Cuore (1889)/Maggio/La sordomuta: differenze tra le versioni

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La pioggia dalle mie parti non e' un evento al quale siamo abituati. Vivo al sud, in una delle zone piu' belle ed assolate d'Italia: il Salento. Temperature miti, estati molto calde e non eccessivamente umide, mare splendido. La pioggia e' un evento non particolarmente frequente e comunque mai avevo visto un temporale cosi' forte, specialmente alla fine di maggio. Auto ferme ai lati delle strade, signore impacciate sotto gli ombrelli con le gambe nell'acqua fino al ginocchio e le macchine in panne, uomini imprecanti fuori dalle loro vetture contro chissa' chi che aveva ostacolato i loro programmi di lavoro. Di sicuro il peggior temporale degli ultimi anni.
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|NomeCognome=Edmondo De Amicis
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|AnnoPubblicazione=1888
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28, domenica
 
Anche io, a modo mio, ero stato tra le vittime della cosa: una signora che probabilmente pensava di poter diminuire i rischi aumentando la velocita', si era scagliata sulla mia auto frantumando il paraurti. Il mio primo incidente, ed ero molto contrariato.
 
Il danno era evidentemente grande, e decisi di affrontare il problema il giorno successivo, recandomi da un carrozziere non lontano da casa mia. Ne avevo sentito parlare come uno dei 'piccoli carrozzieri' ancora esistenti nella mia citta'. Per natura fuggo dalle grandi officine o dalle concessionarie, che spesso lavorano 'su larga scala' trascurando i rapporti umani e svolgendo lavori spesso approssimativi. La mia auto per me e' solo un mezzo di trasporto, ma mi piace averla efficiente da ogni punto di vista.
 
Rocco, il carrozziere, e' un uomo che abita nel rione nel quale vivo anche io, una zona bella, periferica, ma molto popolare del mio quartiere. Lo incontravo spesso al tabaccaio, quando andavo a giocare la schedina. Un uomo sui 45 anni, alto circa 178, un 90 di chili ben distribuiti su una struttura massiccia e soda. Decisamente un uomo del sud, ad eccezione degli occhi, di un celeste disarmante. Pelosissimo, capelli cortissimi, collo taurino, cosce sode e torace ampio. Mi sorprendevano le sue mani rudi ma aggraziate, ed il suo viso, forte e rude ma nello stesso tempo dolce. Lo incontravo spesso dal macellaio, nella sua tuta azzurra, sempre cortese nel suo parlare un dialetto perfetto che lo rendeva ancora piu' maschio.
Non potevo finirlo meglio che con la visita di questa mattina il mese di maggio. Udiamo una scampanellata, corriamo tutti. Sento mio padre che dice in tuono di meraviglia: - Voi qui, Giorgio? - Era Giorgio, il nostro giardiniere di Chieri, che ora ha la famiglia a Condove, arrivato allora allora da Genova, dov'era sbarcato il giorno avanti, di ritorno dalla Grecia, dopo tre anni che lavorava alle strade ferrate. Aveva un grosso fagotto fra le braccia. È un po' invecchiato, ma sempre rosso in viso e gioviale.
 
Non ho mai fatto sesso con un uomo. Sono per natura molto tollerante e non ho alcun tipo di blocco o inibizione sessuale, ma credo di essere una delle tante persone che sono cresciute senza porsi interrogativi sulla propria natura, seguendo un cammino probabilmente delineato da altri: famiglia, cultura, societa'. Ero fidanzato con Giulia, una donna molto bella e disinibita, 5 anni piu' piccola di me (io ne ho 38). Eppure, da tempo, pur nel pieno soddisfacimento delle sue voglie, sentivo nascere in me un forte desiderio quando incontravo persone con le caratteristiche di Rocco. Anche io sono un bel maschietto: 170 80, fisico molto muscoloso ma non palestrato, pelosissimo ovunque, culetto tondo e sodo, gambe pelose e muscolose, capelli rasati e pizzetto, viso carino e maschile. Mi ero spesso chiesto perche' mi attraevano molto figure piu' grandi di me, dall'aspetto un po' rozzo (manovali, meccanici, muratori, camionisti) del tutto diverse dalle figure che il mio lavoro (sono un esperto di informatica aziendale) mi faceva incontrare normalmente, ovvero gli uomini incravattati, tutti uguali, i cosiddetti 'uomini grigi' di una bella favola moderna. Spesso, scopando con Giulia, pensavo alla possibilita' di avere un corpo maschio e peloso al posto di quello splendido corpo femminile. La crisi con Giulia era arrivata a piccoli passi, perche' non accettavo di mentire ad una persona cosi' bella. Ma avevo deciso di prendere tempo e capire.
Mio padre voleva che entrasse; ma egli disse di no, e domandò subito, facendo il viso serio: - Come va la mia famiglia? Come sta Gigia?
 
