Sentenza Tribunale penale di Perugia - Vicenda Federconsorzi: differenze tra le versioni

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*[[Sentenza Tribunale penale di Perugia - Vicenda Federconsorzi| ]]
 
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IL PATRIMONIO DI FEDERCONSORZI
 
18.1 - Dopo questa prima analisi degli interessi in gioco e dei veri protagonisti della vicenda, si impone di verificare la reale consistenza del patrimonio di Federconsorzi, poiché trattasi dell’argomento cruciale ai fini del decidere.
Va al riguardo osservato che al ricorso non erano stati allegati né un inventario né una previa valutazione analitica ed estimativa.
Al fine di sopperire a tali gravi lacune, il giudice delegato conferì nel mese di settembre ad una serie di tecnici l’incarico di procedere alla stima delle varie categorie di cespiti.
Si è già detto che a uno di loro fu altresì attribuito il compito di coordinatore.
 
Avvenne così che nell’arco di tre mesi vennero redatte varie relazioni, recanti la stima complessiva delle singole categorie di beni, poi riassunte in una “relazione unica di stima” redatta dal dott. Enrico De Santis, alla quale sarebbero dovute intendersi allegate le altre.
 
Il termine per il deposito inizialmente fissato alla data del 30-11-1991 fu poi prorogato di alcuni giorni, tanto che gli elaborati vennero in effetti depositati prima della metà di dicembre.
Il patrimonio di Federconsorzi, come emergeva già dal ricorso presentato nel mese di luglio del 1991, si ripartiva in alcune grandi categorie, costituite da immobili, partecipazioni in società -quotate e non quotate in borsa- e crediti.
A tali cespiti se ne affiancavano di ulteriori di valore assai meno rilevante.
 
Orbene, dalla relazione unica si evince che le singole relazioni e con esse quella di sintesi avrebbero dovuto tener luogo di un vero e proprio inventario complessivo, essendo stato appunto demandato ai consulenti di elaborare, ciascuno per la sua categoria di beni, anche il relativo inventario.
Inoltre dalla medesima relazione unica emerge che per ragioni di tempo furono effettuate, nella gran parte dei casi, delle ricognizioni valutative e furono quindi evidenziati i valori minimi dei beni, con l’espressa avvertenza che in sede di determinazione del valore di mercato si sarebbero potuti registrare degli scostamenti di segno positivo.
 
18.2 - Quanto ai beni immobili l’ing. Nicola Perrone e l’ing. Fiordaliso Micheloni segnalarono che i valori indicati avrebbero potuto risultare anche significativamente superiori in base all’andamento del mercato ed in funzione dell’eventuale accorpamento con beni complementari ovvero dell’inserimento in piani regolatori approvati o comunque dell’accertamento per ciascuna singola area della possibilità edificatoria.
I due tecnici, incaricati altresì della valutazione degli immobili di proprietà di società immobiliari controllate, ripartirono l’elaborato in due parti, dedicandosi nella prima alla ricognizione dei beni di Federconsorzi.
 
Essi suddivisero l’ingente patrimonio in sei categorie, procedendo per ciascuna di esse all’individuazione dei criteri generali adottati.
 
Così indicarono edifici di particolare pregio artistico o di importanza per le loro dimensioni, valutandoli non in base al metro quadro di superficie, bensì in base al valore globale dell’immobile, derivante dal pregio correlato a scale, soffitti, pavimenti, porte, logge, porticati, bassorilievi e dimensioni, e attribuendo agli stessi il valore complessivo di 377 miliardi e 800 milioni di lire.
In secondo luogo individuarono edifici per abitazioni, uffici e negozi, determinando il valore minimo attuale, ottenuto attraverso il metodo di stima sintetico comparato con il parametro metro quadro di superficie coperta, in pratica applicando alle consistenze metriche valori unitari desunti per comparazione dal mercato immobiliare.
 
Essi in tal modo determinarono per tale categoria un valore di 134 miliardi e 600 milioni di lire.
Furono poi valutate agenzie, magazzini e centri di stoccaggio, usando il metodo di stima sintetico attraverso il confronto con immobili esistenti in libero mercato in condizioni analoghe per destinazione, zona e caratteristiche costruttive.
Fu fatto in genere riferimento al metro quadrato di superficie coperta e fu calcolato un valore complessivo di 181 miliardi e 918 milioni .
 
