Fiore di virtù/XXXVIII: differenze tra le versioni

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Ho ragionato in generalità della virtù della moderanza per più piena dottrina che ho saputo. Ora è da sguardare per ordine il modo e la forma che è da osservare in tutte le cose che l’uomo viene a fare. La prima virtù delle persone si è a costrignere la lingua, siccome dice {{AutoreCitato|Marco Porcio Catone|Cato}}. Si comincerò a dire certi ammaestramenti in su ’l modo di parlare, e poscia dirò l’ordine ch’è da osservare nell’altre cose; onde ciascuno che vuole perfettamente favellare, secondo che dice {{AutoreCitato|Albertano da Brescia|Albertano}}, conviene si pigli esempio dal gallo, il quale innanzi ch’ei canti, batte l’alia tre volte. Ancora si dee guardare nelle sue parole in due principali cose: La prima, s’egli è irato, non dee favellare; onde {{AutoreCitato|Marco Porcio Catone|Cato}} dice: L’ira intriga l’animo, e non lascia conoscere il vero. Ancora si dee pensare l’uomo se troppa volontà lo muove a favellare. Santo Agostino dice: Così come il vino inebria le persone, così la soperchia volontà del parlare. Ancora dee pensare s’egli è bene quello ch’egli vuol dire. {{AutoreCitato|Marco Tullio Cicerone|Tullio}} dice: Innanzi che tu favelli, ragiona nel tuo cuore quello che tu vo’ dire più volte; e così rade volte fallerai. La seconda cosa si è a guardare con cui l’uomo favella. Tolomeo dice: Innanzi che tu favelli, fa che tu conosca le condizioni e gli costumi della persona a cui intendi di favellare; imperocchè con baroni e cavalieri si dee parlare cose altissime, di signorie, di battaglie, di cortesie, di prodezze, d’arme, di cavalli, di selle, di cani e d’ogni altra gioja e diletto; con donne si dee contare di cose di cortesia e di allegrezza e d’amore, e di belle gioje e di vestimenta, e di case e di masserizie; con donzello si dee ragionare cose d’amore, di cortesia, d’allegrezza, di belle cacce, di bagordare, d’armeggiare; con religiosi e con persone vecchie si dee dire d’onestade e di castità, di temperanza, di scienza, di santità; con persone di popolo si dee ragionare di cose ch’appartengono al suo mestiero; co’ villani si dee dire cose d’arare e di seminare e di fare fossati, di tagliare boschi, di vigne e di bestiame; con matti si dee dire cose di pazzia, imperocchè a lui non piace mai se non cosa che si affà alla sua pazzia; e con persone tribolate si dee dire cose di pacienza e di temperanza e di misericordia: e così secondo le condizioni delle persone si dee ragionare cose che sieno loro a piacimento. La terza cosa si è a guardare quello che l’uomo voglia dire, e se si appartiene di dire o no. È gran pazzia a dire quello che non gli appartiene di dire; e se gli appartiene, allora lo può dire, guardandosi da sedici principali cose:
 
La prima si è guardarsi dal soperchio favellare; chè chi favella soperchio, non può ire senza peccato, e la sua lingua si è come cavallo senza freno, come casa senza mura, come la nave senza timone, come la vigna senza siepe. Ancora: Agli peccati della lingua tutti gli peccati s’approssimano. Ancora: Il cuore del matto si è nella sua lingua; e la lingua del savio si è nel suo cuore. David dice: Il cianciatore non sarà amato dalla gente. Socrate dice: Chi per sè non tace sarà fatto tacere per altrui, e sarà meno apprezzato. {{AutoreCitato|Aristotele|Aristotile}} dice: Chi tace si conosce l’altrui parole; e sì s’egli favella, fa conoscere le sue. Salomone dice: Laddove sono molti sogni,<ref>Questa lezione ho voluto accettare, piuttosto che ''savi''; dopo che il Padre {{AutoreCitato|Bartolomeo Sorio|Bartolommeo Sorio}} ebbe in una sua lezione Accademica dimostrato che questo luogo è errato, imperocchè il testo latino dell’Ecclesiaste dice: ''Ubi multa sunt somnia, plurimæ sunt vanitatea, et sermonea innumeri''. Vedi ''Rivista Ginnasiale'', seconda serie, fascicolo 4°. Questo medesimo errore lo ha pure avvertito il padre Frediani nella sua pubblicazione del Volgarizzamento dell’Ecclesiaste.</ref> là sono molte vane parole e senza numero; e non sia il tuo cuore corrente a proferire le parole; chè matti pensieri seguono li matti, e trovasine mattia. Non mettere il tuo cuore a tutte le parole che tu di’, ma sii molte fiate come sordo, e non attendere a ciò. {{AutoreCitato|Marco Tullio Cicerone|Tullio}} dice: Sii di poche parole se tu vuoi piacere ad altrui. {{AutoreCitato|Lucio Anneo Seneca|Seneca}} dice: Chi non sa tacere non saprà favellare; e molti peccano favellando, ma tacendo non si pecca mai. Dice uno Savio: Sii più corrente a udire, che a favellare. {{AutoreCitato|Marco Porcio Catone|Cato}} dice: A nessuno è troppo il tacere, ma è troppo il favellare. Ancora: Se tu vuoi essere cortese, non essere cianciatore; se tu hai intelletto, rispondi al prossimo tuo; altrimenti sia la tua mano dinanzi alla tua bocca, acciocchè tu non sii ripreso della tua parola. {{AutoreCitato|Prisciano|Prisciano}} dice: Chi ha in odio le ciance si ammorza la malizia. Santo Gregorio dice: Molte parole abbondano nella bocca de’ matti; ma l’uomo savio userà poche parole. {{AutoreCitato|Platone|Plato}} dice: Savio è chi favella quando dee, e più savio è chi non favella quando non dee; savissimo è chi serve ogni uomo in favellare. Santo Iacopo dice: La natura degli uccelli e delle bestie, e de’ serpenti, e di tutti gli altri animali, l’uomo li doma tutti; e la sua lingua non puote domare.
 
