Satire (Orazio)/Libro I/Satira IV: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Alebot (discussione | contributi)
m Wikipedia python library
mNessun oggetto della modifica
Riga 22:
|NomePaginaCapitoloSuccessivo=Satire (Orazio)/Libro I/Satira V
}}
{{Pagina|Satire_(Orazio)_-_pag._20.JPG|section=s2}}
<poem>
{{Pagina|Satire_(Orazio)_-_pag._21.JPG}}
 
{{Pagina|Satire_(Orazio)_-_pag._22.JPG}}
Eupoli ed Aristofane e Cratino
{{Pagina|Satire_(Orazio)_-_pag._23.JPG}}
E gli altri autor della commedia antica,
{{Pagina|Satire_(Orazio)_-_pag._24.JPG}}
Se degno v’era alcun d’esser marcato
{{Pagina|Satire_(Orazio)_-_pag._25.JPG}}
Perchè adultero, ladro, empio o sicario,
{{Pagina|Satire_(Orazio)_-_pag._26.JPG}}
{{r|5}}O per qualc’altra reitade infame,
{{Pagina|Satire_(Orazio)_-_pag._27.JPG}}
Con molta libertà metteanlo in gogna.
{{Pagina|Satire_(Orazio)_-_pag._28.JPG|section=s1}}
Su l’orme di costor Lucilio corre
Nel metro sol diverso, uom fino e arguto;
Nel verseggiar duretto; ecco il suo male.
{{r|10}}Spesso in un’ora ben dugento versi
(E gli parea gran cosa) avria dettati
Poggiato sur un piè. Tra quel suo fango
Menava cose di raccorsi degne,
Loquace, e mal reggente alla fatica
{{r|15}}Del comporre; i’vo’dir, del compor bene,
Chè quanto al molto io nol valuto un frullo.
Ecco Crispin col mignolo mi sfida:
Via, se ti piace, prendi il tuo quaderno,
Si fissino le guardie, il luogo e il tempo.
{{r|20}}Vedrem chi sia a compor di noi più lesto.
Ringrazio il Ciel che mi formò d’ingegno
Scarso e meschin, che raro parlo e poco.
Ma tu imita a tuo senno il vento chiuso
Ne’mantici che soffia senza cessa,
{{r|25}}Finchè nel foco s’ammollisca il ferro.
Felice Fannio, a cui spontaneo venne
L’onor dello scaffale e del ritratto:
Mentr’io non ho chi legga i versi miei,
E a recitargli in pubblico ho paura,
{{r|30}}Perchè questo mio stil dispiace, essendo
Molti al mondo, anzi i più, degni di biasmo.
Prendi un qual vuoi d’infra la turba, è desso
O di fausto macchiato, o d’avarizia.
Altri invescato è ne’più sozzi amori.
{{r|35}}Dal fulgor dell’argento altri è rapito.
Albio stordisce su i lavor di bronzo:
Chi dal levante va cangiando merci
Sino a’lidi che scalda il sol cadente.
E qual polve da turbine aggirata
{{r|40}}Precipitoso va tra mille rischi
Per timor di scemare il capitale
O per desio di vantaggiarlo. Tutti
Costor temono i versi, odiano i vati.
Fuggi lontan: Costui sul corno ha il fieno.
{{r|45}}Purchè di canzonar la voglia sfoghi,
Non guarda amici in viso, e quel che in carta
Schiccherò giù una volta, a tutti quanti
Ritornano dal forno, o dalla fonte
Ragazzi e vecchie di far noto agogna,
{{r|50}}Breve risposta udite in grazia. Io prima
Dal numero di quegli, a’quai comparto
Di poeta l’onor, levo me stesso.
Chè a ciò non basta l’accozzar due versi;
Nè s’altri imiti il favellare comune
{{r|55}}Scrivendo, com’io fo, questi è poeta.
Mente e ingegno divino, alto sonante
Bocca d’un tanto nome altrui fa degno
Perciò se fosse o no, cercaro alcuni,
Poema la Commedia, perchè in essa
{{r|60}}Nè cose nè parole han lena e brio,
Sennonchè il metro dal comun discorso
La differenzia. Ma in Commedia un padre
Monta in furor, perchè un suo figlio pazzo
Scialaquator va dietro a una bagascia,
{{r|65}}Nè prender moglie vuol con ricca dote,
Ed ubbriaco va con grave scorno
A torchi accesi innanzi sera in giro.
Forse minor rabbuffi udrìa Pomponio,
Se gli vivesse il padre? Or via non basta
{{r|70}}Versi formar con pure voci e schiette,
I quai non puoi scompor, che tu non senta
Qualunque altro sbuffare in tuon simìle
A quel che faccia in palco un finto padre.
Tal è se togli aquesti versi miei
{{r|75}}E a quegli ancora di Lucilio i tempi
E le misure fisse, e se turbando
L’ordine metti i primi accenti in fine,
Ed al principio fai passar gli estremi.
Ma se prendi a disfar questi altri versi:
{{r|80}}= Poichè discordia tetra ebbe le sbarre
= Di Giano infrante, e le ferrate porte,
Tu sempre ravvisar puoi brani e pezzi
Di poetico stile; e fin quì basti.
Se la Commedia tra i poemi ha loco,
{{r|85}}Vedremo in altro tempo. Or io sol cerco,
Se di buona ragion questa mia foggia
Di scriver sia da te presa in sospetto.