Quanto a stabilimenti per attività produttive fu ancora applicato il metodo di stima sintetico attraverso il confronto con immobili esistenti in libero mercato in analoghe condizioni, tenendo conto del metro cubo di costruzione.
Fu così determinato un valore di 100 miliardi e 155 milioni di lire.
Ad aziende agrarie e ad altri immobili fu attribuito invece un valore complessivo di 127 miliardi di lire circa.
Nel complesso il patrimonio immobiliare facente capo direttamente a Federconsorzi fu valutato 921 miliardi e 785 milioni di lire.
 
18.3 - La valutazione delle partecipazioni in società quotate e non quotate in borsa, diverse dalle partecipazioni bancarie, fu affidata al prof. Bruno Del Maro e al dott. Francesco Ferrucci .
Per le società controllate furono presi in considerazione i valori di bilancio degli ultimi tre esercizi, furono riclassificati per gruppi omogenei i relativi valori, prendendo in considerazione per le società immobiliari le stime dei consulenti che si erano occupati degli immobili, e fu poi operata la ricognizione estimativa.
Per le società partecipate di maggior rilievo furono formulate sulla base della documentazione esistente alcune specifiche osservazioni, utilizzando per le altre società la documentazione disponibile.
Per le società quotate fu invece utilizzata la quotazione media degli ultimi sei mesi, indicando valori quanto più possibile prudenziali.
Il valore globale di dette partecipazioni fu indicato in 1.020 miliardi e 255 milioni di lire.
Le partecipazioni bancarie furono stimate dal prof. Nazzareno Ferri , che si occupò essenzialmente della partecipazione in Banca di Credito Agrario di Ferrara, Banca Nazionale dell’Agricoltura, Banca Nazionale del Lavoro, Banca Popolare di Sondrio, Banca Popolare di Lodi, Banca Popolare di Novara.
Quanto alla Banca di Credito Agrario di Ferrara, fu calcolato il valore economico della banca mediando il risultato ottenuto con il metodo reddituale complesso e quello ottenuto con il metodo reddituale puro.
In rapporto alla percentuale della partecipazione fu così stimato un valore di 119 miliardi e 942 milioni di lire, prevedendosi un’oscillazione del 10% in più o in meno.
Analogo criterio fu seguito per la BNA, calcolando il valore della partecipazione in 282 miliardi e 696 milioni di lire, anche in questo caso prevedendosi peraltro un’oscillazione del 10%.
Relativamente alla BNL, seguendo il medesimo procedimento fu determinato un valore di 12 miliardi e 35 milioni di lire salvo il 10% di fluttuazione.
In totale aggiungendo il valore delle partecipazioni minori, detta categoria di cespiti fu stimata 415 miliardi e 503 milioni di lire.
18.4 - I crediti furono stimati dalla prof.ssa Irene Misucci .
Essi risultavano corrispondere al 78% dell’attivo, derivando dalla dinamica del sistema federconsortile, così come venutasi a delineare nel corso degli anni.
I crediti si riferivano perciò in larga misura (circa il 60%) ai rapporti con produttori agricoli e consorzi agrari (per acquisti e vendite di merce, prestazioni di servizi, esercizio del credito) ed erano andati a mano a mano aumentando in dipendenza dello stato di difficoltà in cui versavano molti dei consorzi.
In generale essi si ripartivano in crediti numerari e crediti nominali (i primi di regolamento o funzionamento, i secondi di finanziamento verso consorzi e partecipate).
Come previsto dalla normativa vigente, fu utilizzato il criterio del presumibile valore di realizzo, esaminando un campione significativo per ammontare, tipologia, e distribuzione territoriale.
Il campione fu considerato rappresentativo dell’80% dei crediti relativi a soggetti aventi esposizione di diversa entità e distribuiti su tutto il territorio.
Si procedette poi ad accorpare crediti aventi lo stesso grado di solvibilità e fu altresì operata la traduzione del valore contabile dei crediti in valori correnti, adottando alcuni accorgimenti, quali l’attualizzazione del valore nominale dei crediti differiti, la valutazione dei crediti in funzione dell’esigibilità degli stessi.
Nel quadro del procedimento di valutazione si segnalò la rilevanza delle notizie sulla solvibilità del singolo debitore e sulla situazione economica del settore e dell’ammontare dei crediti di non breve durata.
Fu considerato che molti dei crediti si riferivano a soggetti sottocapitalizzati e che il settore agricolo è caratterizzato da redditività modesta.
Si precisò che il valore di realizzo è correlato al grado di esigibilità sulla scorta delle informazioni disponibili e dei parametri abituali di verifica dei rapporti instaurati con i singoli debitori.
Si tenne conto delle perdite derivanti da situazioni anomale o patologiche (ad es. la sottoposizione dei consorzi a procedure concorsuali).
Ai fini della stima furono considerati i valori contabili al 31-7-1991, fermo restando che la differenza rilevata tra tali dati e quelli riferiti al 31-5-1991, allegati alla domanda di ammissione alla procedura, confermava taluni andamenti.
A supporto delle valutazioni fu inviata ad un campione di debitori una lettera nella quale si chiedeva di precisare ammontare, natura e scadenza del credito, ciò che pose in luce alcuni scostamenti.
I crediti vennero distinti in categorie, a seconda del debitore, e furono poi adottati dei coefficienti di stima diversi, in modo da trasformare gli importi determinati in valori correnti.
L’importo complessivo dei crediti fu stimato in 2.325 miliardi e 775 milioni di lire, inclusi 958 miliardi e 193 milioni per crediti verso i consorzi, 197 miliardi e 808 per crediti verso clienti nazionali, 134 miliardi e 728 milioni per crediti verso società partecipate e 309 miliardi e 059 milioni per crediti verso produttori agricoli.
Aggiungendo ai valori così determinati quello di cespiti di minore rilievo (impianti, macchinari, mobili e attrezzature d’ufficio, automezzi e trattori, rimanenze, capi bovini) e considerando peraltro che i beni artistici sarebbero più opportunamente dovuti considerarsi nell’ambito della valutazione degli immobili cui accedevano, fu determinato il valore dell’intero patrimonio in 4.800 miliardi e 139 milioni di lire, senza contare la stima dei titoli posseduti.
 