Il secondo vizio si è a non guardarsi di contendere con altrui. {{AutoreCitato|Marco Porcio Catone|Cato}} dice: Con quello che non ti molesta non contendere. La parola è data a molti, e la sapienza a pochi. Ancora: Lasciati vincere di parole al tuo amico, avvegnachè tu possa vincere lui.
 
Lo terzo vizio si è a manifestare l’altrui credenza. {{AutoreCitato|Lucio Anneo Seneca|Seneca}} dice: Quello che tu vuoi che sia credenza, non lo manifestare con molti; chè come tu stesso non ti se’ tenuto credenza, pensa come altri la ti terrà. {{AutoreCitato|Marco Tullio Cicerone|Tullio}} dice: Nel tuo cuore tieni celata la tua credenza, acciocchè ella non tenga te legato. Salomone dice: Chi tiene celato il vizio del suo amico, si ferma la sua amistade; e chi l’appalesa, la perde. Longino dice: Chi per alcuna amistà manifesta l’altrui credenza, mai non troverà uomo che si fidi di lui. {{AutoreCitato|Aulo Persio Flacco|Persio}} dice: Tieni seppellito nel tuo cuore quello che t’è detto in credenza; chè maggiore tradimento non si puote fare come manifestare le credenze altrui. Chi palesa la credenza del suo amico, perde la fede, e mai non troverà amico al suo animo.
 
Il quarto vizio si è a dire parole contrarie insieme. {{AutoreCitato|Marco Porcio Catone|Cato}} dice: Contraria quanto tu vuoi, purchè tu non sii contrario a te stesso. Varo disse: Chi a sè medesimo contraria, molti troverà contrariatori. {{AutoreCitato|Platone|Plato}} disse: Segno di mattia è chi lo suo favellare contraria a sè stesso.
 
Il quinto vizio si è a dire vane parole e odiose e matte. Santo Agostino dice: La vana parola si è giudice della vana coscienza. {{AutoreCitato|Lucio Anneo Seneca|Seneca}} dice: La tua parola non sia vana, ma sia sempre di consigliare, d’ammaestrare e di gastigare.
 
Il sesto vizio si è essere di due lingue, cioè una parola dire innanzi ad altrui, e poi di dietro tutto il contrario. Socrate dice: Nessuno animale ha due lingue, se non l’uomo e la femmina. {{AutoreCitato|Publio Terenzio Afro|Terenzio}} dice: La malizia di colui ch’è di due lingue non si puote celare lungo tempo.
 
Il settimo vizio si è a essere commettitore di male. Sirac dice: Sérrati gli orecchi colle spine, se tu non puoi avere altro, e non udire gli rapportatori del male. Il Savio dice: Gli rapportatori del male saranno confusi da per loro. {{AutoreCitato|Gaio Sallustio Crispo|Sallustio}} dice: Tutti i mali discendono per li rapportatori delle male parole.
 
L’ottavo vizio si è a giurare senza grande cagione. Isidoro dice: Colui che userà oscure e doppie parole, non potrà ingannare Iddio che sa il tutto. Salomone dice: L’ uomo che molto giura, s’empierà d’iniquità.
 
Il nono vizio si è a minacciare altrui. Valerio dice: Sempre colui che minaccia si fa tenere più matto che non è. {{AutoreCitato|Quinto Orazio Flacco|Orazio}} dice: Altro è a dire una cosa, e un altro, a farla; ch’egli è mostrare buona intenzione, e averla ria. {{AutoreCitato|Esopo}} dice: Spesse volte fanno meno che gli altri coloro che fanno grandi parole.
 
