Sentenza Tribunale penale di Perugia - Vicenda Federconsorzi: differenze tra le versioni

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IL PATRIMONIO DI FEDERCONSORZI
 
18.1 - Dopo questa prima analisi degli interessi in gioco e dei veri protagonisti della vicenda, si impone di verificare la reale consistenza del patrimonio di Federconsorzi, poiché trattasi dell’argomento cruciale ai fini del decidere.
Va al riguardo osservato che al ricorso non erano stati allegati né un inventario né una previa valutazione analitica ed estimativa.
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Orbene, dalla relazione unica si evince che le singole relazioni e con esse quella di sintesi avrebbero dovuto tener luogo di un vero e proprio inventario complessivo, essendo stato appunto demandato ai consulenti di elaborare, ciascuno per la sua categoria di beni, anche il relativo inventario.
Inoltre dalla medesima relazione unica emerge che per ragioni di tempo furono effettuate, nella gran parte dei casi, delle ricognizioni valutative e furono quindi evidenziati i valori minimi dei beni, con l’espressa avvertenza che in sede di determinazione del valore di mercato si sarebbero potuti registrare degli scostamenti di segno positivo.
 
18.2 - Quanto ai beni immobili l’ing. Nicola Perrone e l’ing. Fiordaliso Micheloni segnalarono che i valori indicati avrebbero potuto risultare anche significativamente superiori in base all’andamento del mercato ed in funzione dell’eventuale accorpamento con beni complementari ovvero dell’inserimento in piani regolatori approvati o comunque dell’accertamento per ciascuna singola area della possibilità edificatoria.
I due tecnici, incaricati altresì della valutazione degli immobili di proprietà di società immobiliari controllate, ripartirono l’elaborato in due parti, dedicandosi nella prima alla ricognizione dei beni di Federconsorzi.
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Furono poi valutate agenzie, magazzini e centri di stoccaggio, usando il metodo di stima sintetico attraverso il confronto con immobili esistenti in libero mercato in condizioni analoghe per destinazione, zona e caratteristiche costruttive.
Fu fatto in genere riferimento al metro quadrato di superficie coperta e fu calcolato un valore complessivo di 181 miliardi e 918 milioni .
 
Quanto a stabilimenti per attività produttive fu ancora applicato il metodo di stima sintetico attraverso il confronto con immobili esistenti in libero mercato in analoghe condizioni, tenendo conto del metro cubo di costruzione.
Fu così determinato un valore di 100 miliardi e 155 milioni di lire.
Ad aziende agrarie e ad altri immobili fu attribuito invece un valore complessivo di 127 miliardi di lire circa.
Nel complesso il patrimonio immobiliare facente capo direttamente a Federconsorzi fu valutato 921 miliardi e 785 milioni di lire.
 
18.3 - La valutazione delle partecipazioni in società quotate e non quotate in borsa, diverse dalle partecipazioni bancarie, fu affidata al prof. Bruno Del Maro e al dott. Francesco Ferrucci .
Per le società controllate furono presi in considerazione i valori di bilancio degli ultimi tre esercizi, furono riclassificati per gruppi omogenei i relativi valori, prendendo in considerazione per le società immobiliari le stime dei consulenti che si erano occupati degli immobili, e fu poi operata la ricognizione estimativa.
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Ed allora deve ritenersi che taluni immobili fossero stati valutati in modo da risultare del tutto fuori mercato.
E’ in particolare il caso di Palazzo Rospigliosi e degli altri edifici di maggior pregio, che ben difficilmente avrebbero potuto condurre a realizzi per 377 miliardi.
 
Deve per contro negarsi qualsivoglia rilievo allo stato delle società partecipate e alla sua talvolta negativa evoluzione, giacché, al di là delle stime dei consulenti, peraltro sostanzialmente congrue e nei casi di maggior rilievo avallate dai consulenti nominati dal P.M. nel corso delle indagini , risulta che il commissario giudiziale avesse tenuto conto, ai fini delle sue determinazioni, delle procedure concorsuali alle quali alcune società erano già sottoposte e comunque della complessiva precarietà della situazione.
 
