Il maestro di setticlavio/Il maestro di setticlavio/IV: differenze tra le versioni

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I giornali veneziani si occuparono del concerto. Tutti lodarono la nipote e allieva del maestro Chisiola, insistendo però nell'avvertirenell’avvertire che qui la scuola dello Zen non ci entrava proprio per nulla. Mirate fu giudicato con poca benevolenza: voce potente, di buon timbro, abbastanza intonata, ma fredda e grossolana; cantante immaturo, più da chiesa che da teatro; insomma, qualità preziose, ma scuola pessima. Gli altri allievi, messi in un fascio, venivano tartassati spietatamente. Conclusione: gli azionisti buttavano via i loro quattrini per far sciupare le belle voci o far cantare dei cani. Il giornale teatrale, "La Lira", se la pigliava poi col setticlavio, accusando questo metodo di molti peccati: incertezza nella intonazione, perplessità negli attacchi, pesantezza nel modulare; e negava assolutamente che gli scolari dello Zen sapessero leggere a prima vista. Proponeva un giudizio, pronunciato da cinque maestri, due eletti dallo Zen, due dalla direzione del giornale e il quinto dai primi quattro insieme.
 
Lo Zen, fuori di sé per il dispetto di tante censure e per il timore di vedersi togliere la sua amata scuola, ma più che altro per causa delle imputazioni contro il setticlavio, abboccò subito; e scrisse al giornale una lettera, stampata immediatamente, con cui accettava la proposta, si riserbava di indicare due nomi, e si dichiarava disposto a soggiacere alla sentenza se, cosa impossibile, gli dovesse riescire contraria. Corse dal maestro direttore della cappella di San Marco a pregarlo di essere uno degli arbitri. Questi, uomo prudente, rispose:
 
"Vi pare! Nella mia posizione, farmi dei nemici fra i maestri e fra i giornalisti! Grazie della fiducia, ma non vorrei rovinarmi". Corse dal giovine e celebre direttore d'orchestrad’orchestra al teatro della Fenice, che gli strinse cordialmente la mano, lo fece sedere in poltrona, gli offrì una chicchera di caffè, ma rispose:
 
"Ben volentieri, maestro Carissimo, se non ci fosse un ostacolo. Io ignoro assolutamente che cosa sia setticlavio".
 
"Oh, non importa, in un quarto d'orad’ora la metto in grado di esserne professore. Il metodo splende da sé, come il sole. Quale è la tonica nella chiave di ''Do''?".
 
"Le sono riconoscente, maestro, veramente riconoscentissimo di volermi istruire, e la pregherò anzi di farlo un'altraun’altra volta. Ma le sembra che uno possa impancarsi da arbitro in una materia che conosce a mala pena e da poche ore e per sola teoria? Bisognerebbe essere troppo sfacciati".
 
Tali ad un dipresso furono le risposte degli altri maestri, cui lo Zen si rivolse. Il pover'uomopover’uomo era già stato tre volte alla casa del maestro Chisiola; ma questi, un po'po’ indisposto dopo la sera del concerto, non voleva assolutamente vedere nessuno. Non sapendo dove dar del capo s'avviòs’avviò a gran passi verso la bottega dell'antiquariodell’antiquario usuraio e soprano.
 
Le faccende dello Zen s'imbrogliavanos’imbrogliavano. Ai quattrini suoi, quando ne aveva in tasca, ed a quelli degli altri che si faceva prestare, non attribuiva nessuna importanza; e stupiva nel vedere la gente affannarsi per guadagnare e per ammassare. Il suo stipendio di primo basso nella cappella di San Marco era sequestrato da parecchi mesi; gli azionisti della sua scuola gratuita gettavano appena, in un anno, un centinaio di svanziche, e dagli allievi, anche se gli avessero offerto danaro, non avrebbe accettato un soldo, ma veramente, invece di offrire, chiedevano, ed egli, se aveva, dava, o, mentre era al verde, li conduceva al ''bacaro'' a mangiare ed a bere, finché l'ostel’oste gli faceva credenza. Qualcosa beccava cantando nelle sagre, perché la sua voce rimbombante piaceva ai preti; qualcosa spilluzzicava correggendo bozze di stampa per una tipografia, componendo sonetti per nozze, per nascite, per ricuperata salute, per prima messa, per regresso di parroco, per l'applauditol’applaudito quaresimalista come per la furoreggiante Tersicore, per il negoziante, che apriva bottega di vestiti fatti, come per il bottegaio, che aveva ricevuto un carico di baccalà. Un giorno gli viene in mente di pubblicare un giornale in dialetto per mettere in sempre maggior luce il setticlavio e dire al prossimo la verità: fortuna che in meno di un mese il foglio era bello e sotterrato. Un altro giorno annunzia su tutte le cantonate della città la ''Storia del canto dall'antichitàdall’antichità fino ad oggi'', raccoglie firme e quote di associati: l'operal’opera rimane alla prima faccia della prefazione.
 
