Pensieri (Leopardi)/CII: differenze tra le versioni

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Gli anni della fanciullezza sono, nella memoria di ciascheduno, quasiSarà forse per una concezione totalizzante e romantica del mondo, oppure per la forte sensibilità che ha sempre caratterizzato la mia persona, o per l'alienazione cui sono arrivato tramite troppe letture e studi eccessivi, o forse più semplicemente per egocentrismo, sarà per una sola di queste cause o per il concorso di tutte e tre, ma talvolta credo davvero che non sia il tempo a modificarmi gli umori, ma che, contrariamente, siano i miei umori a modificare il tempo. Almeno, i movimenti all'interno del mio animo sono tanto repentini quanto quelli del cielo, e soltanto in apparenza sono indipendenti l'uno dall'altro, mentre sento (così mi pare) che tra essi c'è un rapporto di sinergia, o che addirittura i primi esercitano la loro influenza sui secondi.
Gli anni della fanciullezza sono, nella memoria di ciascheduno, quasi i tempi favolosi della sua vita, come, nella memoria delle nazioni, i tempi favolosi sono quelli della fanciullezza delle medesime.
 
Ecco che in giornate come questa di oggi, quando le nuvole sono alte e ingrigiscono il cielo, ma non assorbono tutta la luce, e allora le colline sono scure ma non perdono i loro colori - verdi di tutte le tonalità, giallo, marrone, rosso - e il mare mosso è color argento e spira un vento forte che difficilmente ti lascia passare, ma ti urta e ti sposta per arrivare sempre primo; ecco, dicevo, sento che nel mio animo soffia la stessa bora, che spazza in superficie ma non elimina le nubi, ed io sono in tumulto, e fremo, e ai agito, come le foglie sui rami degli alberi e i pennoni delle barche fatte rullare dalle onde.
 
E' in giornate come queste che ripercorro i miei passi - e cammino sul lungomare e mi figuro questi stessi luoghi quando venivo con Stefano, il mio orso, il mio uomo. Anche se soffiava la bora, e minacciava pioggia, ci piaceva venire qui per poco tempo, e ci sedevamo sul bordo dei moli, le gambe a penzoloni sull'acqua, e parlavamo, cosa hai fatto oggi, sei stanco, hai lavorato troppo, a scuola come va, per poi starcene zitti, ad ascoltare il sibilo del vento tra le imbarcazioni. Io allora mi distendevo sulle sue gambe, col viso rivolto alla sua grossa pancia, e lui mi accarezzava con la mano grande e paffuta. Sembravamo davvero padre e figlio, e ci potevamo scambiare tenerezze senza dar troppo nell'occhio. Venivamo qui perché ci piaceva e "anche perché - diceva - qui nessuno mi conosce". Io pensavo non dura, per una sorta di presentimento che sempre mi accompagnava, e quasi piangevo mentre lui mi toccava, guardando un po' me e un po' il mare, coi suoi occhi azzurri, buoni e imperiosi assieme. Mi voltavo, e già mi abbandonava quel senso di disagio e incertezza; gli passavo un dito sulle labbra e sui baffi, e gli dicevo "ho voglia di baciarli", poi lo toccavo sul torace, volevo che si spogliasse lì su due piedi. Volevo guardarlo come lo avevo guardato la prima volta, in spiaggia, in una giornata del tutto diversa. Allora era estate, il caldo ti portava ad alzarti prestissimo alla mattina per raggiungere le baie rocciose sotto la costiera, e là metterti nudo e continuare a dormire. Poco vento, un cielo limpidissimo e il calore pressante del sole già alto alle sette, pace esteriore e interiore. Stefano arrivava solo, di buon'ora, e se ne andava verso le undici e mezza. Lo osservavo, così peloso, grosso e muscoloso, le spalle larghe e un torace perfettamente modellato; era l' unico a girare scalzo sulle pietre, a tenersi addosso la catenona d'oro e l'orologio. Che uomo, mi dicevo, mentre si tuffava e nuotava ad ampie bracciate al largo; era uno che sapeva il fatto suo, si vedeva. Dopo un lungo bagno si fermava su uno scoglio, seduto, e guardava l'orizzonte, con gli occhi che sembravano scalfire il sole, e che non temevano nulla. Pareva inarrivabile, tanto era bello e maschio, lo guardavo e lo volevo e pensavo che se anche lo avessi avuto non sarebbe andata bene. Credetti di essermi sbagliato, quando mi avvicinai a lui, un giorno in cui eravamo soltanto noi due in spiaggia, e mi dichiarai. Mi aspettavo uno schiaffo, mentre lui mi accarezzò. Accadde soltanto quello, quel giorno, perché lui doveva andare via, ma provai già una sensazione che avrei avuto più volte, poi, accanto a lui: mi sentii trasportato vicino al sole, o forse più in alto, ed ero protetto dalle fiamme dalle sue mani, dal suo corpo.
 