Ed ancora va rilevato come, attraverso le cessioni a mano a mano effettuate in corso di procedura prima della sentenza di omologa e della cessione in blocco a SGR, fossero stati conseguiti realizzi significativamente superiori alle stime contenute nella relazione particolareggiata.
 
Si è osservato in senso contrario che gli immobili avrebbero potuto subire una diminuzione di valore derivante dalla rapida saturazione del mercato .
 
Ma in realtà tale assunto sembra trascurare il fatto che gli immobili avevano caratteristiche assai diverse, essendo a seconda dei casi destinati ad abitazione, ad uffici, a stabilimenti, si trovavano su tutto il territorio nazionale, in località anche molto distanti tra loro, e potevano essere appetiti da soggetti diversi, in alcuni casi da importanti acquirenti italiani o stranieri.
A tutto concedere, si sarebbe dovuto dunque considerare sia un mercato nazionale o internazionale che un mercato regionale, l’uno e l’altro suscettibili di saturazione in modi e tempi assai diversi, fermo restando che l’acquirente SGR si sarebbe poi dimostrata ben lieta di correre l’alea di quella saturazione.
 
Né maggior rilievo va attribuito alle critiche personalmente formulate al dibattimento anche dal prof. Capaldo alla stima dei crediti operata dalla prof.ssa Misucci .
 
Ancora una volta va considerato il parametro del presumibile valore di realizzo.
 
Orbene, non sembra corrispondere al vero che la consulente si fosse superficialmente limitata ad abbattere in modo identico intere categorie di crediti, insuscettibili di valutazione omogenea, che non avesse svolto documentate indagini conoscitive e che non avesse tenuto conto del fattore tempo.
 
Al contrario l’analisi della prof.ssa Misucci muoveva dalla individuazione di un campione significativo di crediti diversi, determinato con criteri precisi, puntuali e condivisibili, implicanti la conoscenza delle caratteristiche del mercato di riferimento e del debitore.
 
Quanto poi alla situazione dei Consorzi Agrari, è pur vero che essi si trovavano in molti casi in una situazione di crisi, già sfociata in procedure concorsuali, ma è vero anche che residuava un margine di recuperabilità, fermo restando che l’abbattimento apportato sia dalla consulente che dal commissario giudiziale era stato assai rilevante, oltre che diversificato a seconda del concreto stato dei singoli consorzi, taluni in bonis, altri commissariati, altri ancora soggetti a procedure concorsuali o addirittura liquidatorie.
 
Né può sottacersi che in prospettiva vi era per i consorzi la speranza di veder onorata la propria quota, non trasferita a Federconsorzi e ammontante a circa mille miliardi di valore nominale, del credito verso il MAF per la gestione degli ammassi, cosa che sarebbe in effetti avvenuta in base alla L 410/99.
 
Ed ancora non corrisponde a verità, come si diceva, la mancata considerazione del fattore tempo, avendo avuto cura la dott.ssa Misucci di attualizzare i crediti esigibili oltre l’anno, compreso quello verso il MAF, incluso tra i crediti a rischio, ma in concreto valutato in termini di attualizzazione su base triennale.
19 - Tale ultimo riferimento induce ad esaminare più in generale il tema del credito MAF, tra i più tormentati della presente vicenda .
I Consorzi Agrari alla fine degli anni ’40, negli anni ’50 e nei primi anni ’60 curarono infatti per conto dello Stato le campagne di ammasso obbligatorio di vari prodotti cerealicoli, sulla base di una sorta di contratto di commissione, procurandosi i mezzi finanziari per il pagamento del prodotto conferito e riversando poi gli effetti delle operazioni allo Stato.
 