Scriveva più sciolto in versi che in prosa, ma il meglio era la poesia vernacola, in cui apparivano qua e là l'ironial’ironia sferzante, la canzonatura ridente dei migliori poeti veneziani; scriveva sempre alla bottega da caffè, in quella del sottoportico ''dei Dai'', quasi seppellita dal ponte vicino, in quella sotto i portici di Rialto, accanto al mercato, ove, splendendo fuori il sole, ci si vedeva appena, ed i sensali, i venditori, i compratori in giacchetta od in maniche di camicia si bisticciavano insieme romorosamente, o rallegravano i contratti di bicchierini con indiavolato baccano. Nel bugigattolo, che portava il sonoro nome di ''Caffè della Gloria'' e che stava tra una bottega di straccivendolo e un botteghino del lotto, il calamaio era formato da una chicchera slabbrata priva di manico, nella quale lo Zen trovava l'ispirazionel’ispirazione.
 
L'antiquarioL’antiquario soprano stava contrattando con una donna pallida, mentre lo Zen entrava ansante nella bottega. Si trattava di una Vergine col Putto in braccio, alta due palmi, tutta in avorio, su cui si scoprivano le tracce di dorature e colori, e nello zoccolo si leggeva una epigrafe del trecento.
 
"Anni addietro" diceva la donna sommessamente, con gli occhi lagrimosi "anni addietro avrei potuto pigliarne cinque marenghi; e non volli, perché questa Madonna era tanto cara alla mia povera mamma, e, quando la pregavo, sorrideva anche a me; come sorride ora".
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"Almeno venti me ne dia".
 
"No" e l'antiquariol’antiquario si rivolse allo Zen, che s'impazientivas’impazientiva. La misera donna uscì; ma, dopo qualche minuto, ricomparve, e, posando la statuetta lentamente sopra una tavola ingombra di ciarpami d'ognid’ogni sorta, mormorò:
 
"Se la prenda: i bimbi m'aspettanom’aspettano con il pane".
 
Intascò il denaro e fece per andarsene; ma, trattenuta da un rimorso, tornò indietro, prese in mano la figuretta con delicatezza paurosa, accostando le labbra tremanti al viso soave in atto di baciarlo. Uscita finalmente dalla bottega si asciugava le lagrime, mentre correva dal fornaio.
 
"Oh, appunto, se non capitavi sarei venuto io a destarti" brontolò l'antiquariol’antiquario, guardando lo Zen; e gli domandò in tono brusco:
 
"Non pensi a pagare?".
 
"Ho altro per il capo io. Volevo chiederti un consiglio, perché sei uomo avveduto e so che, in fondo, mi vuoi bene. Leggi la 'Lira’Lira?'".
 
"Capisco. Ti sei accorto di avere fatto una delle tue solite bestialità, accettando la proposta del giudizio musicale, e vorresti rimediare".
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"No davvero. Venivo a sentire da te un parere circa i due nomi di autorevoli maestri, cui potrei indirizzarmi".
 
"Quanti t'hannot’hanno detto di no fino ad ora?".
 
"Facciamo il conto" e pronunciava i nomi, e numerava sulle dita: "Sette".
 
"Puoi stare certo che per l'unal’una ragione o per l'altral’altra, col bel garbo o villanamente, tutti, in conclusione, ti risponderanno del pari. Smettila, smettila col tuo setticlavio".
 
"Intanto non potresti accettare tu?".
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"Nulla. Anzi fra una settimana rischio di farmi cacciare di casa, sequestrare i pochi mobili, e portar via il pianoforte e la musica. Che cosa sarà della mia povera scuola?".
 
"Mi avevi parlato, tempo fa, di una somma che certi tuoi conoscenti t'avevanot’avevano spedito, non so da quale cittaduzza, per la stampa di una strenna, scritta da essi, e che dovrà uscire gli ultimi giorni dell'annodell’anno. Mancano ancora cinque mesi".
 
"Mi tempestano di lettere, aspettano ansiosamente di giorno in giorno le bozze, minacciano di venire a Venezia. Bisogna pure che io consegni il manoscritto al tipografo, e ritrovi il denaro già sfumato".
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"E come farei senza pianoforte a insegnare il setticlavio?".
 
"Pigliane un altro a nolo, da un altro negoziante, s'intendes’intende".
 
"Di questi affari non capisco niente. Salvami la scuola: ti domando soltanto questo. Mi fido di te".
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"Troverò io il compratore. Ad un patto però, che il mio nome non debba essere pronunciato in nessun caso. Me lo prometti?".
 
"Lo giuro" e lo Zen, dopo qualche altra parola, uscì con la testa alta, il passo snello, zufolando un'ariettaun’arietta allegra, come se avesse assicurato la scuola per l'eternitàl’eternità. Della "Lira" oramai si dava poco pensiero.
 
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