18.5 - Tali valutazioni vennero ad incrociarsi con quelle formulate alla data del 30-11-1991 dai commissari governativi, che determinarono il valore del patrimonio in 3.683 miliardi e 400 milioni di lire .
Le discrepanze derivavano dalle categorie di cespiti di maggiore consistenza.
Così per gli immobili si riproponeva il valore di 754 miliardi indicato già alla data di presentazione del ricorso per l’ammissione alla procedura, con abbattimento di 200 miliardi, in ragione di beni strumentali con destinazione unica e mercato limitato.
Per le partecipazioni si prevedeva una riduzione per quelle relative a società quotate in borsa in ragione dell’andamento della borsa e della sospensione del titolo FATA (società assicurativa a beneficio del mondo agricolo), determinandosi il valore in 397 miliardi e 898 milioni di lire.
Le altre partecipazioni venivano distinte a seconda che riguardassero o meno società immobiliari.
Per le immobiliari si confermava il valore di 332 miliardi e 175 milioni di lire già indicato alla data del 3-7-1991, mentre per le altre partecipazioni si apportava una riduzione in ragione della situazione critica di alcune società (ARSOL, FEDITAL, SIAPA), che stavano progressivamente erodendo i patrimoni netti, in alcuni casi azzerati a seguito dell’ammissione a procedure concorsuali.
Per queste altre partecipazioni si determinava il valore in 403 miliardi e 710 milioni di lire con ulteriore abbattimento del 30% fino a 280 miliardi.
 
Quanto ai crediti si indicava il valore di stima in 1.909 miliardi e 422 milioni di lire a fronte di un valore di libro di 3.851 miliardi e 422 milioni, con riduzione di 351 miliardi rispetto alla stima al 3-7-1991 in conseguenza dell’accertamento di incassi per 284 miliardi e di ulteriori abbattimenti per singole categorie.
Va peraltro precisato che, mentre la prof.ssa Misucci incluse nella stima, in ragione di 310 miliardi di lire, anche l’ingente credito di Federconsorzi verso il Ministero dell’Agricoltura, c.d. credito MAF, derivante dalla cessione di posizioni creditorie di pertinenza dei Consorzi per la gestione degli ammassi in epoche ormai lontane, i commissari governativi ignorarono detto credito, ritenendolo inesigibile.
Ciò significa che le restanti stime della prof.ssa Misucci erano in realtà più rigorose.
Appare inoltre rilevante osservare che in base alla nuova relazione dei commissari i debiti alla data del 30-11-1991 ammontavano a £ 4.665 miliardi.
 
