Sentenza Tribunale penale di Perugia - Vicenda Federconsorzi: differenze tra le versioni

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Un siffatta affermazione appare in realtà singolare, visto che il Capaldo era all’epoca presidente di un istituto bancario, che figurava tra i massimi creditori di Federconsorzi, e dunque, se un accordo vi fosse stato, egli avrebbe dovuto essere tra i primi ad esserne informato.
 
Non può in sostanza escludersi, sol perché diversamente si è espresso al dibattimento il prof. Capaldo, che egli, si badi, specificamente consultato, avesse in qualche guisa ispirato la strategia del Ministro .
 
Del resto non consta che quest’ultimo avesse consultato persone diverse e neppure può dirsi rilevante la troppo rapida indagine demandata ai citati Della Valle e Dezzani, a fronte dell’importanza strategica della decisione da prendere, mentre è pacifico che il prof. Capaldo da molto tempo operava come consulente esterno di Federconsorzi, a lui ricorrendosi in presenza di problematiche di rilievo.
 
In ogni caso deve ritenersi che il Ministro mirasse alla liquidazione del patrimonio.
 
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In tale contesto, è significativo non solo che il prof. Capaldo fosse stato consultato, ma anche che il suo istituto si fosse poi schierato a favore della liquidazione volontaria, peraltro difficilmente realizzabile, ciò che vale a sottolineare la di lui vicinanza al Ministro e alle soluzioni da quest’ultimo prospettate.
Né può sottacersi l’assonanza della soluzione in subordine proposta dal Ministro, incentrata sulla costituzione di una società ad hoc, con il piano che qualche mese dopo lo stesso Capaldo avrebbe elaborato e dal cui accoglimento dipende il presente processo.
 
16 - Così se da un lato fallivano le prospettive di ripresa della Federconsorzi, vedeva la luce la procedura concorsuale che più da vicino interessa in questa sede.
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16 - Così se da un lato fallivano le prospettive di ripresa della Federconsorzi, vedeva la luce la procedura concorsuale che più da vicino interessa in questa sede.
 
Ma quasi a delineare un programma scritto a più mani, risulta che già alla fine di giugno il dott. Greco, Presidente della sezione fallimentare del Tribunale di Roma, attendeva il ricorso e si mostrava prodigo di consigli, suggerendo altresì di far presto .
Del resto dopo la presentazione del ricorso, avvenuta il 4-7-1991, il dott. Greco non fu meno accondiscendente, al punto da concordare con i commissari i tempi per il successivo deposito della ratifica assembleare della decisione di far ricorso alla procedura di concordato e da prestarsi ad accedere direttamente presso la sede di Federconsorzi, per visionare le scritture contabili.
 
Ed invero, sarebbe gravato sulla ricorrente l’onere di provare la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 160 L.F., fra l’altro presentando con il ricorso le scritture contabili, uno stato analitico-estimativo delle attività e l’elenco nominativo dei creditori ai sensi dell’art. 161 L.F.
 
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Ma mai fu predisposto un inventario dei beni e neppure fu fornita la stima di ciascun cespite.
 
Tale dirimente violazione, per quanto non enunciata nel capo di imputazione, dà fin d’ora la misura del coinvolgimento del giudice relatore, cioè di colui che più di ogni altro avrebbe dovuto guidare le valutazioni del collegio, in un preciso disegno, sostanzialmente volto all’attuazione del concordato con cessione dei beni.
 
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Nell’ottica della liquidazione globale, propria del concordato con cessione dei beni, la gestione avrebbe dovuto mirare al mantenimento dello status quo, senza alcuna compromissione delle esigenze di conservazione del patrimonio destinato ai creditori, ma ciò collideva con la struttura stessa di Federconsorzi, che richiedeva una conduzione assai più dinamica e soprattutto imponeva interventi conservativi da valutarsi nel quadro del complesso sistema di cui l’ente era a capo.
 
In altre parole sarebbe stato necessario che i commissari governativi potessero dispiegare un’effettiva opera di risanamento attraverso una adeguata acquisizione di risorse, ottenute anche attraverso un piano di dismissioni, da destinare poi alla conservazione dei cespiti e delle società di maggior significato.
Orbene, a fronte di tutto ciò il giudice delegato, cioè lo stesso Presidente Greco, tenne sempre un atteggiamento di assoluta rigidità, limitando a casi del tutto sporadici le autorizzazioni alla vendita di cespiti o all’erogazione di finanziamenti infra-gruppo.
 
Si sosteneva infatti dal punto di vista formale che l’art. 167 L.F. non consentisse operazioni di amministrazione attiva al di fuori di quelle strettamente connesse all’esigenza di conservazione del patrimonio con la conseguenza che fosse possibile la cessione di cespiti solo nei casi in cui si prospettasse come altrimenti ineluttabile il loro depauperamento o la loro compromissione.
Ma una siffatta interpretazione, che l’art. 167 L.F. non legittima , pur richiedendo cautela, era comunque d’ostacolo alla realizzazione di qualsivoglia progetto di risanamento.
 
Ciò è tanto vero, che progressivamente si determinarono frizioni tra i commissari governativi e gli organi della procedura, che condussero ad una sorta di chiarimento, ma solo limitatamente all’affare Fedital.
 
