Divina Commedia/Inferno/Canto XXX: differenze tra le versioni
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Io vidi un, fatto a guisa di lëuto,
pur ch'elli avesse avuta l'anguinaia
tronca da l'altro che l'uomo ha forcuto.{{R|51}}▼
▲tronca da l'altro che l'uomo ha forcuto.
La grave idropesì, che sì dispaia
le membra con l'omor che mal converte,
che 'l viso non risponde a la ventraia, {{r|54}}▼
▲che 'l viso non risponde a la ventraia,
faceva lui tener le labbra aperte
come l'etico fa, che per la sete
l'un verso 'l mento e l'altro in sù rinverte. {{r|57}}▼
▲l'un verso 'l mento e l'altro in sù rinverte.
"O voi che sanz'alcuna pena siete,
e non so io perché, nel mondo gramo",
diss'elli a noi, "guardate e attendete {{r|60}}▼
▲diss'elli a noi, "guardate e attendete
a la miseria del maestro Adamo;
io ebbi, vivo, assai di quel ch'i' volli,
e ora, lasso!, un gocciol d'acqua bramo. {{r|63}}▼
▲e ora, lasso!, un gocciol d'acqua bramo.
Li ruscelletti che d'i verdi colli
del Casentin discendon giuso in Arno,
faccendo i lor canali freddi e molli,{{r|66}}▼
▲faccendo i lor canali freddi e molli,
sempre mi stanno innanzi, e non indarno,
ché l'imagine lor vie più m'asciuga
che 'l male ond'io nel volto mi discarno.{{r|69}}▼
▲che 'l male ond'io nel volto mi discarno.
La rigida giustizia che mi fruga
tragge cagion del loco ov'io peccai
a metter più li miei sospiri in fuga. {{r|72}}▼
▲a metter più li miei sospiri in fuga.
Ivi è Romena, là dov'io falsai
la lega suggellata del Batista;
per ch'io il corpo sù arso lasciai. {{r|75}}▼
▲per ch'io il corpo sù arso lasciai.
Ma s'io vedessi qui l'anima trista
di Guido o d'Alessandro o di lor frate,
per Fonte Branda non darei la vista. {{r|78}}▼
▲per Fonte Branda non darei la vista.
Dentro c'è l'una già, se l'arrabbiate
ombre che vanno intorno dicon vero;
ma che mi val, c' ho le membra legate? {{r|81}}▼
▲ma che mi val, c' ho le membra legate?
S'io fossi pur di tanto ancor leggero
ch'i' potessi in cent'anni andare un'oncia,
io sarei messo già per lo sentiero, {{r|84}}▼
▲io sarei messo già per lo sentiero,
cercando lui tra questa gente sconcia,
con tutto ch'ella volge undici miglia,
e men d'un mezzo di traverso non ci ha. {{r|87}}▼
▲e men d'un mezzo di traverso non ci ha.
Io son per lor tra sì fatta famiglia;
e' m'indussero a batter li fiorini
ch'avevan tre carati di mondiglia". {{r|90}}▼
▲ch'avevan tre carati di mondiglia".
E io a lui: "Chi son li due tapini
che fumman come man bagnate 'l verno,
giacendo stretti a' tuoi destri confini?".{{r|93}}▼
▲giacendo stretti a' tuoi destri confini?".
"Qui li trovai - e poi volta non dierno -",
rispuose, "quando piovvi in questo greppo,
e non credo che dieno in sempiterno.{{r|96}}▼
▲e non credo che dieno in sempiterno.
L'una è la falsa ch'accusò Gioseppo;
l'altr'è 'l falso Sinon greco di Troia:
per febbre aguta gittan tanto leppo".{{r|99}}▼
▲per febbre aguta gittan tanto leppo".
E l'un di lor, che si recò a noia
forse d'esser nomato sì oscuro,
col pugno li percosse l'epa croia.{{r|102}}▼
▲col pugno li percosse l'epa croia.
Quella sonò come fosse un tamburo;
e mastro Adamo li percosse il volto
col braccio suo, che non parve men duro,{{r|105}}▼
▲col braccio suo, che non parve men duro,
dicendo a lui: "Ancor che mi sia tolto
lo muover per le membra che son gravi,
ho io il braccio a tal mestiere sciolto".{{r|108}}▼
▲ho io il braccio a tal mestiere sciolto".
Ond'ei rispuose: "Quando tu andavi
al fuoco, non l'avei tu così presto;
ma sì e più l'avei quando coniavi".{{r|111}}▼
▲ma sì e più l'avei quando coniavi".
E l'idropico: "Tu di' ver di questo:
ma tu non fosti sì ver testimonio
là 've del ver fosti a Troia richesto".{{r|114}}▼
▲là 've del ver fosti a Troia richesto".
"S'io dissi falso, e tu falsasti il conio",
disse Sinon; "e son qui per un fallo,
e tu per più ch'alcun altro demonio!".{{r|117}}▼
▲e tu per più ch'alcun altro demonio!".
"Ricorditi, spergiuro, del cavallo",
rispuose quel ch'avëa infiata l'epa;
"e sieti reo che tutto il mondo sallo!".{{r|120}}▼
▲"e sieti reo che tutto il mondo sallo!".
"E te sia rea la sete onde ti crepa",
disse 'l Greco, "la lingua, e l'acqua marcia
che 'l ventre innanzi a li occhi sì t'assiepa!".{{r|123}▼
▲che 'l ventre innanzi a li occhi sì t'assiepa!".
Allora il monetier: "Così si squarcia
la bocca tua per tuo mal come suole;
ché, s'i' ho sete e omor mi rinfarcia,{{r|126}}▼
▲ché, s'i' ho sete e omor mi rinfarcia,
tu hai l'arsura e 'l capo che ti duole,
e per leccar lo specchio di Narcisso,
non vorresti a 'nvitar molte parole". {{r|129}}▼
▲non vorresti a 'nvitar molte parole".
Ad ascoltarli er'io del tutto fisso,
quando 'l maestro mi disse: "Or pur mira,
che per poco che teco non mi risso!". {{r|132}}▼
▲che per poco che teco non mi risso!".
Quand'io 'l senti' a me parlar con ira,
volsimi verso lui con tal vergogna,
ch'ancor per la memoria mi si gira. {{r|135}}▼
▲ch'ancor per la memoria mi si gira.
Qual è colui che suo dannaggio sogna,
che sognando desidera sognare,
sì che quel ch'è, come non fosse, agogna, {{r|138}}▼
▲sì che quel ch'è, come non fosse, agogna,
tal mi fec'io, non possendo parlare,
che disïava scusarmi, e scusava
me tuttavia, e nol mi credea fare. {{r|141}}▼
▲me tuttavia, e nol mi credea fare.
"Maggior difetto men vergogna lava",
disse 'l maestro, "che 'l tuo non è stato;
però d'ogne trestizia ti disgrava. {{r|144}}▼
▲però d'ogne trestizia ti disgrava.
E fa ragion ch'io ti sia sempre allato,
se più avvien che fortuna t'accoglia
dove sien genti in simigliante piato:{{r|147}}▼
▲dove sien genti in simigliante piato:
ché voler ciò udire è bassa voglia".
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