Memorie per servire alla vita di Dante Alighieri/VIII: differenze tra le versioni

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<center>''Donna mi prega perch'io voglia dire''</center></ref>. Era lo ''Stabili'', come dalle sue Opere apparisce, uno spirito ambizioso, disprezzante ed altiero che delle cose sue aveva maggiore opinione di quelle, che ad un Filosofo convenisse.
 
E quì è a proposito il cercare se Dante avesse alcuna tintura della lingua greca, venendogli non solo apertamente negata fra gli antichi dal ''Filelfo'', e dal ''Manetti'', ma fra i moderni ancora da uomini di vaglia, come da un marchese ''Scipion Maffei'', gloria, ed ornamento delle lettere Italiane, e da altri. E a dire il vero l'autorità di uno dei due citati scrittori della Vita di ''Dante'' è stata di tanta forza nell'animo del dotto Veneziano che scrisse in lingua volgare della letteratura greco-italiana, che doppo aver sostenuta nel nostro Poeta la cognizione di questo idioma, si è creduto in obbligo di ritrattarsi. Ma il sentimento di questi tali non è talmente appoggiato a così valide ragioni, che abbia sicurezza di non esser con giusto impegno combattuto, e forse ancora depresso. Imperocchè facendoci a considerare non solamente le voci greche adoperate da ''Dante'' tanto nel suo Poema, quanto nel suo Convivioe negli altri suoi scritti, ma le maniere di questa lingua fonte di vivissime bellezze, e di nobili e poetiche grazie, di cui l'opera di esso è sparsa con abbondanza, con difficoltà ci immagineremo come, senza averle attinte ne' suoi originali, gli sieno nate naturalmente sotto la penna. E come poteva conoscere di quali encomi era degno il Padre della Greca Eloquenza, {{AutoreCitato|Omero|Omero}}, e con tanta venerazione e lode nominarlo nella sua Commedia, se la feconda poesia di questo non avesse gustata nella lettura de' suoi Poemi? O non vi era nell'età di ''Dante'' una compita versione di questo Poeta, o se mai vi era questa a lui non fu nota, poichè nel convivio scrive che Omero non era stato mutato ancora "di Greco in Latino" e dà con questo maggiormente a credere ch'egli di lui acquistasse la doverosa stima nello scorrere originalmente i suoi versi, e che per conseguenza avesse delle lettere greche piena notizia. In questa forma hanno molti pensato<ref>L'opinione che il nostro Poeta sapesse l'idioma greco è seguitata dal Padre ''Negri'' nella sua Istoria degli scrittori Fiorentini pag. 140. dal ''Boesarde'' presso il ''Pope-Blount censurae celebriorum auctorum'' pag. 139. da monsignore ''Domenico Giorgi'' nelle sue osserv. intorno alla persona di ''Emanuele Grisolora'', che sono nel tom. XXV. della raccolta di opuscoli fatta in ''Venezia'' dal padre ''Calogera''; da monsignore ''Fontanini'' nella sua Eloquenza italiana cap. 15. del lib. 11.; dal canonico ''Giulianelli'' in una postilla manoscritta alla prima edizione di queste mie memorie, e da altri, i quali troppo nojosa inchiesta sarebbe il rammentare.</ref>, ed a chi teneva in contrario ha contraddetto l'''erudito Gio. Lami''<ref>''Domenico Manni'' avendo pubblicata la suddetta sua lezione dell'antichità, oltre ogni credere, delle lettere greche in Firenze, pag. 3. pensò doversi negare senza dubitazione il saper di Greco in ''Dante'', ma il ''Lami'' nel dar ragguaglio di questa operetta nelle sue novelle letterarie del 1762. num. 22. col. 350. si dichiara per l'opinion contraria, e la tien per certa meravigliandosi che altrimenti abbia pensato l'autore di essa. Anche il canonico ''Dionisi'' con buoni argomenti sostenne l'affermativa.</ref> a cui mi piace in tal maniera di unire il mio giudizio con la speranza di non errare con tanta guida. Nè certamente lo studio della lingua greca si spense mai nell'Italia<ref>Vedi il ''Muratori'' nell'antichità italiane de' tempi di mezzo tom. III. dissert. XLIV. ed il suddetto padre ''Grandenigo''. Per questo il citato ''Mehus'' nella vita del ''Traversari'' pag. CCXVII. scrive "''Pari modo graecae litterae Petrarchae sunt acceptae referendae. Fractae enim erant, ac pene sepultae, antequam essent a Petrarca erectae, maioremque datae in lucem. Fractae inquam: neque enim ante Petrarchae tempora excisae in Italia penitus erant, ac funditus deletae''.</ref>
 
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