Lo Stato a sua volta provvide nel corso degli anni a stanziare somme per coprire i disavanzi delle campagne di ammasso.
Ma a partire dal 1954-55, nonostante che fosse stata svolta analoga attività, in particolare riferibile all’ammasso del grano, non fu più emanato alcun provvedimento legislativo, prima della L 410/99 più volte citata.
 
Nel frattempo i Consorzi Agrari compilarono i relativi rendiconti e la procedura di controllo ebbe il suo pur lentissimo corso.
 
Stabilita nel 1980 una contabilità unica per ciascun Consorzio, fu fissata la data del 31-1-1982 per l’aggiornamento dei rendiconti.
Le diverse situazioni contabili furono poi approvate con decreti ministeriali emessi negli anni 1989/1990 e dichiarate regolari dalla Corte dei Conti negli anni 1994/1996.
 
Come si diceva, il bilancio statale non recava alcuna copertura dei disavanzi prima del 1999, allorché fu disposta la liquidazione dei crediti di pertinenza dei Consorzi Agrari non ceduti a terzi.
Ma nel frattempo quei crediti erano stati ceduti in larga misura a Federconsorzi, in pagamento delle esposizioni debitorie accumulate dai Consorzi a vario titolo, in genere per acquisto di prodotti e per finanziamenti.
 
Sta di fatto che a tutt’oggi la quota di credito ceduta a Federconsorzi non ha un corrispondente stanziamento in bilancio.
Da una puntuale relazione della Direzione Generale del Ministero delle Risorse Agricole, Alimentari e Forestali datata 11-4-1996 si evince in particolare che la regolamentazione del credito è stata effettuata mediante la contabilizzazione di interessi pari al tasso ufficiale di sconto, maggiorato del 4,40% sulla base di disposizioni ministeriali impartite il 30-7-1971 e che alla data del 31-1-1982 il credito MAF era pari a £ 171.780.177.871.
 
Si desume inoltre dalla medesima relazione che l’apposita commissione consultiva del Ministero dell’Agricoltura nel 1992 aveva calcolato l’ammontare del credito vantato da Fedit al 31-12-1991 in 468 miliardi di lire.
 
Nel corso degli anni sono stati predisposti diversi disegni di legge o addirittura decreti legge per il finanziamento del credito, che tuttavia non sono mai stati approvati o convertiti dal Parlamento
Peraltro il credito non è mai stato disconosciuto e alla data del 30-12-1993 esso era di 632 miliardi di lire, mentre nel 1996 superava gli 800 miliardi.
 
Risulta che la Federconsorzi, in persona del commissario governativo Piovano, nell’agosto 1992 citò in giudizio il MAF per ottenere il riconoscimento del credito e la condanna al relativo pagamento.
La domanda fu successivamente limitata al mero accertamento del credito, onde evitare gravosi oneri di registrazione.
 
Nel medesimo lasso di tempo i vari Consorzi Agrari interessati avevano adito il competente Tribunale per ottenere la condanna del MAF al pagamento delle somme relative alla quota di crediti ancora di loro spettanza.
 
In primo grado essi videro accolte le loro ragioni, ma la Corte di Appello di Roma successivamente si determinò in modo diverso .
Fu infatti rilevato che, anche riguardando la vicenda sotto il profilo meramente civilistico, non si sarebbe potuto far leva esclusivamente sul preteso riconoscimento del debito e sulla spettanza di interessi ultralegali, men che mai anatocistici.
 
Peraltro il rapporto sarebbe dovuto ricondursi al diritto pubblico con conseguente inesigibilità del credito fino al momento dell’approvazione del rendiconto da parte della Corte dei Conti, intervenuta solo nel 1995.
 
Più di recente il Tribunale di Roma in persona del G.O.A. ha avuto modo di pronunciarsi sulla domanda presentata da Federconsorzi, rigettandola .
 
La sentenza desta non poche perplessità, giacché da un lato ravvisa la nullità delle cessioni di credito in favore di Federconsorzi e dall’altro rimette alla procedura delineata dalla L 410/99 la liquidazione del credito vantato dall’ente.
 
