Sentenza Tribunale penale di Perugia - Vicenda Federconsorzi: differenze tra le versioni

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- Tale ultimo riferimento induce ad esaminare più in generale il tema del credito MAF, tra i più tormentati della presente vicenda .
I Consorzi Agrari alla fine degli anni ’40, negli anni ’50 e nei primi anni ’60 curarono infatti per conto dello Stato le campagne di ammasso obbligatorio di vari prodotti cerealicoli, sulla base di una sorta di contratto di commissione, procurandosi i mezzi finanziari per il pagamento del prodotto conferito e riversando poi gli effetti delle operazioni allo Stato.
 
Lo Stato a sua volta provvide nel corso degli anni a stanziare somme per coprire i disavanzi delle campagne di ammasso.
Ma a partire dal 1954-55, nonostante che fosse stata svolta analoga attività, in particolare riferibile all’ammasso del grano, non fu più emanato alcun provvedimento legislativo, prima della L 410/99 più volte citata.
 
Nel frattempo i Consorzi Agrari compilarono i relativi rendiconti e la procedura di controllo ebbe il suo pur lentissimo corso.
 
Stabilita nel 1980 una contabilità unica per ciascun Consorzio, fu fissata la data del 31-1-1982 per l’aggiornamento dei rendiconti.
Le diverse situazioni contabili furono poi approvate con decreti ministeriali emessi negli anni 1989/1990 e dichiarate regolari dalla Corte dei Conti negli anni 1994/1996.
 
Come si diceva, il bilancio statale non recava alcuna copertura dei disavanzi prima del 1999, allorché fu disposta la liquidazione dei crediti di pertinenza dei Consorzi Agrari non ceduti a terzi.
Ma nel frattempo quei crediti erano stati ceduti in larga misura a Federconsorzi, in pagamento delle esposizioni debitorie accumulate dai Consorzi a vario titolo, in genere per acquisto di prodotti e per finanziamenti.
 
Sta di fatto che a tutt’oggi la quota di credito ceduta a Federconsorzi non ha un corrispondente stanziamento in bilancio.
Da una puntuale relazione della Direzione Generale del Ministero delle Risorse Agricole, Alimentari e Forestali datata 11-4-1996 si evince in particolare che la regolamentazione del credito è stata effettuata mediante la contabilizzazione di interessi pari al tasso ufficiale di sconto, maggiorato del 4,40% sulla base di disposizioni ministeriali impartite il 30-7-1971 e che alla data del 31-1-1982 il credito MAF era pari a £ 171.780.177.871.
 
Si desume inoltre dalla medesima relazione che l’apposita commissione consultiva del Ministero dell’Agricoltura nel 1992 aveva calcolato l’ammontare del credito vantato da Fedit al 31-12-1991 in 468 miliardi di lire.
 
Nel corso degli anni sono stati predisposti diversi disegni di legge o addirittura decreti legge per il finanziamento del credito, che tuttavia non sono mai stati approvati o convertiti dal Parlamento
Peraltro il credito non è mai stato disconosciuto e alla data del 30-12-1993 esso era di 632 miliardi di lire, mentre nel 1996 superava gli 800 miliardi.
 
Risulta che la Federconsorzi, in persona del commissario governativo Piovano, nell’agosto 1992 citò in giudizio il MAF per ottenere il riconoscimento del credito e la condanna al relativo pagamento.
La domanda fu successivamente limitata al mero accertamento del credito, onde evitare gravosi oneri di registrazione.
 
Nel medesimo lasso di tempo i vari Consorzi Agrari interessati avevano adito il competente Tribunale per ottenere la condanna del MAF al pagamento delle somme relative alla quota di crediti ancora di loro spettanza.
 
In primo grado essi videro accolte le loro ragioni, ma la Corte di Appello di Roma successivamente si determinò in modo diverso .
Fu infatti rilevato che, anche riguardando la vicenda sotto il profilo meramente civilistico, non si sarebbe potuto far leva esclusivamente sul preteso riconoscimento del debito e sulla spettanza di interessi ultralegali, men che mai anatocistici.
 
Peraltro il rapporto sarebbe dovuto ricondursi al diritto pubblico con conseguente inesigibilità del credito fino al momento dell’approvazione del rendiconto da parte della Corte dei Conti, intervenuta solo nel 1995.
 
Più di recente il Tribunale di Roma in persona del G.O.A. ha avuto modo di pronunciarsi sulla domanda presentata da Federconsorzi, rigettandola .
 
La sentenza desta non poche perplessità, giacché da un lato ravvisa la nullità delle cessioni di credito in favore di Federconsorzi e dall’altro rimette alla procedura delineata dalla L 410/99 la liquidazione del credito vantato dall’ente.
 