Arrivai da Rocco alle 18:30. Rocco era splendido, nella sua tuta, anche se affaticato ed unto. I suoi occhi celesti ed il suo sguardo dolce erano uno splendido contrasto rispetto all'aspetto tozzo e burbero del suo fisico. 'Come sta, Dottore?', mi disse. 'Bene, Rocco, ma per favore io sono Luca'. 'Grazie Dottore, e mi tese la mano in segno di gratitudine'. Strinsi quella mano forte, e ne assaporai la decisione ed il calore. Mi sembro' stupendo stringerla, ed indugiai, guardando sempre Rocco in viso, in quegli occhi dolci e maschi.
- Bene fino a pochi giorni fa, - rispose mia madre.
 
Dopo un intervallo di tempo che mi sembro' durare un,eternita', ci recammo a vedere l'ammontare dei danni. 1500 euro, il terribile preventivo. Cazzo, in quel difficile momento, era complicato affrontare una spesa cosi' grande, avevo altre priorita', ma decisi di eseguire in ogni caso il lavoro. Chiesi a Rocco se potevo offrirgli un caffe', e lui accetto' con piacere, dicendomi che la sua giornata di lavoro era conclusa. Mi disse che doveva cambiarsi, e mi chiese di attenderlo un momento. Lo seguii con gli occhi, mentre si dirigeva verso lo spogliatoio, abbassando la zip della tuta e scoprendo cosi', appena, un enorme torace contentuto da una canottiera a costine, dalla quale emergevano peli neri e riccioloni. Cazzo, come avrei voluto seguirlo in quello spogliatoio e guardarlo mentre si spogliava. Non so cosa avrei potuto fare, ma lo stimolo era quello di guardarlo. Difficile fare con lui le cose che f acevo con Giulia. Cosa si puo' fare con un corpo cosi' maschio. Nel pensarlo mi eccitavo ed essendo piuttosto dotato (ho un cazzo non molto lungo, ma molto grosso e con una grande cappella) credo che la mia erezione fosse evidente.
Giorgio tirò un gran sospiro: - Oh! Sia lodato Iddio! Non avevo il coraggio di presentarmi ai Sordomuti senz'aver notizie da lei. Io lascio qui il fagotto e scappo a pigliarla. Tre anni che non la vedo la mia povera figliuola! Tre anni che non vedo nessuno dei miei!
 
Fortunatamente non c'era nessuno in giro, a parte Rocco, che nel frattempo si era rivestito: un paio di jeans, scarpe da lavoro beige e camicia cotone a scacchi rossa e nera, con addosso un gilet da escursionista: ero preso dal suo aspetto, e mi chiedo se avesse notato il mio interesse acerbo o la mia erezione.
Mio padre mi disse: - Accompagnalo.
 
Andammo in un bar vicino: l'officina di Rocco si trovava in una zona periferica, molto popolare, la zona nella quale ero cresciuto. Il bar era pieno di bulletti, di 18 enni in scooter, di gente semplice ma interessante. Rocco mi chiese subito se facevo sport: a suo avviso dovevo allenarmi ogni giorno, a giudicare dal fisico possente che avevo. Gli dissi che facevo arti marziali, lotta, e lui disse che ora si spiegava quel fisico massiccio e quella muscolatura. Mi tasto' i bicipiti, ma lo fece in un modo bellissimo, chiudendo la sua possente mano quasi a voler misurare la cinronferenza del mio braccio, non a volerne constatare da durezza. Poi disse che per fortuna pero', non ero come quei body builders senza un pelo e tutti gonfi, e si soffermo' a guardare la panzetta che emergeva dai jeans e poggio' la sua mano, con segno di ammirazione. Non so cosa abbia provocato quel tocco maschio e gentile, sicuro ma sensuale, ma ebbi un'erezione spaventosa, e credo di essere diventato rosso in viso.
- Ancora una parola, mi scusi, - disse il giardiniere sul pianerottolo.
 
La cosa divento' incontenibile quando Rocco mi disse che lui non faceva sport, e che si vedeva dalla sua pancetta. Per dimostrarlo sollevo' la canottiera, e mire in mostra una pancia non troppo pronunciata, pelosissima. Non era una pancia informe e gonfia, ma un addome spesso e duro. Ci poggiai la mano, e la mia erezione fu totale. Credo che Rocco abbia notato il mio coinvolgimento. I suoi occhi avevano mostrato un,espressione splendida, si erano inumiditi e si erano illuminati, assumendo un colore piu' vivo, ed arricchendosi di una dolcezza incredibile.
Ma mio padre l'interruppe: - E gli affari?
 