Sta di fatto che, se per davvero fosse stata legittima l’interpretazione restrittiva dell’art. 167 L.F. fatta propria dal Presidente Greco, vi sarebbe stato motivo di dubitare fortemente della adattabilità della procedura di concordato ad un ente quale la Federconsorzi, che avrebbe avuto invece bisogno di strumenti diversi.
E non è un caso che nel corso dei mesi gli stessi commissari avessero cominciato ad affacciare l’ipotesi di un cambio della procedura, in favore ad esempio della amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, trovando anche in questo caso la forte contrarietà del magistrato .
 
Per concludere sul punto, il dott. Greco fin dall’inizio mostrò di privilegiare la procedura di concordato preventivo, che meno di tutte si attagliava al caso di specie, e nel corso dei mesi la gestì in modo fin troppo rigido, astenendosi sistematicamente, salve rarissime eccezioni, dall’autorizzare i commissari governativi, che di continuo formulavano istanze in tal senso, a cedere beni o partecipazioni societarie, ciò che finì con il vanificare le prospettive di utile dismissione che a mano a mano si presentavano, il tutto in funzione della nominale conservazione del patrimonio destinato ai creditori, ma di fatto a beneficio del semplice mantenimento dello status quo e della medesima composizione di quel patrimonio, scongiurandosi il “rischio” di cessione dei cespiti più appetibili, che per primi, ragionevolmente, avrebbero trovato un acquirente.
 
Tale condotta e tale atteggiamento risultano d’altro canto in linea con gli auspici iniziali del Ministro, si badi, già sostenuto dal prof. Capaldo.
 
17 - Approfondendo l’esame, va rilevato come in pendenza di procedura si fossero profilati vari progetti di acquisizione del patrimonio o di parte di esso.
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Per vero in molti casi si trattò di tentativi meritevoli solo di articoli di giornale e di qualche pettegolezzo, in altri di interessamento per singoli cespiti dal valore strategico, come la partecipazione in B.N.A. .
 
17 - Approfondendo l’esame, va rilevato come in pendenza di procedura si fossero profilati vari progetti di acquisizione del patrimonio o di parte di esso.
 
Per vero in molti casi si trattò di tentativi meritevoli solo di articoli di giornale e di qualche pettegolezzo, in altri di interessamento per singoli cespiti dal valore strategico, come la partecipazione in B.N.A. .
 
Solo Roveraro elaborò il piano complessivo di cui s’è detto, peraltro mai giunto ad un’elaborazione esecutiva .
Sta di fatto che il predetto ha riferito di aver parlato delle sue intenzioni con il prof. Capaldo fin da epoca anteriore al commissariamento e di averlo poi più volte contattato, consegnandogli perfino i documenti che contenevano il suo progetto.
D’altro canto il Sen. Andreotti ha nel corso della sua deposizione dichiarato di aver segnalato al Roveraro il ruolo del Capaldo, quale promotore di una cordata.
 
Ma il Roveraro ha aggiunto di essere rimasto sorpreso alla notizia che il Capaldo avesse poi presentato un suo progetto.
Dall’insieme di tali elementi, in realtà in parte dissonanti, si trae conferma del fatto che il prof. Capaldo costituiva un punto di riferimento per Federconsorzi e per la politica e si evince altresì che il predetto si stava da tempo interessando della definizione della procedura e della sorte del patrimonio dell’ente.
Né sarebbe potuto essere diversamente.
 
Non si trattava infatti solo di risolvere il problema di Federconsorzi, ma anche di trovare un rimedio alla crisi di Agrifactoring, posta in liquidazione e parimenti ammessa al concordato preventivo.
 
Tanto Federconsorzi quanto Agrifactoring annoveravano tra i creditori le banche estere, prima di tutto giapponesi, che stavano reagendo assai duramente alla prospettiva di veder falcidiate le proprie pretese creditorie.
 
In particolare vi era il rischio che le banche estere da un lato creassero problemi a livello internazionale e dall’altro non votassero a favore dei due concordati all’adunanza dei creditori.
In tale contesto si colloca l’operazione di postergazione dei crediti vantati da Banca Nazionale del Lavoro, Banco di S. Spirito ed Efibanca nei confronti di Agrifactoring, operazione che migliorava le prospettive di realizzo delle banche estere, ma di fatto riduceva al minimo quelle dei citati istituti, presupponendo al tempo stesso un meccanismo che consentisse ad essi di ottimizzare la realizzazione dei crediti verso Federconsorzi.
Il patrimonio di quest’ultima era stato del resto fin dall’inizio indicato come sufficiente all’erogazione di una percentuale superiore al 70%.
 
Ben si comprende dunque che la cessione dei beni, cui la procedura tendeva, potesse essere intesa dai maggiori creditori come strumento privilegiato di soddisfacimento delle loro pretese.
Pare allora del tutto inverosimile che il prof. Capaldo, direttamente coinvolto dal proprio ruolo di presidente del Banco di S. Spirito, di consulente strategico di Federconsorzi, di esponente di primo piano del mondo bancario -con significative aderenze politiche-, se ne fosse stato con le mani in mano in attesa degli eventi, mentre deve necessariamente ritenersi che fin dall’inizio, una volta apertasi la procedura di concordato, egli avesse operato in modo da assicurarne il buon fine, cioè quello che avrebbe potuto garantire il miglior risultato, tanto da accettare perfino la cennata postergazione.