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Le case del popolo 121

suno, nessuno si convince che, qui, il popolo nostro, vive di soldi e non vive di lire, che gitta la sua gioventù, la sua salute e la sua forza in fatiche compensate irrisoriamente, felice, anche, di trovarla, questa fatica; che, per istinto, poiché nessuno pensò a educarlo, preferisce spendere i suoi soldi più nel mangiare, che nell’aver una casa e delle vesti e che quando ha venti soldi, quindici, almeno, gli servono pel suo pranzo e il resto, pel resto! Ventisette lire il mese! Cinquantaquattro lire di anticipo! Un garante solido! Quale ironia insultante! Nelle case del popolo, all’Arenaccia, nel Quartiere Orientale non abitano, dunque, che gli operai eleganti, diciamo così, e tutta la piccola borghesia, piccoli impiegati, commessi, contabili, uscieri, scritturali e, persino, dei cancellieri di tribunale: non abitano che tutti coloro, il cui bilancio familiare fluttua da settantacinque lire a cento lire il mese, posizione già molto brillante, in questo nostro paese. Borghesia, borghesia minuta, modesta, innumerevole come le stelle del cielo e le arene del mare, borghesia lavoratrice, onesta, ma, come si vede, molto povera, per la sua condizione: borghesia, non altro che borghesia, nelle case del popolo, ma popolo,