Avevo fretta di riavere la mia auto, ed esposi la cosa a Rocco, che mi suggeri' un trucco per risolvere il problema: gli avrei dovuto portare l'auto l'indomani mattina (un sabato), giornata in cui normalmente lui non lavorava. Sarebbe cosi' stato libero di lavorare solo sulla mia auto.
- Bene, - rispose, - grazie a Dio. Qualche soldo l'ho portato. Ma volevo domandare. Come va l'istruzione della mutina, dica un po'. Io l'ho lasciata che era come un povero animaletto, povera creatura. Io ci credo poco, già, a questi collegi. Ha imparato a fare i segni? Mia moglie mi scriveva bene: - Impara a parlare, fa progressi. - Ma, dicevo io, che cosa vale che impari a parlare lei se io i segni non li so fare? Come faremo a intenderci, povera piccina? Quello è buono per capirsi fra loro, un disgraziato con l'altro. Come va, dunque? Come va?
 
Cosi' feci, e l'indomani mattina, alle 6:30 (l'orario estivo era dalle 6 alle 14) giunsi assonnato da Rocco, nei miei calzoncini militari e con la mia tshirt verde, cappellino mimetico e scarpe da trekking. Rocco era appena arrivato, e quando mi vide mi squadro' da capo a piedi ed esplose in un non atteso 'Complimenti, Dotto'', che mi lascio' senza fiato. Corse a cambiarsi e, a differenza del giorno precedente, torno' con un paio di calzoni blu ed una tshirt bianca, che mettevano in risalto il suo corpo meraviglioso. La zip era aperta a meta', lasciando intravedere maglieria intima bianca a costine.
Mio padre sorrise, e rispose: - Non vi dico nulla; vedrete voi; andate, andate; non le rubate un minuto di più.
 
'Normalmente in officina non e' ammesso nessuno, Dotto'', mi disse Rocco, ma se chiudiamo la saracinesca sarei contento che lei restasse qui, il lavoro sara' meno pesante'. Accettai con piacere e, dopo essere andato a comprare due caffe' dal bar vicino, chiusi alle mie spalle la saracinesca.
Uscimmo; l'istituto è vicino. Strada facendo, a grandi passi, il giardiniere mi parlava, rattristandosi. - Ah! la mia povera Gigia! Nascere con quella disgrazia! Dire che non mi son mai sentito chiamar padre da lei, che lei non s'è mai sentita chiamar figliuola da me, che mai non ha detto né inteso una parola al mondo! E grazia che s'è trovato un signore caritatevole che ha fatto le spese dell'istituto. Ma tanto... prima degli otto anni non c'è potuta andare. Son tre anni che non è in casa. Va per gli undici, adesso. È cresciuta, mi dica un po', è cresciuta? È di buon umore?
 
Rocco si mise subito al lavoro. Ero vicino a lui, e gli reggevo la lampada con la quale illuminavo la zona del paraurti sulla quale lavorava. Lui era steso sul piccolo carrello con 4 ruote, che gli consentiva di infilarsi sotto l'auto, dal lato anteriore. Io dovevo illuminare la zona anteriore del sotto l'auto. Usavo un plaid a scacchi, per evitare di insudiciarmi, messo che il pensiero di sporcarmi passasse anche di striscio per la mia mente.
- Ora vedrete, ora vedrete, - gli risposi affrettando il passo.
 
Ero vicinissimo a Rocco. Sentivo il suo respiro, sentivo l'aroma del suo corpo, l'odore intenso che veniva fuori da quella zip semiaperta. Sentivo le sue espressioni di strizza quando un bullone non si allentava, rispondevo alle sue richieste quando mi diceva di illuminare meglio una zona. Si era creata un'intesa molto bella, e mi sentivo sempre piu' vicino ed attratto da quel corpo. Ad un tratto non riuscii a controllare piu' le mie emozioni. Rocco era steso, la schiena ricurva per cercare la forza per allentare un bullone, le gambe leggermente divaricate a far da spinta sui polpacci per raccogliere la forza, quella zip semi aperta, e la pancia scoperta con il pelo che fuoriusciva. Tremavo ma desideravo non so neanche io cosa, forse solo guardare quel corpo, forse solo sentire quel calore piu' vicino a me. Rocco mi chiese di illuminare un po, piu' in fondo, e dovetti spingermi quasi al suo fianco, per raggiungere la zona indicata. A quel punto posai la mano sinistra, per restare in equilibrio, sul suo torace. Il mio viso e quello di Rocco erano vicini. Al tocco della mia mano, Rocco socchiuse gli occhi, e sentii tutta la sua forza e la sua tensione rilassarsi. Riapri' gli occhi e fisso' i miei, senza dire nulla, poi li riarpri', e vidi gli occhi piu' belli che mi fosse mai capitato di vedere.
- Ma dov'è quest'istituto? - domandò. - Mia moglie ce l'accompagnò ch'ero già partito. Mi pare che debba essere da queste parti.
 
