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108 Il ventre di Napoli

Tutto si fa, nelle piazzette, nei vicoletti: tutti vendono il vendibile, erbe, frutta, carne, pesci, nel fango eterno della strada; e vi sono le antiche osterie, ancora, ove si vendono, le zuppe di pasta e fagioli, le fritture di cento cose fritte, dai panzarotti ai peperoni, le insalate di scapece, il soffritto, a porzioni di tre soldi, di due soldi, persino di un soldo. Come un tempo! Peggio di un tempo! A dieci passi dal Rettifilo, caldaie di patate, caldaie di polipi, caldaie di spighe bollite, caldaie di castagne, e il più acre odore, intorno, da queste cucine, dalle piccole fucine degli orefici e degli armaioli, dalle marmitte dei tintori! Pieno di colore? Già: ma orribile! Io rammento tre punti, fra gli altri. Una piccola regione chiamata Tentella: cioè, un intrico quasi verminoso di vicoletti e vicolucci, nerastri, ove mai la luce meridiana discende, ove mai il sole penetra, ove per terra la mota è accumulata da anni, ove le immondizie sono a grandi mucchi, in ogni angolo, ove tutto è oscuro e tutto è lubrico, ove, a un crocicchio, vi è una ostessa dai folti capelli neri, a un crocicchio, donde, in una penombra, si vede ancora il fondaco Tentella, una ostessa che vende ogni sorta di mangiare, in grandi piatti di rame