A prescindere dal fatto che non è ben chiaro il motivo della nullità, che si vorrebbe far derivare dalla violazione dell’art. 1260 cc, visto che nel momento della cessione Federconsorzi certamente non operava come organo dello Stato, sembra che siano state sovrapposte la vicenda dei crediti dei Consorzi Agrari ceduti a Federconsorzi e quella delle gestioni a vario titolo direttamente affidate a Federconsorzi, per le quali l’ente deve presentare apposito rendiconto. Non è dato comprendere inoltre perché mai la previsione della procedura di liquidazione dovrebbe precludere l’accertamento giudiziale.
 
Sta di fatto che nell’ipotesi di effettiva nullità della cessione, l’apparente sconfitta per Federconsorzi si trasformerebbe in una vittoria, dal momento che in questo caso il credito ritornerebbe ai Consorzi Agrari e troverebbe una sua copertura, mentre in capo a Federconsorzi si ripristinerebbe il credito verso i Consorzi che potrebbe così essere finalmente onorato.
 
Ma a parte ciò, se desta sconcerto che a distanza di tempo lo Stato non abbia ancora provveduto al pagamento di un credito riconosciuto e meraviglia assai che con decisione difficilmente compatibile con il principio costituzionale di uguaglianza il Parlamento abbia riconosciuto la copertura finanziaria solo di una parte di un credito avente medesima origine e natura, pare indiscutibile che il credito esistesse e avesse una sua concretezza, per lo meno limitatamente alla sorte, essendo se mai contestabile l’entità degli interessi.
 
Del resto la stessa Corte di Appello di Roma non ha negato la circostanza, stabilendo che la procedura già in corso avrebbe reso esigibile il credito dal momento dell’approvazione della Corte dei Conti, mentre il mancato riconoscimento nel caso di specie dipendeva da ragioni di carattere formale-processuale, afferenti al rispetto del principio della domanda.
 
Più in generale deve peraltro osservarsi come solo i primi commissari governativi, muovendo dal presupposto dell’inesigibilità, avessero del tutto trascurato il credito di Federconsorzi verso il MAF, preso invece in considerazione sia dalla prof.ssa Misucci, sia dal prof. Picardi, sia infine dal prof. Schlesinger, allorché ebbe a formulare il proprio parere sulle modalità di cessione dello stesso .
 
Anche la relazione della Commissione Parlamentare di Inchiesta riconosce concretezza al credito MAF e formula rilievi critici a proposito della cartolarizzazione, con la quale gli organi della procedura hanno di recente tentato di liquidarlo .
 
Sta di fatto che il credito MAF non equivale a zero.
 
Un credito riconosciuto nei confronti dello Stato va sempre considerato come esistente, anche se i tempi per realizzarlo possano diventare incerti, dipendendo da equilibri politici e finanziari.
D’altro canto, a prescindere dall’esito momentaneamente infausto della causa al riguardo promossa da Federconsorzi, va considerato che il fondamento del credito è certo e che l’esigibilità, correlata al rispetto delle norme sulla contabilità di Stato, condiziona il pagamento spontaneo e se mai l’insorgenza di interessi corrispettivi, ma non può incidere sull’esito di azioni giudiziarie, volte all’acquisizione di un titolo esecutivo.
 
In tal senso va valorizzato anche quel costante orientamento giurisprudenziale, secondo cui il colpevole ritardo nel perfezionamento del titolo di spesa genera interessi moratori .
 
Per di più nel caso di specie si tratta sostanzialmente di credito riconosciuto ed è noto che, in base alla disciplina dell’epoca, il riconoscimento del credito aveva una sua autonomia strutturale e non era disciplinato né esplicitamente né implicitamente da norme di contabilità pubblica .
 