Rocco aveva mollato la tensione fisica, si era lasciato andare, aveva disteso le gambe, lasciandole sempre divaricate. Lascio' la chiave inglese che aveva nella sua mano sinistra, e mise la mano forte e calda dietro la mia nuca, sempre guardandomi negli occhi. 'Dotto'', mi disse, 'Dotto' e tiro' dolcemente a se il mio capo, fino a far venire a contatto le nostre bocche. Mi baciava intensamente, prendendo nella sua bocca la sua saliva, ripassandomi la sua, in un intreccio totale, in un abbandono immediato. Anche io aprivo la mia bocca in maniera diversa da come facevo normalmente. I baci con Giulia erano belli, ma qui mi rendevo conto che anche io potevo ricevere qualcosa. Tremavo, ero rosso in viso, e desideravo esprimere tutto quello che sentivo per quell,uomo. 'Usciamo da qui, Dotto'', mi disse Rocco. Sentivo l'imbarazzo di interrompere quel momento, di ritrovarmi al cospetto di quell'uomo cosi' come lo avevo visto fino al giorno prima: il mio carrozziere, ma nello stesso tempo volevo creare condizioni di maggiore comodita'. Rocco continuava a baciarmi. Ci sollevammo in piedi, e Rocco mi strinse forte, infilando la lingua nel mio orecchio destro, neanche avesse capito che quello mi avrebbe fatto perdere il controllo. Ed infatti le mie gambe tremavano, ed il fiato divenne piu' pesante. Rocco mi prese per mano. Non avevo mai visto due uomini prendersi per mano, e forse se mi fossi visto da lontano mi sarei sentito ridicolo, ma quell'uomo maschio e sudato mi teneva per mano, e mi portava nel suo ufficio, e la cosa mi sembrava tutto fuorche' che grottesca.
Eravamo appunto arrivati. Entrammo subito nel parlatorio. Ci venne incontro un custode. - Sono il padre di Gigia Voggi, disse il giardiniere; - la mia figliuola subito subito. - Sono in ricreazione, - rispose il custode, - vado a avvertir la maestra. - E scappò.
 
Rocco mi fece stendere per terra, su un tappeto ampio e soffice, perfettamente pulito. Sempre baciandomi, mi tolse la t-shirt,, ed inizio' a leccare e mordere i miei capezzoli. Mai nessuno mi aveva stimolato li'. Ero io, normalmente, a torturare i capezzoli di Giulia, ma perche' questa cosa mi stava facendo impazzire? Piu' Rocco continuava a leccarmi i capezzoli, piu' imarcavo la schiena, in preda a veri e propri spasmi che riuscivo a contenere con difficolta'. Rocco tolse i calzoncini. Lo faceva con la mano destra, mentre con la sinistra mi teneva la nuca, piantandomi la lingua nel collo. Anche io avevo voglia di toccarlo, e provai a muovere la mano verso il suo cazzo, ma Rocco mi blocco' il polso, dicendomi deciso 'Dopo, Dotto', dopo: ora tocca a me'. Ero nudo. Rocco toccava tutto il mio corpo con ogni mezzo, mani, lingua, strusciandosi su di me col cazzo duro e grosso. Era un cazzo di 18 cm, ma enorme, grosso, con una cappella gigante, con una grande fessura e molta pelle intorno.Lo sentivo sull'ombelico, lo sentivo sui coglioni, lo sentivo sulla pancia, ne sentivo l'aroma. Avevo il bisogno di annusarlo, anche di leccarlo, di succhiarlo e di provare a fare quello che non avevo mai fatto ma che Giulia mi faceva regolarmente: prendere il suo cazzo in bocca, e farlo godere nella mia pancia. Ed invece fu Rocco a scendere verso il mio cazzo ed a prenderlo in bocca. Non avevo mai sentito una sensazione cosi' forte. Rocco era dolcissimo, stimolava il mio cazzo in maniera delicata, facendo roteare la lingua alla base della mia grande cappella, infilando la lingua nella fessura.
Il giardiniere non poteva più né parlare, né star fermo; guardava i quadri alle pareti, senza veder nulla.
 