Se per caso si fosse tenuto conto delle valutazioni dei tecnici incaricati dal tribunale, coordinati dal dott. De Santis, si sarebbe dovuto concludere che il valore di stima del patrimonio era addirittura superiore a quello dei debiti, il che varrebbe a gettare una luce sinistra sul commissariamento e sull’intera gestione sia commissariale che concordatizia.
18.6 - Sta di fatto che l’operato dei consulenti fu ampiamente utilizzato dal commissario giudiziale prof. Nicola Picardi, il quale si era ripromesso di redigere una relazione sulla situazione di Federconsorzi, da depositarsi in tempo utile per l’adunanza dei creditori, fissata per la fine di gennaio del 1992.
Il prof. Picardi, avvalsosi della collaborazione del coadiutore generale avv. Pazzaglia, elaborò la c.d. “relazione particolareggiata”, un documento quanto mai ricco di spunti ricostruttivi, in cui furono analizzate le cause del dissesto e fu esaminata la consistenza sia dell’attivo che del passivo.
Nella relazione, depositata il 21-1-1992, fu dato conto dei risultati già prudenziali dei consulenti coordinati dal dott. De Santis.
Furono però apportate alcune correzioni, miranti ad un risultato che fosse quanto più possibile attendibile e realistico, in funzione delle valutazioni demandate agli organi della procedura.
Ancora una volta le divergenze si registrarono a proposito delle categorie di cespiti di maggior rilievo: immobili, partecipazioni e crediti.
Quanto ai primi, il commissario giudiziale considerò comparativamente le valutazioni formulate dai consulenti e dai commissari governativi, scegliendo coerentemente, quale organo della procedura, quelle dei consulenti, ma apportando un abbattimento, del tutto ragionevole, del 20% in ragione di una pluralità di fattori: lo stato degli immobili, tali da necessitare di interventi di manutenzione, il deprezzamento degli stessi dovuto a locazioni non remunerative, talvolta rinnovate di recente , la previsione di maggiori oneri fiscali dipendenti dal calcolo delle plusvalenze connesse alla rivalutazione obbligatoria disposta per legge.
Stimò dunque il patrimonio immobiliare di Federconsorzi in 734 miliardi e 428 milioni di lire.
Quanto alle partecipazioni, il commissario giudiziale accorpò in una valutazione complessiva le società quotate in borsa e le partecipazioni bancarie, tenendo conto che queste ultime rientravano nella prima categoria, con in più la partecipazione non quotata nella Banca di Credito Agrario di Ferrara, e che tra le partecipazioni quotate non bancarie andavano incluse quelle relative all’istituto assicurativo FATA e alla GEMINA.
Orbene, a fronte dell’ultima valutazione dei commissari governativi, per i quali dette partecipazioni erano valutabili 487 miliardi e 898 milioni di lire, e della valutazioni dei consulenti, che, volendo disaggregare e riaggregare i dati, avevano stimato un valore di 563 miliardi e 603 milioni, il prof. Picardi ritenne di condividire i criteri dei consulenti, peraltro apportando una correzione prudenziale del 10%, soprattutto in considerazione della situazione del FATA, destinato a risentire della crisi del sistema federconsortile, in quanto i premi derivavano per l’85% dalle azioni commerciali dei CAP, e delle difficoltà della Banca di Credito Agrario di Ferrara, derivanti dalla crisi del CAP di Ferrara e di altre società del gruppo.
Tali cespiti furono dunque nel complesso valutati 507 miliardi e 243 milioni di lire.
Quanto alle partecipazioni in società immobiliari, il commissario giudiziale, condividendo ancora una volta i criteri adottati dai consulenti, apportò innanzi tutto una riduzione di 5 miliardi derivante da un errore materiale compiuto inizialmente dai commissari governativi e poi ripercossosi nel lavoro degli stimatori, riguardante la partecipazione in SMIA, inoltre ridusse prudenzialmente del 10% la valutazione dei consulenti in ragione dei maggiori oneri fiscali attesi, indicando un valore complessivo di 410 miliardi e 063 milioni di lire, risultato il meno elevato tra quelli a raffronto.
Quanto infine alle restanti partecipazioni, che rappresentavano una delle componenti del patrimonio di più complessa valutazione, il commissario giudiziale assai opportunamente distinse dalle altre le partecipazioni nelle nove società che già si trovavano in amministrazione controllata o in concordato preventivo (Zuccherificio Castiglionese, ARSOL, SIAPA, FEDERGRAF, SASA, FEDITAL, CARPI, SICRA, CAPPA).
Il valore di tali partecipazioni venne ridotto al 40% di quello stimato dai consulenti in ragione delle potenzialità di realizzo correlate all’esito delle procedure e dunque a 82 miliardi e 052 milioni.
 