Ma anche al di là di ciò, un titolo esecutivo sarebbe potuto comunque formarsi, così da consentire in teoria l’avvio di una gigantesca procedura di esazione forzata, nei limiti consentiti dalla disponibilità in cassa di somme non espressamente vincolate ad una destinazione specifica.
Ed ancora si sarebbe potuto prospettare il caso della nomina in via amministrativa di un commissario ad acta, incaricato di espletare le necessarie procedure.
 
Trattasi, si conviene, di mera accademia, che vale però a smentire l’assunto dell’inconsistenza del credito MAF e della sua irrilevanza ai fini del computo del valore del patrimonio.
 
Il problema non era infatti quello di escluderlo in radice, ma se mai quello di attribuirgli una congrua valutazione in termini di attualizzazione, ciò che fu fatto dalla prof. ssa Misucci e dal prof. Picardi e condusse al riconoscimento di un valore superiore a 300 miliardi.
 
E anche volendogli attribuire all’epoca un valore inferiore, certo è che in prospettiva il credito è destinato ad essere escusso e realizzato a beneficio di chi ne risulterà titolare (attualmente la Liquidazione di Federconsorzi).
 
In conclusione, a fronte di un valore di libro addirittura superiore a 6.000 miliardi, la valutazione del patrimonio effettuata prima dai consulenti nominati dal G.D. e poi dal prof. Picardi fu sostanzialmente rispondente a dati reali e dunque ampiamente rappresentativa dell’entità dell’attivo.
 
20 - Non può invece aggiungersi ad esso l’importo delle cambiali rinvenute all’interno degli uffici di Federconsorzi dal commissario governativo Lettera e fatte oggetto di sequestro preventivo nell’aprile 1996.
 
Va al riguardo precisato che in base alle risultanze del bilancio chiuso al 31-12-1995 Federconsorzi risultava disporre di un determinato portafoglio cambiali, relative a crediti verso CAP e a crediti verso produttori agricoli, nonché di cambiali sempre concernenti il rapporto con i consorzi agrari, poste all’incasso o allo sconto presso banche o istituti finanziari (come Agrifactoring), da cui derivavano crediti condizionali, cioè sottoposti alla condizione del regresso azionato dai soggetti cui i titoli erano stati girati.
 
Nel marzo 1996 il GIP presso questo Tribunale su richiesta del P.M. dispose il sequestro preventivo di una serie di cespiti, alcuni già trasferiti a SGR e altri destinati alla cessione, ma non ancora trasferiti.
 
In particolare, oltre alla partecipazione nelle società SAIIM, SAGRIM e INDIPENDENZA e nella BNA, caddero sotto il vincolo una pluralità di crediti residui non ancora trasferiti, tra i quali quello verso il MAF e vari crediti portati da cambiali verso produttori agricoli e verso consorzi agrari .
L’avv. Lettera, ancora commissario governativo, sebbene non più liquidatore, fu nominato custode.
 
Ma il predetto nello stesso lasso di tempo rinvenne presso un ufficio della sede di via Salaria in cui la Federconsorzi si era nel frattempo trasferita, in particolare in una cassaforte sita nell’ufficio del rag. Ciatti, scatole contenenti cambiali riposte disordinatamente.
 
Si trattava di titoli di cui il commissario governativo nulla sapeva e che risultavano emesse dai consorzi agrari all’ordine di Fedit per rilevantissimi importi.
 
Il complesso lavoro di classificazione dei titoli condusse alla loro ripartizione in due categorie, quella delle cambiali emesse in garanzia a fronte di prestiti dodecennali e aventi scadenze fino al 1998, di importo complessivo pari a 172 miliardi di lire, e quella delle cambiali agrarie e ordinarie con scadenze fino al 1992, addebitate ai CAP e da restituirsi su richiesta, di importo pari a 615 miliardi di lire.
 
Dette cambiali furono parimenti sottoposte a sequestro preventivo e affidate in custodia all’Avv. Lettera .
 