Nello stesso tempo, solleticava il buchetto peloso del mio culo, con un dito. Era una sensazione strana, e mi contraevo ogni volta che provava a spingerlo dentro, ma Rocco mi diceva di calmarmi, mi avrebbe solo fatto godere. Ed era vero, provavo sensazioni splendide, quando il suo pompino inesorabilmente mi portava a due passi dal piacere, lentamente, per poi fermarsi proprio quando stavo per sborrare. Era una stimolazione incredibile, ma Rocco si fermava sempre. Ad un tratto si sollevo' su di me, in piedi, e prese a spogliarsi completamente. Era un toro, un gigantesco uomo che guardavo dal basso con ammirazione e passione. Rocco si mise in modo che io potessi succhiare il suo cazzo, e prese in bocca il mio, in un meraviglioso 69. Avere il suo cazzo in bocca non fu una sorpresa: mi sorpresi a muovermi all'unisono con lui, ad accogliere il suo cazzo nella mia gola come lui accoglieva il mio, in una sintonia quasi magica. Rocco era forte, e comandava, essendo in alto, i ritmi della cosa, ma i nostri corpi si erano sincronizzati, ed il ritmo era simultaneo.
La porta s'aperse: entrò una maestra, vestita di nero, con una ragazza per mano.
 
Quando il piacere stava per esplodere, Rocco mi si avvicino', guardandomi dolcemente e toccandomi tra le cosce, e mi disse 'Voglio entrare dentro di te, ma so che sei vergine, e so che se ci provo perderai l'eccitazione. Prima che questo accada ti voglio dentro di me, ti va?'. Lo guardavo. Mi sorrideva dolcemente, e si vedeva che le parole venivano da una parte molto profonda di lui.
Padre e figliuola si guardarono un momento e poi si slanciarono l'uno nelle braccia dell'altro, mettendo un grido.
 
Lo feci adagiare sulla spalla, e lui inarco' il bacino, dopo aver messo un cuscino sotto la schiena. Leccai il suo buchetto con sapienza, sentendolo gemere per il piacere. Mi tirava per la nuca a se', spingeva la mia lingua dentro il suo buco, mugolando, e fremendo di piacere.
La ragazza era vestita di rigatino bianco e rossiccio, con un grembiale grigio. È più alta di me. Piangeva e teneva suo padre stretto al collo con tutt'e due le braccia.
 
Mi sollevai e risalii percorrendo la sua pancia con la mia lingua, piano, indugiando sull'ombelico, risalendo ai capezzoli, leccando i lobi delle sue orecchie, finche' la mia cappella venne a contatto con il suo buco. Lo sentivo aprirsi, chiamarmi dentro, lo sentivo desiderarmi.
Suo padre si svincolò, e si mise a guardarla da capo a piedi, coi lucciconi agli occhi, ansando come se avesse fatto una gran corsa; e sclamò: - Ah! com'è cresciuta! come s'è fatta bella! Oh la mia cara, la mia povera Gigia! La mia povera mutina! È lei, signora, la maestra? Le dica un po' che mi faccia pure i suoi segni, che qualche cosa capirò, e poi imparerò a poco a poco. Le dica che mi faccia capire qualche cosa, coi gesti.
 
Entrai piano, ogni centimetro del mio cazzo penetrava lentamente allargandolo dolcemente, ed ad ogni lenta avanzata, lui spalancava gli occhi e mi sorrideva, tirando a se' il mio viso per baciarmi. Mai una fusione cosi' forte, nella mia vita, mai una tale esaltazione di passione e desiderio. Rocco si inarcava, mi tirava per i fianchi con le sue gambe possenti, gestiva il suo ed il mio ritmo, si apriva risucchiandomi, facendomi sentire quanto mi desiderava, ed in che modo mi voleva. Ad un certo punto sentii che il piacere stava per giungere. Sentii la mia prostata pulsare, e sentii un calore incredibile partire dal mio bacino e salire verso le ascelle. Frenai, perche' volevo che anche Rocco godesse con me, ma Rocco mi disse ancora, sorridendo 'Dopo, Dotto', dopo'. Rallentai il ritmo, riservandomi energia per le botte finali. L'orgasmo giunse fragoroso, e spinsi il mio cazzo completamente nel corpo di Rocco. Il mio sperma venne fuori copioso (ho uno sperma molto denso, ma non abbondantissimo, ma credo di averlo inondato), e Rocco mi guardo' costantemente in viso, sorridendo per le espressioni del mio piacere e per i suoni che emettevo. 'Resta dentro di me', mi disse Rocco, 'non muoverti, fammi sentire che non e' stato solo un momento'. La cosa mi infiammo', mi riempi' di un calore strano. Che stava succedendo. Ero dentro un uomo, una persona del mio stesso sesso, e mi sentivo unito a lui come mai ero stato unito a qualcuno. Ero fortemente preso dalla cosa, e sentivo che il mio cazzo si riprendeva, sotto la spinta di quest'enorme stimolo mentale, quasi affettivo, anche se avevo paura a dirmelo. Quando tirai fuori il mio cazzo semirigido da Rocco, mi resi conto che lo sperma doveva essere stato molto piu' abbondante del solito. A quel punto Rocco mi bacio' nuovamente, mi fece stendere sulle spalle, a pancia in su, e scese a succhiarmi il cazzo, ripulendolo completamente dalle tracce di sperma che c'erano. Lo faceva con la sua solita dolcezza di maschio, e guardandomi in viso con complicita'. Nulla mi infastidiva di quello che accadeva, tutto mi sembrava enormemente pulito e bello.
La maestra sorrise e disse a bassa voce alla ragazza: - Chi è quest'uomo che t'è venuto a trovare?
 
