Sentenza Tribunale penale di Perugia - Vicenda Federconsorzi: differenze tra le versioni

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- Di seguito ebbe corso la fase dell’esecuzione, curata per Federconsorzi dal commissario governativo D’Ercole.
Si procedette dunque al progressivo trasferimento di immobili, crediti (con lettere commerciali) e partecipazioni societarie.
Quanto agli immobili nella maggior parte dei casi fu prescelta la strada del diretto trasferimento all’acquirente individuato dalla stessa S.G.R.
Nel novembre 1994 il nuovo Ministro Adriana Poli Bortone sostituì nel ruolo di commissario governativo l’Avv. D’Ercole con l’Avv. dello Stato Francesco Lettera .
Quest’ultimo, pur dando esecuzione all’atto quadro, cominciò a rilevare una serie di difficoltà operative .
In effetti, posto che nell’atto veniva delineato il corrispettivo totale, ma non quello riferibile a ciascun trasferimento, era accaduto che alle singole cessioni fosse stato a mano a mano attribuito un valore convenzionale nell’ambito del “plafond” complessivo.
 
Giunse però il momento in cui quel plafond era ormai esaurito, mentre vi erano ancora beni da trasferire.
In particolare si arrivò alla cessione di un ingente credito nei confronti del Ministero dell’Agricoltura (c.d. credito MAF), riferibile alla fase degli ammassi, credito in origine di pertinenza dei Consorzi Agrari e poi in parte ceduto nel corso degli anni a Federconsorzi.
 
Fu al riguardo convenuto che fosse stipulato uno specifico atto.
Senonché, per non superare il citato plafond, il corrispettivo sarebbe dovuto essere puramente simbolico.
A ciò l’Avv. Lettera oppose questioni di principio, legate alla natura del credito.
 
Nell’esecuzione dell’accordo “quadro” subentrarono peraltro ulteriori difficoltà, che finirono per rallentare il corso dei trasferimenti, ingenerando un contenzioso tra le parti .
Nel frattempo della vicenda Federconsorzi si era occupata anche una commissione ministeriale, incaricata di ricostruire la gestione dell’ente prima della fase di concordato e di far luce sulle cause del dissesto.
 
Detta commissione, depositato un volume contenente il resoconto della propria indagine, avrebbe dovuto proseguire il lavoro, occupandosi anche della fase di concordato fino alla cessione dei beni.
 
Ma sul punto la commissione non depositò mai un proprio elaborato .
Fu invece un suo componente, il prof. Scotti Camuzzi, che formulò in una propria relazione rilievi fortemente critici sul contratto “quadro”.
 
L’importanza del documento fece sorgere negli organi della procedura la necessità di acquisire pareri autorevoli circa la validità di detto contratto .
 
Fu in particolare consultato il prof. Schlesinger il quale, nel respingere come infondate gran parte delle censure mosse dallo Scotti Camuzzi, rilevò tuttavia la nullità della clausola relativa all’estensione della cessione a tutte le attività di Federconsorzi, anche diverse da quelle incluse nella relazione particolareggiata.
Lo stesso prof. Schlesinger ravvisò inoltre l’opportunità di riplasmare i corrispettivi fino ad allora fissati, in modo da poter stabilire per il trasferimento del credito verso lo Stato un corrispettivo non puramente simbolico.
 
Ma le difficoltà di gestione del contratto “quadro” condussero il commissario governativo Lettera ad agire su più versanti a tutela di Federconsorzi, il che indusse gli organi della procedura a disgiungere la posizione di legale rappresentante dell’ente da quella di liquidatore.
 
Infatti con provvedimento del novembre 1995, depositato il successivo 2 dicembre, il Tribunale di Roma, essendo nel frattempo uscito di scena il Presidente Greco, attribuì l’incarico di liquidatore non più alla Federconsorzi, bensì al prof. Antonino Cataudella.
 
Nel frattempo il contenzioso non accennava a diminuire, profilandosi ancora ragioni di nullità dell’atto quadro.
 
Tra la fine del 1995 e i primi del 1996 la gestione del concordato preventivo di Federconsorzi cominciò a formare oggetto di indagine da parte della Procura della Repubblica di Perugia, che, avendo rilevato un forte squilibrio tra il valore dei beni e il prezzo pattuito per la cessione in blocco, ipotizzò il delitto di bancarotta fraudolenta e, al fine di impedire il consolidarsi di un ingiusto profitto, chiese e ottenne nel marzo del 1996 il sequestro preventivo di una serie di cespiti (crediti e partecipazioni), alcuni dei quali già trasferiti a SGR ed altri ancora da trasferire .
Custode dei beni venne nominato lo stesso avv. Lettera, ancora commissario governativo di Federconsorzi.
 
Quest’ultimo, nel medesimo lasso di tempo, rintracciò in un armadio sito nella nuova sede di Federconsorzi in via Salaria un gruppo di cambiali agrarie e ordinarie, non collocate ordinatamente, emesse dai Consorzi Agrari all’ordine di Fedit, aventi un valore complessivo di circa 800 miliardi, della cui esistenza almeno in apparenza nulla si sapeva .
Anche tali cambiali formarono oggetto di sequestro preventivo su richiesta del P.M .
La sorte dell’atto quadro appariva intanto sempre più precaria.
Un parere chiesto a due noti giuristi, prof. De Nova e prof. Gabrielli, conteneva affermazioni trancianti nel senso dell’invalidità dell’atto .
A questo punto fu fatto ricorso alla procedura di arbitrato, al fine di pervenire alla definizione del vasto contenzioso ormai sorto.
Nel luglio 1998 si addivenne però ad una definizione transattiva di tutte le pendenze .
L’accordo, stipulato il 31-7-1998, prevedeva in pratica che non dovessero effettuarsi nuovi trasferimenti, con esonero di SGR dall’obbligo di pagare l’ultima parte del prezzo, pari a 85 miliardi circa, e che peraltro i trasferimenti avvenuti conservassero validità; SGR si vedeva inoltre riconosciuto il diritto a conseguire le cambiali nel frattempo rinvenute e sequestrate, da considerarsi non come crediti nuovi, bensì come meri accessori cartolari di crediti già trasferiti.
In tal modo restavano a disposizione della liquidazione alcuni beni residui, primo tra tutti il credito MAF.
Nel corso della successiva fase di liquidazione, in conseguenza dei risultati della transazione e di un mutamento della qualifica di alcuni crediti, passati da privilegiati a chirografari, si riusciva a distribuire ai creditori chirografari una percentuale all’incirca pari al 40%.
Nel 1999, stante il rilievo anche politico delle vicende riguardanti Federconsorzi, il Parlamento nominava una commissione di inchiesta chiamata ad indagare sulle cause del dissesto e sulla gestione del concordato.
 
Nello stesso anno veniva emanata la L. 410 che, nel finanziare il residuo credito MAF, rimasto nella titolarità dei Consorzi Agrari, disponeva altresì la messa in liquidazione di Federconsorzi, al termine della fase di liquidazione concordatizia.
 
I lavori della Commissione, presieduta dal sen. Melchiorre Cirami, terminarono con l’approvazione della relazione finale nel febbraio 2001 , poco prima che avesse inizio la fase dibattimentale di questo processo.
 
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