Il Favolello (1941): differenze tra le versioni

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| Nome e cognome dell'autore = Brunetto Latini
| Nome e cognome del curatore = Luigi Di Benedetto
| Titolo =Favolello
| Anno di pubblicazione = XIII secolo
| Lingua originale del testo =
| Nome e cognome del traduttore =
| Anno di traduzione =
| Progetto =duecento
| Argomento =poesie poemetti
| URL della versione cartacea a fronte = Indice:Poemetti allegorico-didattici del secolo XIII, 1941 – BEIC 1894103.djvu
}}
<poem>Forse lo spron ti move
che di scritte ti pruove
di far difensa e scudo;
ma se’ del tutto niudo,
{{R|5}}ché tua difensïone
somente di ragione,
e fàllati drittura:
ch’una propia natura
ha dritta benvoglienza,
{{R|10}}che riceve crescenza
d’amore ogni fïata;
e lunga dimorata
né paese lontano
di monte né di piano
{{R|15}}non mette oscuritate
in verace amistate.
Dunque pecca e disvia
chi bono amico obria,
ché ’ntra li buoni amici
{{R|20}}son li diritti ofici
volere e non volere
ciascuno, ed atenere,
quello che l’altro vuole
in fatto ed in parole.
{{R|25}}Questa amistà e certa;
ma de la sua coverta
va alcuno amantato
come rame indorato.
Così in molte guise
{{R|30}}son l’amistà divise,
perché la gente invizia
la verace amicizia:
ch’amico che maggiore
vuol essere a tutt’ore,
{{R|35}}parte come leone;
amor bassa e dispone,
perché in fin’ amanza
non cape maggioranza.
Dunque riceve inganno,
{{R|40}}non certo sanza danno,
l’amico, ciò mi pare,
ch’è di minore affare,
ch’ama veracemente
e serve lungiamente,
{{R|45}}donde si membra rado
quelli ch’è in alto grado.
Ben sono amici tali
che saettano istrali,
e dànno grande lode
{{R|50}}quando l’amico l’ode,
ma null’altro piacere
si può di loro avere.
Così fa l’ausignuolo:
serve del verso solo,
{{R|55}}ma già d’altro mistero
sai che non vale guero.
In amico m’abatto
che m’ama pur a patto
e serve buonamente,
{{R|60}}se vede apertamente
com’io riserva lui
d’altretanto o de plui.
Altretal ti redico
de lo ritroso amico,
{{R|65}}ched a la comincianza
mostra grande ’bondanza,
poi a poco a poco alenta,
tanto che aneenta,
e in detto ed in fatto
{{R|70}}già non aserva patto.
Così ho posto cura
ch’amico di ventura
come rota si gira,
ch’ello pur guarda e mira
{{R|75}}come Ventura corre:
e se mi vede porre
in glorïoso stato,
servemi di buon grato;
ma se cado in angosce,
{{R|80}}già non mi riconosce.
Così face l’augello
ch’al tempo dolce e bello
con noi gaio dimora
e canta ciascun’ ora;
{{R|85}}ma quando vie·la ghiaccia,
che non par che li piaccia,
da noi fugge e diparte.
Ond’io n’ho presa un’arte:
che, come la fornace
{{R|90}}prova l’oro verace,
e la nave lo mare,
così le cose amare
mostran veracemente
chi ama lealmente.
{{R|95}}Certo l’amico avaro,
come lo giocolaro,
mi loda grandemente
quando di me ben sente;
ma quando no·lli dono,
{{R|100}}portami laido sòno.
Questi davante m’unge,
ma di dietro mi punge,
e come l’ape in seno
mi dà mele e veleno.
{{R|105}}E l’amico di vetro
l’amor getta di dietro
per poco afendimento,
e pur per pensamento
si parte e rompe tutto
{{R|110}}come lo vetro rotto.
E l’amico di ferro
ma’ non dice «Diserro»
infin che può trappare;
ma el no vorria dare
{{R|115}}di molte erbe una cima:
natur’ è de la lima.
Ma l’amico di fatto
è teco a ogne patto,
e persona ed avere
{{R|120}}puo’ tutto tuo tenere,
ché nel bene e nel male
lo troverai leale:
e se fallir ti vede,
unque non se ne ride,
{{R|125}}ma te stesso riprende
e d’altrui ti difende:
se fai cosa valente,
la spande fra la gente
e ’l tuo pregio radoppia.
{{R|130}}Cotal è buona coppia:
ch’amico di parole
mi serve quando vole
e non ha fermamento
se non come lo vento.
{{R|135}}Or, che ch’i’ penso o dico,
a te mi torno, amico
{{Ac|Rustico Filippi|Rustico di Filippo}},
di cui faccio mi’ ceppo.
Se teco mi ragiono,
{{R|140}}non ti chero perdono,
ch’i’ non credo potere
a te mai dispiacere:
ché la gran conoscenza
che ’n te fa risedenza
{{R|145}}fermat’ a lunga usanza,
mi dona sicuranza
com’io ti possa dire
e per detto ferire.
E ciò che scritto mando
{{R|150}}è cagione e dimando
che ti piaccia dittare
e me scritto mandare
del tuo trovato adesso:
ché ’l buon Palamidesso
{{R|155}}mi dice, ed ho creduto,
che se’ ’n cima saluto;
ond’io me n’allegrai.
Qui ti saluto ormai:
e quel tuo di Latino
{{R|160}}tien’ per amico fino
a tutte le carrate
che voi oro pesate.</poem>
 
{{Raccolta|Poemetti allegorico-didattici del secolo XIII}}
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