Sentenza Tribunale penale di Perugia - Vicenda Federconsorzi: differenze tra le versioni

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Si ribadiva la necessità di regolare le situazioni in cui Federconsorzi aveva assunto la responsabilità ex art. 2362 cc quale unico azionista e di prestare attenzione alle vendite già disposte ma non ancora eseguite.
 
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Da ultimo si segnalava il caso delle gestioni per conto dello Stato, meritevoli di apposito accordo.
 
11.4 - Il Collegio, preso atto dei vari pronunciamenti, fissava all’avv. Casella il termine del 4-3-1993 per l’inoltro della proposta definitiva.
Ed in effetti in data 3-3-1993 l’avv. Casella inviò agli organi della procedura una proposta “ferma” per 30 giorni a nome degli aderenti all’iniziativa .
Di fatto veniva ribadita la precedente offerta del 28-1-1993, rilevandosi da parte dell’avv. Casella che in quei limiti era contenuto il mandato rilasciatogli.
Il predetto tuttavia considerava conforme allo spirito della proposta l’esclusione dalla cessione di azioni, diritti e crediti sorti in corso di procedura e attività non oggetto della stima, ribadiva l’impegno assunto nel corso dell’udienza del 5-2-1993 a concorrere all’esodo incentivato del personale e ad assumere 60/70 unità con contratto a tempo determinato per le esigenze della liquidazione, prospettava la possibilità di un accordo relativo alle situazioni di responsabilità ex art. 2362 cc e manifestava la disponibilità ad assicurare vantaggiose forme di finanziamento attraverso anticipazioni alla procedura, così da mantenere il livello di liquidità.
 
Seguirono incontri tra gli organi della procedura e le rappresentanze sindacali, finché con decreto del 23-3-1993 , depositato il 26-3-1993, il Tribunale di Roma, composto ancora una volta dal Presidente Greco e dai giudici Celotti e De Vitis, si determinò.
Il decreto, tanto atteso, autorizzava la vendita in massa.
Ribadito quanto già osservato nella sentenza di omologa, si precisava che la prospettata eventualità di una gara sarebbe dovuta considerarsi superata, atteso che a distanza di tempo nessuna diversa proposta era stata avanzata.
Si rilevava inoltre che il contesto in cui la liquidazione si sarebbe dovuta realizzare, caratterizzato da incertezze sul piano politico ed economico e da progressiva recessione, con debolezza della moneta e blocco del mercato dei beni rifugio, impediva di formulare previsioni attendibili di realizzo del patrimonio Fedit, da proiettarsi comunque su tempi lunghi.
Nel frattempo vi sarebbe stato il rischio che il patrimonio subisse un depauperamento.
D’altro canto la liquidazione aveva esigenze di celerità proprio allo scopo di impedire quel depauperamento.
 
Da una disamina delle principali categorie di cespiti risultava che le partecipazioni in molte società erano assai onerose e di difficile realizzo, essendone risultata impossibile la vendita, pur tentata negli ultimi mesi; che di non facile alienazione erano altresì le partecipazioni in società quotate; che i cespiti immobiliari si trovavano a subire una particolare situazione di mercato, caratterizzato da un blocco pressoché totale, dovuto a mancanza di liquidità, a maggiori oneri fiscali, a minor potere di acquisto dei possibili acquirenti.; che i crediti apparivano in molti casi di difficile recupero o addirittura irrealizzabili.
 
Le spese di gestione erano destinate ad accrescersi in misura notevole in dipendenza del prolungarsi dei tempi di liquidazione.
La situazione di incertezza circa la concreta possibilità di realizzo del patrimonio anche al più prudente valore stimato valeva dunque a colmare il gap con il prezzo offerto.
Nulla rilevava che i promotori potessero in concreto realizzare un profitto, essendo anzi plausibile che un siffatto obiettivo fosse specificamente perseguito al fine di ridurre la falcidia concordataria.
 
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Del resto la vendita in massa risultava richiesta sia dai creditori che dalle organizzazioni sindacali, essendo idonea ad assicurare alcuni vantaggi, quali il soddisfacimento del credito in tempi brevi, la riduzione delle spese di gestione, l’incentivazione dell’esodo dei lavoratori, la cessazione dei finanziamenti alle controllate.
Nessun vulnus alla par condicio creditorum sarebbe potuto derivare dalla vendita in blocco, poiché tutti i creditori avrebbero comunque concorso al riparto del ricavato e l’eventuale maggior introito dei soci avrebbe costituito il compenso del conferimento in denaro operato per far parte della società.
 
Seguiva poi il rilievo della non sufficiente determinatezza dell’offerta, peraltro a sua volta non proveniente da soggetto determinato.
In particolare la genericità di alcuni punti avrebbe potuto rendere l’offerta inaccoglibile o quei punti inesistenti.
 
Era però indubitabile la buona fede dei proponenti, di talché le lacune riscontrabili sarebbero potute e dovute colmarsi dallo stesso Tribunale con la consapevolezza che i soggetti aderenti all’iniziativa avrebbero certamente rispettato gli obblighi imposti.
In tale quadro si segnalava la questione del numero dei dipendenti da assumere, che il Tribunale determinava in 70; quella dell’incentivazione all’esodo, che la procedura non avrebbe potuto sostenere e che veniva rimessa alla prassi e alla ragionevolezza, intesa come criterio sufficientemente determinato per protagonisti dell’economia nazionale; ed ancora quella della responsabilità ex art. 2362 cc, per la quale si auspicava l’assunzione di un impegno ragionevole ma concreto, avente l’effetto di ridurre le conseguenze dannose per la procedura.
In definitiva l’autorizzazione alla vendita in massa veniva accompagnata da alcune prescrizioni, quali quelle che la nuova società si costituisse entro venti giorni, che procedesse all’acquisto in più atti, il primo dei quali riguardante le partecipazioni in società non quotate e non bancarie da stipularsi entro 30 giorni e gli altri secondo le disponibilità delle parti e nei tempi fissati dal giudice delegato; che la corresponsione della prima rata, pari al 15% avvenisse in rapporto ai beni ceduti, secondo una proporzione calcolata in relazione al valore dei beni attribuito inizialmente dal commissario giudiziale; che le detrazioni per il valore dei beni già alienati fossero calcolate al netto delle spese sostenute da Federconsorzi e dalla procedura; che la nuova società assumesse 70 unità di personale e iniziasse le trattative per la determinazione delle modalità dell’incentivazione all’esodo; che fossero escluse dalla cessione le attività non considerate nella relazione particolareggiata come le azioni di responsabilità o di danni già promosse o da promuovere e i crediti sorti in corso di procedura verso società controllate per finanziamenti derivanti dai primi realizzi.
 
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