Tale criterio trovava a giudizio del prof. Picardi riscontro nella vicenda FEDITAL: tale società si trovava in amministrazione controllata e la procedura era stata costretta ad erogare un finanziamento di venti miliardi per evitare il fallimento.
A fronte del valore stimato dai consulenti in 106 miliardi, una serie di esperimenti di asta avevano di fatto ridimensionato il valore di mercato a non più di 55 miliardi, corrispondente al 40% dell’importo derivante dalla stima e dal finanziamento erogato.
Anche per le altre partecipazioni la valutazione era peraltro resa assai problematica dal disfacimento del sistema integrato Federconsorzi-CAP-controllate, nell’ambito del quale talune delle società trovavano l’unica ragion d’essere.
 
In genere, mentre alcune società stavano cercando di trovare attività alternative, altre necessitavano di significativi interventi di ricapitalizzazione (come la Massalombarda).
Tutte avevano problemi di approvvigionamento, di credito e di politica aziendale.
 
La stima dei consulenti, che non teneva conto della negativa evoluzione della situazione gestionale, fu dunque ridotta del 30% e portata a 144 miliardi e 090 milioni.
 
Infine i crediti, posta cruciale, riguardante il 78% del valore attivo patrimoniale.
 
Alla stima di realizzo indicata dai commissari governativi alla data del 30-11-1991, si contrapponeva quella del consulente alla data del 31-7-1991.
Il commissario, adottando i criteri del consulente, riclassificò la stima alla data del 30-11-1991, tenendo conto di una riduzione delle ragioni creditorie, denunciata dai commissari governativi per effetto di pregressi incassi e ritiro di effetti.
Inoltre fu operato un ulteriore prudenziale abbattimento del 10%, così da portare la stima a 1888 miliardi e 554 milioni.
Il prof. Picardi sottolineò peraltro la correttezza delle valutazioni del consulente riguardanti il c.d. credito MAF, che i commissari governativi avevano invece azzerato.
Egli rilevò che si trattava di un credito di 430 miliardi risalente alle spese straordinarie relative alle campagne di ammasso obbligatorio di cereali anteriori al 1967.
Gli ammassi erano stati gestiti dai CAP, che avevano anticipato le spese generali senza essere rimborsati.
Successivamente i CAP avevano ceduto parte dei crediti verso lo Stato a Federconsorzi, previo nulla osta del MAF, in ragione di 430 miliardi e 455 milioni, comprensivi di interessi.
Fin dall’aprile 1991 il MAF, richiesto ufficialmente del pagamento, aveva segnalato che non esistevano stanziamenti di bilancio e che la liquidazione della somma sarebbe potuta avvenire -previ riscontri ed accertamenti contabili- condizionatamente alla previsione di spesa autorizzata con legge finanziaria.
Rilevò il prof. Picardi che si trattava di credito certo e liquido, i cui rendiconti erano stati registrati dalla Corte dei Conti, salvi gli aggiornamenti per interessi.
Difettava invece la esigibilità in considerazione della mancanza di copertura finanziaria.
Tuttavia non si sarebbe potuto per questo azzerare il credito, in vista del cui soddisfacimento anche i commissari governativi si erano nel frattempo mossi, cercando di creare le condizioni giuridiche o politiche per sbloccare il pagamento.
Più corretto sarebbe stato dunque inserire il credito fra quelli rischiosi, secondo lo schema adottato dal consulente, che aveva utilizzato un coefficiente di stima pari al valore di attualizzazione, rapportata ad un periodo di tre anni.
Il credito era stato dunque valutato di valore pari a 314 miliardi e 455 milioni di lire.
Confermando sostanzialmente le altre stime dei consulenti per poste minori e aggiungendo un modesto valore per titoli, il Commissario Giudiziale valutò complessivamente il patrimonio di Federconsorzi in 3.939 miliardi e 324 milioni.
A fronte di ciò, indicò i debiti alla data del 30-11-1991 in complessivi 4.410 miliardi e 764 milioni quanto ai chirografari e in 275 miliardi e 109 milioni quanto ai privilegiati.
Il commissario giudiziale affrontò quindi il problema delle gestioni per conto dello Stato, iscritte nel bilancio Federconsorzi “sotto la riga” tra conti di memoria.
Tale prassi fu riconosciuta come corretta, in quanto trattavasi di gestioni fuori bilancio autorizzate dalla legge, relativamente alle quali i debiti verso le banche, a mano a mano accumulati, avrebbero dovuto far carico proprio allo Stato.
