relazioni umane; e
tolse a sospettare, a diffidare, a malignare di tutto e tutti,
ossia a comprendere. Le nacque in petto come una gran
sete di bere alle acque torbide, venefiche, forse, della
passione. E le increbbe quantunque, sino a quel giorno,
le era piaciuto; ogni onesto sollazzo, ogni cara occupazione,
ogni legame domestico, il marito e (paja pure incredibile!)
persino la figliuola, persino!
 
Questo profondo desiderio della passione era, già, di
per sé, la passione stessa: non la bufera, che sconquassa
l’animo, anzi la breve pausa di raccoglimento, che precede
i cataclismi cosí morali come fisici. Le scomparve il
riso dalle labbra, le si accese un fuoco cupidissimo, negli
occhi. Nedtosava confessare a sé medesima cosa desiderasse,
confessarselo esplicitamente, collocando i titoli
sugl’i; non siamo franchi, nojaltri uomini, neppure ne’
colloqui con la coscienza nostra. Eppure, ch’ella ne convenisse
o no, che l’avvertisse o no, pure, la passione le si
presentava fatalmente, sotto le forme di quel Maurizio,
nel quale, prima, ella l’aveva vista cosí rigogliosa e potente
e (come a lei pareva) sublime.
 
Il signor Salmojraghi scorse, la sua Radegonda non
esser, piú, tanto giuliva; ed attribuendo questo mutamento
d’umore a qualche cagione fisica, forse, all’aria,
che poco le si confaceva, richiamato, d’altronde, a Milano,
da urgenti affari, abbreviò il suo soggiorno in Napoli,
terminandolo meno lietamente assai, ch’e’ non l’avesse
principiato. Ma l’aria cambiata non importò
cambiamento alcuno nello stato della donna, anzi l’aggravò.
Il male era fatto, la ferita era aperta; e, stuzzicata,
continuamente, dal pensiero, e non curata in alcun modo,
anzi sottratta ad ogni sguardo, naturalmente, doveva
inciprignire, ogni dí piú. Amava Maurizio. Cosí era. So
quel, che volete dirmi: ma io debbo narrare e non giudicare:
per quanto questo amore fosse assurdo, sconveniente,
lo amava.
 
E Maurizio? Pensava tanto a lei, quanto io penso alla
moglie dell’Imperiere di Russia. Maurizio perseverava
nell’amar l’Almerinda, sebbene, rendiamogli, pure, questa
giustizia, persuaso e convinto delle ragioni, che l’avevano
spinta a rompere, non si permettesse nessun
tentativo per riappiccare la tresca, non avesse alcuna insistenza
di cattivo gusto, non facesse un atto, non si lasciasse
sfuggire una parola, tale da comprometterla.
Quel giovane aveva, ancora, del buono: d’una bassezza
non era capace. Occasioni di rivedere la Ruglia-Scielzo
mancarono con la partenza degli ospiti milanesi, perché
la persuase il marito a chiedere un congedo e ritirarsi,
per qualche tempo, in villeggiatura, protestando di aver
bisogno dell’aria di campagna. Il commendatore acconsentí,
quantunque gli costasse di rinunziare a’ suoi quotidiani
sonnerelli nella poltrona da magistrato; ma gli sarebbe
costato, anche piú, l’opporsi ad una volontà della
moglie. E, poi, di poltrone se ne trovano dappertutto,
sebbene non dovunque si abbia il grato mormorio, gli
scrosci ed i sibili dell’eloquenza forense per cullare i
sonni! Lí, fra la pace campestre, l’Almerinda tutta riacquistò
la pace interna, e tutte dimenticò le miserie della
vita; e divenne quel, che aveva, sempre, ambito di essere,
la madre-famiglia austera, I’operosa massaja, esdusivamente
dedita alla casa ed a’ figliuoli e non curante
d’ogni cosa al mondo, che non si riferisca a queste.
 
Maurizio, frattanto, o fiacchezza d’animo o robustezza
della passione concetta, Maurizio non c’era verso, che
la scordasse, alcuno. Il cuore, la fantasia avevan preso la
cattiva abitudine di affaccendarsi con l’Almerinda; e
non c’era via da risanare di cotesta Almerindite cronica.
Sforzi per emanciparsi da tanta servitú del pensiero, oh
ne fece; ma non gli valsero. Si appigliò agli eccessi
d’ogni genere, ché un diavolo caccia l’altro; ma gli fu piú
facile perdere la stima ed il rispetto di sé stesso, che la
memoria della sua donna. Anzi, quante piú scapestrataggini faceva per dimenticarsene, tanto piú gli era necessario
di rimpiangere quell’amore, che aveva ritratta e
preservata parte della sua gioventú da queste turpitudini.
Ahimè! qual gusto può ritrovarsi nelle crapule e nella
dissipazione, quando s’è una volta avvezzi all’amore?
Chi trangugerà, con diletto, la volgare grappa, dopo
delibata la sopraffina anaci di Bordella ed altrettali
stomatici? Cosí visse, o meglio, trascinò la vita, per mesi
parecchi. La campagna contro l’Austria del mille ottocensessantasei
sopravvenne, promettendo a lui, come
a tante altre anime inquiete, páce, o nella morte onorata
del soldato o nella coscienza d’aver bene adempito al
proprio dovere.
 
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