Sentenza Tribunale penale di Perugia - Vicenda Federconsorzi: differenze tra le versioni

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Allo stesso Presidente Greco è inoltre addebitato di essersi rifiutato indebitamente di provvedere sull’istanza del 27-5-1992.
Orbene, nel quadro complessivo della vicenda trattasi di episodi sintomatici di una condotta compiacente, volta alla salvaguardia di determinati interessi.
 
L’istanza del 27-5-1992 costituiva il frutto di un compromesso tra i commissari, tendente ad assicurare ai medesimi una forma di tutela, ove l’adempimento prospettato fosse stato ritenuto necessario.
Del resto dopo aver segnalato l’inevitabilità della convocazione, essi avevano avuto un ripensamento, manifestando tale diverso convincimento proprio attraverso l’istanza del 27-5-1992.
 
Di fatto il Tribunale di Roma si era pronunciato più volte, come riconosciuto dal Presidente Greco, nel senso della compatibilità con la procedura concorsuale dell’autonoma messa in liquidazione della società che avesse perduto il capitale.
 
Ma nel caso di specie il problema era assai più complesso, poiché in ballo vi era non solo il fatto tecnico della convocazione dell’assemblea, ma anche la gestione della medesima e soprattutto il pericolo che Federconsorzi, in regime di commissariamento, fosse posta in liquidazione coatta amministrativa .
 
Un siffatto evento era del tutto inviso al dott. Greco, il quale si sarebbe battuto contro il provvedimento di messa in liquidazione anche nella sede giurisdizionale amministrativa.
 
Il perché di tanta gelosia è da ricercarsi nell’interesse, manifestato fin dall’inizio, a condurre in porto la procedura fino al suo fisiologico epilogo, cioè innanzi tutto fino all’omologa, che certamente avrebbe conferito stabilità al concordato, ed in secondo luogo fino alla fase della liquidazione non coatta.
 
Di certo non si trattava di assicurare vantaggi agli iniziali commissari che da un lato avevano avuto plurimi contrasti con gli organi della procedura, di cui contestavano l’eccessivo rigore nell’autorizzare dismissioni e atti di gestione, e dall’altro si erano poi liberati dell’incarico, rimettendo al dott. Greco proprio la scottante decisione sulla messa in liquidazione.
 
E neppure sarebbe potuto ipotizzarsi un qualche accordo con il Ministro, visto che in realtà l’unico plausibile motivo di timore proveniva dalle sue possibili iniziative.
 
E’ invece ineluttabile correlare l’atteggiamento del magistrato ai prevedibili sbocchi della procedura di concordato, cioè essenzialmente alla sorte del patrimonio, posto che il dott. Greco si era già dichiarato disposto ad attendere la cordata fino ad ottobre e che la proposta Capaldo era stata finalmente presentata, per una singolare fatalità, lo stesso 27-5-1992.
 
In effetti se si giudicava opportuno attendere la cordata, ciò vuol dire che si intendeva tutelarne le aspettative.
 
Ed allora il disagio del magistrato a provvedere secondo coscienza sull’istanza dei commissari governativi trova una sua ragionevole spiegazione.
 
Ciò è vieppiù confermato dal fatto che nello stesso lasso di tempo il dott. Greco ebbe modo di confrontarsi con il prof. Capaldo e di conferire al prof. Carbonetti l’incarico di fornire una sua valutazione sull’enorme divario tra la stima del patrimonio e il prezzo offerto.
 
La sollecita e, si badi, personale attenzione rivolta all’offerta non poteva infatti avere altro scopo che quello di creare uno strumento in qualche guisa idoneo a conferirle piena credibilità, in vista dell’imminente sentenza di omologa, ciò tanto più a fronte dell’inusitata inconsistenza delle valutazioni richieste, rispondenti a criteri di massima, ampiamente apprezzabili dallo stesso Greco, come da ogni magistrato (non solo perché peritus peritorum), senza bisogno del supporto di un esperto.
Ciò val quanto dire che il magistrato, di fronte ad un prezzo tanto inferiore alla stima del patrimonio, anziché prendere ragionevolmente atto dell’inidoneità dello stesso a costituire un valido punto di riferimento, cercò invece di colmare il gap, quasi che quella fosse la “mission” della procedura.
 
Ed allora tanto la mancanza di sollecite determinazioni sull’istanza dei commissari quanto il conferimento di un incarico informale al prof. Carbonetti si prestano ad essere ricondotti alla medesima chiave di lettura.
Sta di fatto che l’istanza rimase per più di un mese nella borsa del magistrato, senza aver mai avuto l’onore di un timbro di cancelleria o di protocollo.
 
Ciò non significa, si badi, che il dott. Greco avrebbe dovuto personalmente protocollare l’istanza, in senso contrario valendo i rilievi difensivi del magistrato, ma semplicemente che il documento sarebbe dovuto essere depositato e messo ufficialmente a disposizione di qualunque interessato.
 
Al contrario egli lo custodì nella borsa per quasi un mese e mezzo, evidentemente al fine di far trascorrere il tempo e poter così giungere senza problemi a quello che riteneva il punto di non ritorno, la sentenza di omologa.
 
Infatti, quando il giorno 10 luglio il nuovo commissario Piovano si presentò inopinatamente per chiedere informazioni in merito, il dott. Greco sollecitamente tirò fuori il documento, così mostrando di saper bene dove fosse, e lo restituì, suggerendo che l’istanza fosse corredata da un parere legale da parte di un esperto da lui stesso indicato.
 
Ed allora la condotta in concreto tenuta finisce per colorarsi di illiceità, avendo il magistrato occultato il documento, impedendo a chiunque vi avesse avuto interesse di prenderne conoscenza, e poi avendolo restituito tal quale al nuovo commissario, nell’insussistente presupposto che costui intendesse riprenderselo , ma in realtà al solo fine di non far risultare che l’istanza fosse stata presentata.
nell’insussistente presupposto che costui intendesse riprenderselo , ma in realtà al solo fine di non far risultare che l’istanza fosse stata presentata.
 
Tale comportamento vale ad integrare gli estremi del delitto di falso per soppressione di atto pubblico, sia perché non par dubbio che avesse quella natura un’istanza proveniente dai commissari governativi, destinata all’inserimento nel fascicolo di una procedura concorsuale, sia perché realizza l’ipotesi dell’occultamento, contemplata dall’art. 490 cp, la condotta di chi custodisca uno scritto in modo da renderlo anche temporaneamente irreperibile.
 
38 - Non può invece dirsi integrato il delitto di cui all’art. 328/1° co. cp.
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38 - Non può invece dirsi integrato il delitto di cui all’art. 328/1° co. cp.
Tale norma sanziona infatti il rifiuto indebito di un atto che deve essere compiuto senza ritardo per ragioni di giustizia, sicurezza pubblica, ordine pubblico o igiene e sanità.
Nel caso di specie il pronunciamento del giudice delegato non era affatto doveroso, venendo in considerazione esclusivamente la competenza dei commissari governativi, sui quali sarebbe dovuta gravare ogni eventuale responsabilità.