Infine il prof. Picardi determinò in 403 miliardi i crediti in prededuzione per spese di conservazione e per spese di procedura, da aggiungersi ai crediti privilegiati per il calcolo della percentuale concordataria, che superava in tal modo il 70%.
18.7 - Ora, tali stime non furono successivamente modificate, se non con riguardo alla qualificazione di alcune categorie di crediti, passati da chirografari a privilegiati: ed anzi, come si è già visto, esse vennero recepite nella sentenza di omologa del concordato.
Pare di per sé significativo che sostanzialmente omologhe fossero state le valutazioni del commissario giudiziale e dei commissari governativi, pervenuti autonomamente ad un risultato complessivo di gran lunga superiore a 3.500 miliardi e tale da differenziarsi solo per il computo o meno del credito MAF.
Ciò sta ad indicare che, pur muovendo da angoli visuali non necessariamente identici, le valutazioni si erano fondate su criteri ampiamente condivisi.
Né potrebbe seriamente affermarsi, come invece è stato fatto dalla difesa degli imputati, che le valutazioni dei consulenti, poi utilizzate dal commissario giudiziale, fossero state affrettate per la ristrettezza dei tempi a disposizione.
In realtà va rimarcato come ciascuno dei consulenti avesse inteso effettuare ricognizioni volte a stabilire il valore minimo e prudenziale dei cespiti e come dunque la ristrettezza dei tempi avesse se mai potuto incidere nel senso di non consentire un più approfondito esame caso per caso, tale da comportare un aumento delle stime.
D’altro canto, una volta stabiliti dei criteri, non sarebbe stato difficile applicarli ad una pluralità di immobili e di altri cespiti, di cui si fossero conosciuti i dati essenziali, in taluni casi direttamente acquisiti.
Né è emersa una concreta trascuratezza o una inaccettabile superficialità.
Al contrario i criteri usati e gli argomenti addotti dai consulenti che si occuparono dei cespiti di maggior rilievo appaiono nella gran parte dei casi condivisibili e tali dovettero risultare anche al prof. Picardi, che li recepì quasi interamente.
Se talune smagliature si verificarono , certo è che si trattò di poca cosa rispetto al risultato complessivo.
In ogni caso non può addebitarsi ai consulenti di non aver usato una logica da “economia di cessazione”, poiché il patrimonio di Federconsorzi non aveva nulla di simile a quello di una qualsivoglia azienda in crisi o in liquidazione, essendo invece costituito da una pluralità disomogenea di cespiti, suscettivi di intrinseca considerazione, a prescindere dal contesto complessivo (salvo che per una serie di partecipazioni).
E neppure può ascriversi ai predetti di non aver considerato l’ipotesi della vendita in blocco, destinata di per sé ad un minor realizzo: in realtà i consulenti avevano ben altro compito ed all’epoca in cui operarono, la vendita in blocco non era stata presa ufficialmente in considerazione, fermo restando che essa non rappresentava né un dogma né un obbligo.
Ancor meno pregnante è la pretesa dimostrazione dell’incongruità delle ricognizioni estimative che si vorrebbe desumere dal confronto con i successivi realizzi di SGR .
Piuttosto vanno rimarcati due argomenti di segno opposto.
Innanzi tutto, se pure è immaginabile che vi fossero state delle sopravvalutazioni, come subito appresso si dirà, non può tuttavia trascurarsi il fatto che in molti casi le stime fossero per contro inferiori al concreto realizzo che SGR avrebbe poi conseguito.
Inoltre, assumendo come dato di riferimento solo il valore indicato dai consulenti, si finisce per non considerare che la procedura utilizzò come parametro la relazione particolareggiata del commissario giudiziale, che apportò significativi temperamenti (per oltre 900 miliardi di valore), tali da assorbire di per sé gran parte dei rilievi critici.
Sta di fatto che qualche dubbio circa l’effettiva realizzabilità dei valori attribuiti a taluni cespiti sarebbe potuto nutrirsi.
Invero nel momento in cui ad un bene deve attribuirsi un prezzo, il pur elevato valore intrinseco va rapportato al mercato e alla concreta necessità di rinvenire un compratore.
Ed allora deve ritenersi che taluni immobili fossero stati valutati in modo da risultare del tutto fuori mercato.
E’ in particolare il caso di Palazzo Rospigliosi e degli altri edifici di maggior pregio, che ben difficilmente avrebbero potuto condurre a realizzi per 377 miliardi.
 