Ripensavo sempre ai nostro primo incontro, mentre lo accarezzavo sul petto. Lui toglieva la mano, diceva "non qui", ci alzavamo e andavamo in macchina, poi in stanza d'albergo. "Ma non hai una casa tu? dimmi, dov'è che ti chiamo, allora, nella tua cabina personale? e perché sempre e solo alla stessa ora?". Non mi rispondeva, si metteva nudo e mi baciava; facevamo l'amore, e dopo mi accarezzava, di nuovo, come aveva fatto in riva al mare, poco prima. Io stavo in silenzio e pensavo che non fosse fatto di carne ed ossa, ma di terra, aria e acqua, di infiniti elementi mischiati dal vento primordiale, credevo che lui fosse un cosmo, e che i suoi occhi davvero fossero solari, se potevano fissare a lungo il bagliore del sole, che il suo corpo fosse materia pura, incorruttibile, inattaccabile. Ma Dio mio, l'orologio - che non si toglieva mai, si doveva proprio piacere con quel pezzone di metallo addosso, e sapeva di appagare il mio feticismo - me lo portava sempre via, perché sempre arrivava un'ora in cui doveva andare. "Vai al lavoro?" gli chiedevo. "No", diceva. Si rivestiva, mi accarezzava per l'ultima volta nella giornata, e spariva. Io scendevo più tardi, a pezzi, e io chiamavo alla solita ora. Mi rispondeva gentile, ma brusco, e a monosillabi. "Stefano, mi ami ?" "Ti voglio bene", sussurrava, quasi temesse di essere sentito da qualcuno, "...ti voglio bene. e basta."
 
Questo era l'appuntamento settimanale, passeggiata, albergo, telefonata; andammo avanti così per quattro mesi, da settembre a dicembre. Lo incontrai però per caso, un giorno di pioggia, o di nebbia, quando non puoi avere paura che il cielo ti crolli addosso perché è già crollato, e tutte le forme svaniscono perdendo prima i contorni, poi scomparendo del tutto, e così fanno la tua mente e la tua anima - morire e vivere in quelle giornate non hanno più senso perché non si possono distinguere. Era assieme ad una donna e a un ragazzo. "Salve" mi disse, a voce bassa e tirando dritto coi passi e con io sguardo. "Salve", risposi io, e non seppi cosa pensare. Ero certo che era finita. Ouel giorno telefonai, a sorpresa; mi rispose una donna; quando me lo passò, egli fece finta di conoscermi appena.
 
Ci rivedemmo, al giovedì, come al solito, anche se direttamente in albergo. Lasciai che facesse l'amore con me, ma non fu certamente splendido. Non appena ebbe finito, non gli permisi di accarezzarmi anche se non credevo che lo avrebbe fatto. Mi alzai, e gli chiesi per avvalorare un sospetto che era evidentemente vero ma al quale non volevo credere "erano tua moglie e tuo figlio, quelli?" "Sì, a dire il vero". Era la prima volta che aggiungeva qualche parola dopo un si o un no. "Senti - aggiunse - io non sono né sono mai stato frocio. Mi è piaciuto scoparti, e basta. Certo, ti voglio bene, come amico. Ma non sono frocio". Quale desolazione, quale disgusto, quale pena mi faceva quell'uomo che mi pareva tanto forte e che al contrario era tanto debole da nascondere a se stesso una parte di sé. Quale rabbia provavo per me, che lo avevo amato e idolatrato nonostante i miei presentimenti e la meccanicità dei nostri appuntamenti. Tuttavia non ebbi niente da dire, e non parlai. "Io non posso vederti più. Mia moglie sospetta qualcosa, si ricorda ancora di mie scappatelle precedenti". Lo guardai rivestirsi per l'ultima volta, senza una lacrima, osservai quelle cosce, quei polpacci, quel petto e il suo oro, sentii i suoi baffi sulle labbra perché mi baciò, allora, prima di andarsene. Io rimasi in silenzio ancora per molto tempo. Non narro la confusione, il dolore, l'ira, il rimorso che provai in quei momenti, e anche dopo. Andandomene, giurai a me stesso che mai e poi mai avrei pensato a Stefano, che mai e poi mai avrei rivisto i posti dove ero venuto con lui. Ma in giornate come queste, quando la bora è fuori e dentro di me, ripasso sulle mie orme, e torno là dove mi appoggiavo sulle sue gambe, e lui mi accarezzava. Provo ancora tristezza per lui, in fondo lo amo ancora; non posso pensare di essermi sbagliato del tutto, né voglio vivere pieno di rancore. Stefano era, in qualche modo, un uomo forte, perché ci vuole forza anche per fingere tutta la vita. Egli è ancora con me, nelle cose, nei pensieri, in ciò che sono adesso. E' per causa sua se non smetto di cercare il vero amore: con lui ho fatto il primo passo.
 
Gli anni della fanciullezza sono, nella memoria di ciascheduno, quasi i tempi favolosi della sua vita, come, nella memoria delle nazioni, i tempi favolosi sono quelli della fanciullezza delle medesime.
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