A prescindere dal fatto che non è ben chiaro il motivo della nullità, che si vorrebbe far derivare dalla violazione dell’art. 1260 cc, visto che nel momento della cessione Federconsorzi certamente non operava come organo dello Stato, sembra che siano state sovrapposte la vicenda dei crediti dei Consorzi Agrari ceduti a Federconsorzi e quella delle gestioni a vario titolo direttamente affidate a Federconsorzi, per le quali l’ente deve presentare apposito rendiconto. Non è dato comprendere inoltre perché mai la previsione della procedura di liquidazione dovrebbe precludere l’accertamento giudiziale.
 
Sta di fatto che nell’ipotesi di effettiva nullità della cessione, l’apparente sconfitta per Federconsorzi si trasformerebbe in una vittoria, dal momento che in questo caso il credito ritornerebbe ai Consorzi Agrari e troverebbe una sua copertura, mentre in capo a Federconsorzi si ripristinerebbe il credito verso i Consorzi che potrebbe così essere finalmente onorato.
 
Ma a parte ciò, se desta sconcerto che a distanza di tempo lo Stato non abbia ancora provveduto al pagamento di un credito riconosciuto e meraviglia assai che con decisione difficilmente compatibile con il principio costituzionale di uguaglianza il Parlamento abbia riconosciuto la copertura finanziaria solo di una parte di un credito avente medesima origine e natura, pare indiscutibile che il credito esistesse e avesse una sua concretezza, per lo meno limitatamente alla sorte, essendo se mai contestabile l’entità degli interessi.
 
Del resto la stessa Corte di Appello di Roma non ha negato la circostanza, stabilendo che la procedura già in corso avrebbe reso esigibile il credito dal momento dell’approvazione della Corte dei Conti, mentre il mancato riconoscimento nel caso di specie dipendeva da ragioni di carattere formale-processuale, afferenti al rispetto del principio della domanda.
 
Più in generale deve peraltro osservarsi come solo i primi commissari governativi, muovendo dal presupposto dell’inesigibilità, avessero del tutto trascurato il credito di Federconsorzi verso il MAF, preso invece in considerazione sia dalla prof.ssa Misucci, sia dal prof. Picardi, sia infine dal prof. Schlesinger, allorché ebbe a formulare il proprio parere sulle modalità di cessione dello stesso.
 
Anche la relazione della Commissione Parlamentare di Inchiesta riconosce concretezza al credito MAF e formula rilievi critici a proposito della cartolarizzazione, con la quale gli organi della procedura hanno di recente tentato di liquidarlo .
 
Sta di fatto che il credito MAF non equivale a zero.
 
Un credito riconosciuto nei confronti dello Stato va sempre considerato come esistente, anche se i tempi per realizzarlo possano diventare incerti, dipendendo da equilibri politici e finanziari.
D’altro canto, a prescindere dall’esito momentaneamente infausto della causa al riguardo promossa da Federconsorzi, va considerato che il fondamento del credito è certo e che l’esigibilità, correlata al rispetto delle norme sulla contabilità di Stato, condiziona il pagamento spontaneo e se mai l’insorgenza di interessi corrispettivi, ma non può incidere sull’esito di azioni giudiziarie, volte all’acquisizione di un titolo esecutivo.
 
In tal senso va valorizzato anche quel costante orientamento giurisprudenziale, secondo cui il colpevole ritardo nel perfezionamento del titolo di spesa genera interessi moratori .
 
Per di più nel caso di specie si tratta sostanzialmente di credito riconosciuto ed è noto che, in base alla disciplina dell’epoca, il riconoscimento del credito aveva una sua autonomia strutturale e non era disciplinato né esplicitamente né implicitamente da norme di contabilità pubblica .
 
Ma anche al di là di ciò, un titolo esecutivo sarebbe potuto comunque formarsi, così da consentire in teoria l’avvio di una gigantesca procedura di esazione forzata, nei limiti consentiti dalla disponibilità in cassa di somme non espressamente vincolate ad una destinazione specifica.
Ed ancora si sarebbe potuto prospettare il caso della nomina in via amministrativa di un commissario ad acta, incaricato di espletare le necessarie procedure.
 
Trattasi, si conviene, di mera accademia, che vale però a smentire l’assunto dell’inconsistenza del credito MAF e della sua irrilevanza ai fini del computo del valore del patrimonio.
 
Il problema non era infatti quello di escluderlo in radice, ma se mai quello di attribuirgli una congrua valutazione in termini di attualizzazione, ciò che fu fatto dalla prof. ssa Misucci e dal prof. Picardi e condusse al riconoscimento di un valore superiore a 300 miliardi.
 
E anche volendogli attribuire all’epoca un valore inferiore, certo è che in prospettiva il credito è destinato ad essere escusso e realizzato a beneficio di chi ne risulterà titolare (attualmente la Liquidazione di Federconsorzi).
 
In conclusione, a fronte di un valore di libro addirittura superiore a 6.000 miliardi, la valutazione del patrimonio effettuata prima dai consulenti nominati dal G.D. e poi dal prof. Picardi fu sostanzialmente rispondente a dati reali e dunque ampiamente rappresentativa dell’entità dell’attivo.