Il decimo vizio si è a biasimare altrui. Un Savio dice: Innanzi che ’l fuoco s’appigli, il fumo si leva; innanzi che ’l sangue si spanda, si escono le bestemmie e le minacce.
 
L’undecimo vizio si è ad usare sempre aspre parole. Salomone dice: Le parole ben composte sono come fao di mèle. Ancora dice: Il dolce parlare si rompe l’ira, e il parlare duro multiplica furore. Sirac dice: La dolce parola moltiplica gli amici e mitiga i nemici. Ancora: La citara e lo salterio fanno assai soavi suoni; ma sopra tutto si è dolce suono quello della buona lingua.
 
Il duodecimo vizio si è a dire villania ad altrui. Salomone dice: Chi mattamente manifesterà il suo vizio altrui, udirà li suoi più per tempo che non vorria. {{AutoreCitato|Aristotele|Aristotile}} dice: Chi ha la trave nel suo occhio dice al compagno che si tolga la festuga dal suo.
 
Il terzodecimo vizio si è a dire alcuna laida e brutta parola. Santo Paolo dice: Le brutte parole corrompono gli buoni costumi. {{AutoreCitato|Omero|Omero}} dice: La lingua dimostra quel ch’è ascoso nel cuore.
 
Il quartodecimo vizio si è a fare scherno d’altrui. Salomone dice: Gli schernitori Iddio si gli schernisce, e a’ mansueti Iddio dà la grazia. Ancora: Agli schernitori sono apparecchiate le schernie, e alla testa de’ matti la mazza. {{AutoreCitato|Marco Porcio Catone|Cato}} dice: Non ti fare scherno di detto nè di fatto d’altrui, perchè tu non possi essere ripreso da altrui d’una simile cosa. Ancora dice: Sozza cosa è all’ammaestratore, quando una simile cosa riprende lui. E non fare schernie d’altrui, imperocchè nessuno non è senza vizio. {{AutoreCitato|Lucio Anneo Seneca|Seneca}} dice: Non fare schernie del tuo amico eziandio giucando, perchè l’amico s’adira piuttosto delle schernie, che un altro. Santo Leuterio dice: Gli schernitori son fatti come la scimia, che fa schernie d’altri, e altri fa schernie di lei.
 
Il quintodecimo vizio si è a favellare troppo scuro, come fanno gli motteggiatori. Salomone dice: Meglio è di stare muto, che dire le cose che non sieno intese. Sirac dice: Chi oscuramente favella, si vuole mostrare più savio ch’egli non è; e imperò dee guardare l’uomo le cagioni che ’l muove a favellare, e guardando sempre luogo e tempo. {{AutoreCitato|Platone|Plato}} dice: Quello ch’è detto senza cagione poco vale, ed è riputato pazzia.
 
Il sestodecimo vizio si è a non sapere disporre per ordine quello che l’uomo vuol dire o dee dire. E imperò si dee l’uomo ordinare in prima e disponere bene la sua persona, cioè che la sua faccia sia sempre diritta e gli suoi labbri niente si storcano; il guardo degli occhi non tenga sempre fermo contro a quegli con chi egli favella; non troppo chinato in terra, ma qualche temperamento di bella maniera, come si conviene alle parole ch’egli dice; non muova testa, nè spalle, nè mani, nè piedi, nè alcuna altra parte della persona, e guardi da sputare o forbirsi il naso quando favella. Poi dee l’uomo disponere la sua lingua quando favella, e non ponere tempo grande da una parola a un’altra, e non favellare troppo spesso, e non raddoppiare le parole favellando. Poi dè’ l’uomo bene disporre la sua voce, imperocchè le cose di grande affare altamente si denno proferire e non troppo gridare; e le picciole cose con più bassa voce si deono dire.
 
Il servigio e la misericordia con piena umiltà e umile voce si dee dimandare; il gastigamento con alcuno temperamento di gridare si dee fare; le novelle e le cose di diletto con piena voce e allegro volto si deono dire e contare; e sempre secondo la qualità delle parole si dee accordare la voce. E poi, alla fine, dè’ l’uomo ben disponere quello che e’ vuole dire. E l’ambasciate s’appartiene partire in sei parti: la prima si è a salutare a chi è mandata l’ambasciata, da parte di coloro che la mandano; la seconda si è a raccomandare sè e li suoi compagni, e sia quasi a modo d’uno esordio; la terza si è di contare la sua ambasciata; la quarta si è pregarli e indurli per alcuna bella via a fare quello che nell’ambasciata si contiene; la quinta si è di adducere uno esemplo in simile fatto osservando; la sesta di concludere il suo detto allegando sufficienti ragioni per le quali ciò ch’egli domanda si possa ragionevolmente fare.
 
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