Per mera completezza e al solo scopo di evitare equivoci, va altresì soggiunto che nel 1997 l’avv. Lettera all’interno del caveau di Federconsorzi, oltre ad imbattersi in beni ulteriori, come quadri e collezioni di monete, avrebbe rinvenuto ulteriori cambiali riferibili ad epoche anteriori al 1991, che si trovavano custodite in cassetti identici ad altri completamente vuoti, dove certamente erano state in precedenza riposte altre cambiali, relative ad anni diversi, presumibilmente le stesse poi ritrovate in via Salaria.
21 - Ciò posto, va rilevato che nell’immediatezza si sospettò che i titoli sequestrati nel mese di aprile potessero corrispondere a crediti ulteriori rispetto a quelli denunciati in bilancio.
L’ipotesi, che, se confermata, avrebbe potuto avere gravi ripercussioni sulla liquidazione e sull’esecuzione dell’atto quadro, appariva invero suffragata da una pluralità di indici.
 
Innanzi tutto i bilanci non facevano espressamente cenno di tale coacervo di titoli ed anzi facevano supporre ad una prima lettura che le sole cambiali menzionate fossero quelle cadute sotto il vincolo nel mese di marzo, relative a crediti verso produttori agricoli e verso CAP, ma in gran parte presso banche.
In secondo luogo i crediti di Fedit verso i CAP erano stati ormai trasferiti a SGR con lettera commerciale, senza che fossero state nel contempo trasferite le cambiali de quibus: a tal fine, anche per espresso disposto del G.D., sarebbe stata necessaria la girata , che invece non risultava apposta.
 
Infine era stato accertato che scatoloni contenenti cambiali erano stati quasi di soppiatto trasferiti altrove fin dalla fine del 1993 ed erano poi tornati in Federconsorzi verso la fine del 1995.
Tale circostanza, che è stata inutilmente negata da alcuni testi escussi al dibattimento , a detta dei quali si sarebbe trattato tutt’al più delle cambiali relative ai crediti verso i produttori agricoli per le quali era stato conferito ai consorzi una sorta di mandato all’incasso, è da ritenersi invece comprovata, poiché si è sostenuto che le cambiali trasferite fossero in quantità considerevole .
 
E’ d’uopo ritenere che le cambiali fossero state trasportate presso la sede di SGR, in modo da consentire ai responsabili di detta società, peraltro quasi tutti ex dipendenti di Fedit, pienamente a conoscenza della situazione, una diretta gestione del rapporto con i debitori.
 
Ma non è da escludere neppure che si fosse voluto per il momento non far risultare agli organi della procedura l’esistenza delle cambiali, onde non dare luogo a possibili azioni di responsabilità verso chi nel corso degli anni aveva sistematicamente omesso di azionare quei titoli, molti dei quali si riferivano a consorzi in bonis o a consorzi solo successivamente posti in liquidazione .
22 - Ma per quanto la tesi dell’occultamento di cospicui crediti possa dirsi suggestiva, sembra al Collegio che altri elementi convincano della riconducibilità delle cambiali sequestrate nell’aprile 1996 a quegli stessi crediti, trasferiti a SGR, che già risultavano dai bilanci.
 
Di qui la conclusione che si trattasse in sostanza di cambiali non formalmente in garanzia, ma comunque accessorie a quei crediti.
 
Cospicuo materiale è stato prodotto dalla difesa dell’imputato Capaldo a supporto di tale tesi.
 
Fra l’altro è stata depositata una memoria nella quale si illustra ampiamente il tema. .
 
Ed invero deve osservarsi che, sebbene le cambiali rinvenute non fossero denunciate tal quali nei bilanci, questi ultimi contenevano sufficienti indicazioni per rendere edotto il lettore della loro esistenza.
Fino al 1989 vi era stata l’indicazione di cambiali allo sconto e all’incasso tra i conti d’ordine.
 
Dal 1990 fu invece adottata una nuova classificazione, ricomprendendo i crediti cambiari tra i crediti finanziari.
 