Scese a leccarmi il buchetto. Lo apriva con le dita, e vi ficcava la lingua. Non avevo mai sentito nulla nel mio buchetto, neanche il dito di Giulia, quando cercava di provocarmi sensazioni diverse mentre mi faceva un pompino. Mi irrigidivo all'idea che lei potesse penetrarmi. Ma perche' allora cercavo il dito di Rocco? Perche' lo desideravo cosi' tanto al punto quasi da succhiarlo dentro? Perche' ricercavo avido la sua lingua quando la posava sui contorni del mio buchetto, sussultando e contraendomi quando entrava dentro?
E la ragazza, con una voce grossa, strana, stuonata come quella d'un selvaggio che parlasse per la prima volta la nostra lingua, ma pronunciando chiaro, e sorridendo, rispose: - È mi-o pa-dre.
 
Ad un tratto Rocco si fece deciso. Mi guardo' in viso, mi bacio' e mi accarezzo' dolcemente. Si avvicino' a me e, fra un bacio e l,altro, mi disse teneramente 'Luca, io non voglio farti male, ma ti desidero, e purtroppo so che ti faro' un po' di male. Ma voglio unirmi a te, voglio sentirti mio e farti sentire il mio piacere, il mio corpo. Lo vuoi? Se non ti va, aspettero''. Per tutta risposta lo baciai, teneramente, e gli offrii il mio corpo, inarcandomi. Mi disse che voleva guardarmi in viso, mentre lo ricevevo, anche se in questa posizione avrei sofferto di piu'. Gli dissi che andava bene. Poso' la sua cappella enorme sul mio buchetto umido e completamente bagnato. Disse di rilassarmi, di spingere delicatamente fuori, di guardarlo in viso e di lasciarlo entrare. Mi preparavo a questa sensazione, completamente rilassato, quando Rocco entro' piano ma inarrestabile dentro di me, senza fermarsi prima che i suoi coglioni fossero arrivati a contatto del buco. Poi una leggera e veloce marcia indietro, per far risistemare i miei tessuti, e poi tutto dentro. Fu un lento ed inesorabile trasalire, che potetti soffocare solo grazie ad un bacio passionale, durante il quale ingoiai la sua lingua. Un forte stimolo, anche doloroso, ma potente e concreto, che mi riempii di calore ed energia. Si, io e Rocco ci scambiavamo energia. Si fermo', baciandomi a lungo. Poi i suoi occhi si fecero maschi e decisi, ed inizio' a lavorarmi. Era doloroso, ma la mia mente voleva avere quell'uomo dentro, e facilitava le cose producendo un livello di rilassatezza incredibile e per me inimmaginabile. Rocco inizio' a cavalcarmi, forte e deciso, estraendo tutto il suo cazzo completamente fuori e rinviandolo, facendomi gridare ad ogni nuovo inserimento di quell'enorme cazzo. Lo volevo, lo volevo dentro di me, e glielo comunicavo c on gli occhi. Rocco incalzo' il ritmo, prese a penetrarmi quasi con furia, ed il mio dolore si tramuto' in piacere, un piacere che rincorrevo con lui. Ad un certo punto i muscoli di Rocco si tesero, rocco spalanco' gli occhi e mi guardo' con passione e dolcezza dicendomi che stava per godere. Due o tre altre botte, e la mia prostata fu stimolata a punto tale che godetti proprio mentre sentivo nell'addome un caldo getto di sborra, poi un secondo, poi sentii il fiato del mio uomo, avvertii il battito del suo cuore, vidi gli occhi che si schiudevano dopo un'espressione dolcissima.
Il giardiniere diede un passo indietro e gridò come un matto: - Parla! Ma è possibile! Ma è possibile! Parla? Ma tu parli, bambina mia, parli? dimmi un poco: parli? - E di nuovo l'abbracciò e la baciò sulla fronte tre volte. - Ma non è coi gesti che parlano, signora maestra, non è con le dita, così? Ma cosa è questo?
 
Rocco rimase dentro di me per tanto tempo, a lenire quel dolore con baci e piccole stimolazioni.
- No, signor Voggi, - rispose la maestra, - non è coi gesti. Quello era il metodo antico. Qui s'insegna col metodo nuovo, col metodo orale. Come non lo sapevate?
 