Deve per contro negarsi qualsivoglia rilievo allo stato delle società partecipate e alla sua talvolta negativa evoluzione, giacché, al di là delle stime dei consulenti, peraltro sostanzialmente congrue e nei casi di maggior rilievo avallate dai consulenti nominati dal P.M. nel corso delle indagini , risulta che il commissario giudiziale avesse tenuto conto, ai fini delle sue determinazioni, delle procedure concorsuali alle quali alcune società erano già sottoposte e comunque della complessiva precarietà della situazione.
 
Ed ancora va rilevato come, attraverso le cessioni a mano a mano effettuate in corso di procedura prima della sentenza di omologa e della cessione in blocco a SGR, fossero stati conseguiti realizzi significativamente superiori alle stime contenute nella relazione particolareggiata.
 
Si è osservato in senso contrario che gli immobili avrebbero potuto subire una diminuzione di valore derivante dalla rapida saturazione del mercato .
 
Ma in realtà tale assunto sembra trascurare il fatto che gli immobili avevano caratteristiche assai diverse, essendo a seconda dei casi destinati ad abitazione, ad uffici, a stabilimenti, si trovavano su tutto il territorio nazionale, in località anche molto distanti tra loro, e potevano essere appetiti da soggetti diversi, in alcuni casi da importanti acquirenti italiani o stranieri.
A tutto concedere, si sarebbe dovuto dunque considerare sia un mercato nazionale o internazionale che un mercato regionale, l’uno e l’altro suscettibili di saturazione in modi e tempi assai diversi, fermo restando che l’acquirente SGR si sarebbe poi dimostrata ben lieta di correre l’alea di quella saturazione.
 
Né maggior rilievo va attribuito alle critiche personalmente formulate al dibattimento anche dal prof. Capaldo alla stima dei crediti operata dalla prof.ssa Misucci.
 
Ancora una volta va considerato il parametro del presumibile valore di realizzo.
 
Orbene, non sembra corrispondere al vero che la consulente si fosse superficialmente limitata ad abbattere in modo identico intere categorie di crediti, insuscettibili di valutazione omogenea, che non avesse svolto documentate indagini conoscitive e che non avesse tenuto conto del fattore tempo.
 
Al contrario l’analisi della prof.ssa Misucci muoveva dalla individuazione di un campione significativo di crediti diversi, determinato con criteri precisi, puntuali e condivisibili, implicanti la conoscenza delle caratteristiche del mercato di riferimento e del debitore.
 
Quanto poi alla situazione dei Consorzi Agrari, è pur vero che essi si trovavano in molti casi in una situazione di crisi, già sfociata in procedure concorsuali, ma è vero anche che residuava un margine di recuperabilità, fermo restando che l’abbattimento apportato sia dalla consulente che dal commissario giudiziale era stato assai rilevante, oltre che diversificato a seconda del concreto stato dei singoli consorzi, taluni in bonis, altri commissariati, altri ancora soggetti a procedure concorsuali o addirittura liquidatorie.
 
Né può sottacersi che in prospettiva vi era per i consorzi la speranza di veder onorata la propria quota, non trasferita a Federconsorzi e ammontante a circa mille miliardi di valore nominale, del credito verso il MAF per la gestione degli ammassi, cosa che sarebbe in effetti avvenuta in base alla L 410/99.
 
Ed ancora non corrisponde a verità, come si diceva, la mancata considerazione del fattore tempo, avendo avuto cura la dott.ssa Misucci di attualizzare i crediti esigibili oltre l’anno, compreso quello verso il MAF, incluso tra i crediti a rischio, ma in concreto valutato in termini di attualizzazione su base triennale.