Nella nota esplicativa allo stato patrimoniale del bilancio 1991 si faceva inoltre cenno del fatto che sotto la voce “crediti” erano stati raggruppati sia i crediti di origine finanziaria, sia quelli di natura commerciale, ed ancora l’ammontare degli effetti in portafoglio e di quelli ritornati insoluti, oltre che, separatamente, quelli inviati alle banche all’incasso o allo sconto.
Va in effetti osservato che, come emerso anche da varie testimonianze , i crediti di Federconsorzi avevano diversa natura, essendo originati da vere e proprie operazioni commerciali ovvero da finanziamenti.
 
Il rapporto di debito-credito con i consorzi agrari, afferente essenzialmente a rapporti commerciali, veniva definito da un unico conto di gestione, in gergo “scaduto”, che veniva aggiornato ogni quindici giorni e nel quale venivano accreditati i titoli emessi dai consorzi, salvo nuovo addebito qualora gli effetti fossero rimasti impagati.
 
Ma i consorzi erano debitori di Fedit anche per finanziamenti dodecennali, derivanti dal riscadenzamento di crediti di origine commerciale e regolati con rateizzazione cambializzata.
A ciò dovevano aggiungersi cambiali emesse a fronte di finanziamenti speciali, in genere di breve periodo.
Ora, le enunciazioni contenute nella nota integrativa summenzionata erano idonee a far comprendere la diversa natura delle voci di credito e la concomitante natura cambiaria di alcune di esse.
Inoltre in quella stessa nota si dava conto del fatto che i crediti commerciali includevano anche il riaddebito di effetti insoluti, con cui si era ripristinato il valore di forniture commerciali non pagate.
 
Peraltro si era sempre evitato di inserire nello stato patrimoniale, onde scongiurare il rischio della duplicazione di partite, una voce concernente i soli crediti cambiari e si era preferito aver riguardo invece alla natura del credito sottostante.
 
All’inizio il problema era stato risolto mediante l’espressa menzione nei conti d’ordine, mentre quando poi si reputò opportuno dare conto dei crediti condizionali, vennero iscritte anche partite di debito di entità corrispondente.
 
Sta di fatto che l’eliminazione dei conti d’ordine e l’espresso riferimento all’addebito di effetti insoluti, avrebbe dovuto di per sé fornire al lettore del bilancio un’idea del progressivo formarsi di un coacervo di titoli a supporto dei crediti indicati nello stato patrimoniale.
 
Ora, in base a quanto si è potuto accertare attraverso le deposizioni raccolte, fino al 1991 vi era l’abitudine di restituire i titoli a seguito del riaddebito sullo “scaduto”, ma successivamente i vertici di Federconsorzi dettero disposizioni perché ai consorzi venisse comunicato che i titoli sarebbero stati trattenuti a garanzia.
 
Di fatto non si trattava di garanzia in senso proprio, stante la mancanza di una girata avente quella funzione, ma semplicemente di un rafforzamento del credito per il tramite di un accessorio cartolare destinato a dare contezza dell’operazione.
 
Ma già su tali basi viene meno il fondamento di molte delle osservazioni critiche alla tesi della funzione di garanzia, formulate dal consulente tecnico del P.M., chiamato a pronunciarsi sulla natura delle cambiali sottoposte al secondo sequestro .
Si era infatti fra l’altro rilevato che con riguardo ad alcuni consorzi l’importo delle cambiali rinvenute nel mese di aprile era superiore, anche di molto, a quello dei crediti iscritti in contabilità alla data del 31-11-1991 . Sarebbe dovuto dunque escludersi che le cambiali potessero costituire una mera garanzia o comunque un semplice accessorio cartolare di un credito inferiore.
Ma in realtà il progressivo formarsi del “monte effetti” consente di dare una giustificazione più che convincente alla diversità degli importi, potendosi ad es. rilevare che proprio nel caso di Trapani, all’uopo segnalato dal consulente, risulta che in prosieguo di tempo furono addebitate sul conto corrente cambiali insolute per 5 miliardi e 600 milioni di valore, il che conduce ad un risultato in linea con la tesi esposta dalla difesa.
 