Io e Rocco viviamo ora insieme. Ho lasciato Giulia e vivo sentendomi uomo come forse mai mi ero sentito prima.
- Ma io non sapevo niente! - rispose il giardiniere, trasecolato. - Tre anni che son fuori! O me l'avranno scritto e non l'ho capito. Sono una testa di legno, io. O figliuola mia, tu mi capisci, dunque? Senti la mia voce? Rispondi un poco: mi senti? Senti quello che ti dico?
 
- Ma no, buon uomo, - disse la maestra, - la voce non la sente, perché è sorda. Essa capisce dai movimenti della vostra bocca quali sono le parole che voi dite; ecco la cosa; ma non sente le vostre parole e neppure quello che essa dice a voi; le pronuncia perché le abbiamo insegnato, lettera per lettera, come deve atteggiar le labbra e muover la lingua, e che sforzo deve far col petto e con la gola, per metter fuori la voce.
 
Il giardiniere non capì, e stette a bocca aperta. Non ci credeva ancora.
 
- Dimmi, Gigia, - domandò alla figliuola, parlandole all'orecchio, - sei contenta che tuo padre sia ritornato? - E rialzato il viso, stette a aspettar la risposta.
 
La ragazza lo guardò, pensierosa, e non disse nulla.
 
Il padre rimase turbato.
 
La maestra rise. Poi disse: - Buon uomo, non vi risponde perché non ha visto i movimenti delle vostre labbra: le avete parlato all'orecchio! Ripetete la domanda tenendo bene il vostro viso davanti al suo.
 
Il padre, guardandola bene in faccia, ripeté: - Sei contenta che tuo padre sia ritornato? che non se ne vada più via?
 
La ragazza, che gli aveva guardato attenta le labbra, cercando anche di vedergli dentro alla bocca, rispose francamente:
 
- Sì, so-no contenta, che sei tor-na-to, che non vai via... mai più.
 
Il padre l'abbracciò impetuosamente, e poi in fretta e in furia, per accertarsi meglio, la affollò di domande.
 
- Come si chiama la mamma?
 
- An-tonia.
 
- Come si chiama la tua sorella piccola?
 
- A-de-laide.
 
- Come si chiama questo collegio?
 
- Dei sor-do-muti.
 
- Quanto fa due volte dieci?
 
- Venti.
 
Mentre credevamo che ridesse di gioia, tutt'a un tratto si mise a piangere. Ma era gioia anche quella.
 
- Animo, - gli disse la maestra, - avete motivo di rallegrarvi, non di piangere. Vedete che fate piangere anche la vostra figliuola. Siete contento, dunque?
 
Il giardiniere afferrò la mano alla maestra e gliela baciò due o tre volte dicendo: - Grazie, grazie, cento volte grazie, mille volte grazie, cara signora maestra! E mi perdoni che non le so dir altro!
 
- Ma non solo parla, - gli disse la maestra; - la vostra figliuola sa scrivere. Sa far di conto. Conosce il nome di tutti gli oggetti usuali. Sa un poco di storia e di geografia. Ora è nella classe normale. Quando avrà fatte le altre due classi, saprà molto, molto di più. Uscirà di qui che sarà in grado di prendere una professione. Ci abbiamo già dei sordomuti che stanno nelle botteghe a servir gli avventori, e fanno i loro affari come gli altri.
 
Il giardiniere rimase stupito daccapo. Pareva che gli si confondessero le idee un'altra volta. Guardò la figliuola e si grattò la fronte. Il suo viso domandava ancora una spiegazione.
 
Allora la maestra si voltò al custode e gli disse:
 
- Chiamatemi una bimba della classe preparatoria.
 
Il custode tornò poco dopo con una sordomuta di otto o nove anni, entrata da pochi giorni nell'istituto.
 
- Questa, - disse la maestra, - è una di quelle a cui insegniamo i primi elementi. Ecco come si fa. Voglio farle dire e. State attento. - La maestra aperse la bocca, come si apre per pronunciare la vocale e, e accennò alla bimba che aprisse la bocca nella stessa maniera. La bimba obbedì. Allora la maestra le fece cenno che mettesse fuori la voce. Quella mise fuori la voce, ma invece di e, pronunziò o. - No, - disse la maestra, - non è questo. - E pigliate le due mani della bimba, se ne mise una aperta sulla gola e l'altra sul petto, e ripeté: - e. - La bimba, sentito con le mani il movimento della gola e del petto della maestra, riaperse la bocca come prima, e pronunziò benissimo: - e. - Nello stesso modo la maestra le fece dire c e d, sempre tenendosi le due piccole mani sul petto e sulla gola. - Avete capito ora? - domandò.
 
Il padre aveva capito; ma pareva più meravigliato di quando non capiva. - E insegnano a parlare in quella maniera? - domandò, dopo un minuto di riflessione, guardando la maestra. - Hanno la pazienza d'insegnare a parlare a quella maniera, a poco a poco, a tutti quanti? a uno a uno?... per anni e anni?... Ma loro sono santi, sono! Ma loro sono angeli del paradiso! Ma non c'è al mondo una ricompensa, per loro! Che cosa ho da dire?... Ah! mi lascino un poco con la mia figliuola, ora. Me la lascino cinque minuti per me solo.
 