Bruschi e affiocati van con que’lor fogli
Girando Sulcio e Caprio, ambo spavento
{{r|90}}Degli assassin; ma chi le mani ha nette
Può sprezzar l’uno e l’altro allegramente.
Se a’ladron Celio e Birrio hai somiglianza
Io non son Caprio o Sulcio. E perc’hai dunque
Timor di me? Nè banco nè bottega
{{r|95}}Tiene in vendita esposti i libri miei,
Cui si stanchi a sfogliar Tigellio e il volgo.
Io non gli leggo salvo che agli amici,
Se non forzato, e non in tutti i luoghi,
E non in faccia di qualunque e’sia.
{{r|100}}Gente non manca che i suoi scritti legga
Nel bel mezzo del foro e sin ne’bagni,
U’la stanza alla voce ben risponde,
Vezzo di teste vote, a cui non cale
Oprare a caso e fuor di tempo e loco.
{{r|105}}Tu ferir godi e scaltramente il fai.
Or chi ti diè lo stral che tu m’avventi?
Forse alcuno di lor, co’quai converso?
Chi l’amico lontan morde, e non anzi
Dagli altrui morsi lo difende, e gode
{{r|110}}Di far rider la gente, e al vanto aspira
Di schernitor, chi false cose inventa,
Nè tacer sa i segreti a lui commessi,
Egli è un cor negro, e tu, Romano, il fuggi.
Spesso a un convito vedrai quattro insieme,
{{r|115}}Un de’quai copre d’insolenze tutti
Fuor che il padron, poi questo ancora, ov’abbia
Bacco sincero il petto a lui dischiuso.
E a te de’negri cor tanto nemico
Sembra costui gentile, urbano e schietto.
{{r|120}}Ed io se rido un pò perchè l’insulso
Rufillo è tutto odor, Gorgonio ammorba,
Pien di livor ti sembro e maldicente?
Se alcun farà de’furti di Petillo
Capitolin ricordo in tua presenza,
{{r|125}}Tu lo difendi alla tua bella usanza,
Dicendo: io fui suo commensale e amico
Sin da fanciullo, e a mio riguardo feo
Molte cose e poi molte. Or mi consola
Ch’egli sen viva sano e salvo in Roma.
{{r|130}}Maraviglio però com’ei potesse
Dal giudizio scampare. E quì sta il sugo
Della nera loligine, qui tutta
La ruggine s’accoglie. Or da un tal vizio
Che scevre sian mie carte, e più il mio cuore,
{{r|135}}Se di me protestar cosa veruna
Altra poss’io, con verità il protesto.
Se franco parlo alcuna volta e scherzo,
Vuolsi a me condonar questa licenza.
A ciò fare avvezzommi il mio buon padre,
{{r|140}}Che per farmi fuggir qualsiasi vizio
Me ne ponea gli esempli innanzi agli occhi.
Allorchè m’esortava a viver pareo,
Frugale e pago de’paterni acquisti,
Dicea: non vedi, come d’Albio il figlio
{{r|145}}Mal vive, e Barro stenta? Un grande avviso
Per non gettar le sue sostanze al vento.
Per tenermi lontan da’sozzi amori
E’ mi dicea: non somigliar Settano.
Giacchè lecite nozze acquistar puoi,
{{r|150}}Tu lascia star le donne altrui. Trebonio
Colto in fallo ha perduto il suo buon nome,
Un dotto ti saprà dir le ragioni,
Ond’altro dee seguirsi, altro schifarsi.
A me basta tener l’uso mostrato
{{r|155}}Da’nostri antichi, e la tua vita e fama,
Finchè tu avrai di reggitor mestiero,
Assicurar. Quando t’avrà l’etade
Invigorito l’animo e le membra,
Allor potrai nuotar senza corteccia.
{{r|160}}Tal co’suoi detti mi venia formando
Nella tenera età. Se alcuna cosa
M’ordinava di far. Tu n’hai l’esempio,
E mi ponea dinanzi alcun soggetto,
D’infra i giudici scelti; e se vietava:
{{r|165}}Puoi tu dubbiar s’è ciò dannoso e turpe,
Quando tanto disnor n’ha questi e quegli?
Il funeral vicin tiene i malati
Golosi in freno, e col timor di morte
Gli sforza a star di sè medesmi in guardia.
{{r|170}}Così l’infama altrui spesso da’vizj
Giova a distor le tenerelle menti.
Perciò sano da quegli, onde a noi viene
Scorno e rovina a’mediocri vizj
Degni di venia, i’sono ancor suggetto.
{{r|175}}Forse da questi pure appien distormi
Saprà più lunga età, gli schietti amici,
E i miei stessi consigli. E veramente
Quando in letto mi trovo, o su la loggia,
A me non manco, e vo fra me dicendo:
{{r|180}}Più giusto è far così: così fia meglio;
E agli amici vivrò più accetto e grato.
Quel tale oprò non troppo ben. Fors’io
Il simile farò per impudenza?
Tai cose ruminando a chiuse labbra
{{r|185}}Va tra me stesso, e se m’avanza tempo
Le reco in carta, e questo un di que’vizj
Mezzani, a cui se negherai perdono,
Di poeti una turba in mio soccorso
Verrà (siam molti), e come tanti Ebrei
{{r|190}}Ti forzeremo a entrar nel nostro ghetto.
</poem>
 
 
{{capitolo
|CapitoloPrecedente=Satira III