Volendo peraltro distinguere le due categorie di cambiali, non possono non richiamarsi le considerazioni espresse nella memoria difensiva cui si è fatto cenno.
 
Quanto ai prestiti dodecennali, come tali risultanti in bilancio, la funzione accessoria delle cambiali, anche alla stregua della cospicua documentazione allegata alla relazione del consulente del P.M. o acquisita su istanza della difesa, pare indubbia.
Seguendo il ragionamento difensivo, supportato da una serie di tabelle a suo tempo prodotte , è d’uopo osservare che, salva la necessità di alcuni aggiustamenti, vi è sostanziale corrispondenza tra il totale delle cambiali sequestrate e l’entità di quei crediti, ciò che si evince in particolare dalla corrispondenza per ciascun CAP tra numero e importo delle cambiali e numero delle rate di ammortamento ancora insolute.
 
D’altro canto l’importo del credito ceduto a tale titolo a SGR è pari a quello portato dalle cambiali, se si escludono gli effetti riferibili al CAP di Perugia, relativamente al quale il credito di Fedit, come è pacificamente emerso in corso di causa, non è stato trasferito ed è rimasto invece nella disponibilità della Liquidazione .
 
Quanto alle altre cambiali, la soluzione è meno sicura, ma può dirsi sostenuta da convergenti elementi, che la fanno apparire ben più attendibile, anche perché non è dato sapere la natura e l’origine degli ulteriori crediti ai quali le cambiali si dovrebbero riferire.
In ogni caso, deve premettersi che nel bilancio la voce crediti commerciali non comprendeva esclusivamente il saldo del conto di gestione, ma era riferibile ad una pluralità di voci, che del resto risultano dalla tabella D) che è inserita nella relazione del C.T. del P.M. dopo pag. 47.
 
Considerando l’entità delle singole voci alla data del 30-11-1991, si perveniva ad un totale di crediti commerciali pari a 1142 miliardi e 518 milioni di lire, previo computo di una svalutazione operata soprattutto su crediti verso CAP in liquidazione coatta.
Ma, come si è visto, nel complessivo importo erano destinati a confluire anche effetti richiamati, finanziamenti speciali e effetti a mano a mano riaddebitati sul conto di gestione, cioè crediti sicuramente portati da cambiali.
 
Ora, conteggiando solo tali ultime voci, come venutesi a modificare in prosieguo di tempo, con riflessi anche sulle altre voci di crediti cambializzati (in portafoglio o presso banche), si ottiene un importo sostanzialmente corrispondente a quello portato dalle cambiali sottoposte al secondo sequestro, il che vale a dar conto della riferibilità dei titoli a crediti diversi da quelli di cui al primo sequestro, ma tuttavia considerati in bilancio e già oggetto di trasferimento a SGR .
 
Non è un caso che lo stesso consulente del P.M. abbia concluso il suo lavoro esprimendo il convincimento che in buona sostanza le cambiali corrispondessero a crediti iscritti in bilancio, anche se in questo non vi era una chiara e del tutto trasparente enunciazione dell’esistenza di quelle specifiche cambiali.
 
In tale prospettiva deve reputarsi congrua anche la statuizione contenuta nella transazione del 31-7-1998, nella quale si dà conto della natura accessoria delle cambiali e si conviene sulla necessità di un loro immediato trasferimento a SGR a margine della cessione dei crediti.
 
Correlativamente a ciò, si reputa opportuno provvedere separatamente alla restituzione delle cambiali all’avente diritto, da individuarsi nella Liquidazione, quanto alle cambiali verso il CAP di Perugia, e in SGR, quanto a tutte le altre.
Restano l’atteggiamento ambiguo di quanti avrebbero voluto tenere il commissario governativo all’oscuro dell’esistenza degli effetti, e il mistero legato all’incredibile andirivieni dei titoli.