E tiratala a sedere in disparte cominciò a interrogarla, e quella a rispondere, ed egli rideva con gli occhi lustri, battendosi i pugni sulle ginocchia, e pigliava la figliuola con le mani, guardandola, fuor di sé dalla contentezza a sentirla, come se fosse una voce che venisse dal cielo; poi domandò alla maestra: - Il signor Direttore, sarebbe permesso di ringraziarlo?
 
- Il Direttore non c'è, - rispose la maestra. - Ma c'è un'altra persona che dovreste ringraziare. Qui ogni ragazza piccola è data in cura a una compagna più grande, che le fa da sorella, da madre. La vostra è affidata a una sordomuta di diciassette anni, figliuola d'un fornaio, che è buona e le vuol bene molto: da due anni va a aiutarla a vestirsi ogni mattina, la pettina, le insegna a cucire, le accomoda la roba, le tien buona compagnia. Luigia, come si chiama la tua mamma dell'istituto?
 
La ragazza sorrise e rispose: - Cate-rina Gior-dano. - Poi disse a suo padre: - Mol-to, mol-to buona.
 
Il custode, uscito a un cenno della maestra, ritornò quasi subito con una sordomuta bionda, robusta di viso allegro, vestita anch'essa di rigatino rossiccio col grembiale grigio; la quale si arrestò sull'uscio e arrossì; poi chinò la testa, ridendo. Aveva il corpo d'una donna, e pareva una bambina.
 
La figliuola di Giorgio le corse subito incontro, la prese per un braccio come una bimba e la tirò davanti a suo padre, dicendo con la sua grossa voce: - Ca-te-rina Gior-dano.
 
- Ah! la brava ragazza! - esclamò il padre, e allungò la mano per carezzarla, ma la tirò indietro, e ripeté: - Ah! la buona ragazza, che Dio la benedica, che le dia tutte le fortune, tutte le consolazioni, che la faccia sempre felice lei e tutti i suoi, una buona ragazza così, povera la mia Gigia, è un onesto operaio, un povero padre di famiglia che glielo augura di tutto cuore!
 
La ragazza grande accarezzava la piccola, sempre tenendo il viso basso e sorridendo; e il giardiniere continuava a guardarla, come una madonna.
 
- Oggi vi potete pigliar con voi la vostra figliuola, - disse la maestra.
 
- Se me la piglio! - rispose il giardiniere. - Me la conduco a Condove e la riporto domani mattina. Si figuri un po' se non me la piglio! - La figliuola scappò a vestirsi. - Dopo tre anni che non la vedo! - riprese il giardiniere. - Ora che parla! A Condove subito me la porto. Ma prima voglio far un giro per Torino con la mia mutina a braccetto, che tutti la vedano, e condurla dalle mie quattro conoscenze, che la sentano! Ah! la bella giornata! Questa si chiama una consolazione.! Qua il braccio a tuo padre, Gigia mia! - La ragazza, ch'era tornata con una mantellina e una cuffietta, gli diede il braccio.
 
- E grazie a tutti! - disse il padre di sull'uscio. - Grazie a tutti con tutta l'anima mia! Tornerò ancora una volta a ringraziar tutti!
 
Rimase un momento sopra pensiero, poi si staccò bruscamente dalla ragazza, tornò indietro frugandosi con una mano nella sottoveste, e gridò come un furioso: - Ebbene, sono un povero diavolo, ma ecco qui, lascio venti lire per l'istituto, un marengo d'oro bell'e nuovo.
 
E dando un gran colpo sul tavolino, vi lasciò il marengo.
 
- No, no, brav'uomo, - disse la maestra commossa. - Ripigliatevi il vostro denaro. Io non lo posso accettare. Ripigliatevelo. Non tocca a me. Verrete quando ci sarà il Direttore. Ma non accetterà nemmeno lui, statene sicuro. Avete faticato troppo per guadagnarveli, pover'uomo. Vi saremo tutti grati lo stesso.
 
- No, io lo lascio, - rispose il giardiniere, intestato; - e poi... si vedrà.
 
Ma la maestra gli rimise la moneta in tasca senza lasciargli il tempo di respingerla.
 
E allora egli si rassegnò, crollando il capo; e poi, rapidamente, mandato un bacio con la mano alla maestra e alla ragazza grande, e ripreso il braccio della sua figliuola, si slanciò con lei fuor della porta dicendo: - Vieni, vieni, figliuola mia, povera mutina mia, mio tesoro!
 
E la figliuola esclamò con la sua voce grossa: - Oh-che-bel-sole!
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