Leggenda eterna/Leggenda eterna/Diario: differenze tra le versioni

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====I.====
<poem>
Eccomi finalmente sola!... ancora
un altro giorno s’è compiuto; ancora
io per ore e per ore ho trascinato
il mio fantasma tra la gente; ho riso;
detto parole; carezzato i bimbi
altrui, con gesti lenti di persona
tranquilla; ho passeggiato pei sentieri,
ch’egli amava, con altri, e visto il velo
della sera cader sovra i lontani
monti, quei monti che con occhi accesi
di gioia, contemplò, la mano stretta
nella mia mano. Io feci anche presagi
sul tempo, sulle messi e la vicina
vendemmia e la raccolta, con sereno
accento di serena anima! Alfine
eccomi sola! Ancora un altro giorno.
Fino a quando, o Signore!
</poem>
 
<pages index="Aganoor - Leggenda eterna, Torino, Roux, 1903.djvu" from="58" to="68" fromsection="" tosection="" />
====II.====
<poem>
Oggi ho trovato,
in un vecchio scaffale, della vecchia
musica manoscritta; aveano i tarli
ricamato di strani fregi il foglio
duro e giallo, consunto un poco e un poco
accartocciato ai margini. Lo posi
sul leggìo; volli leggere. Le note
erano a tratti svanite, ed io, tutta
chinata innanzi, decifravo a grande
fatica. Ma dai primi accordi un’onda
di angoscia parve s’avventasse incontro
a me... Più forte io risentii la stretta
delle memorie, a me dicea l’antica
gavotta, solo due parole: -'' Mai
più; mai più. ''- Solo quelle due parole
dicean le note... Chiusi il foglio; gli occhi
più non vedeano...
In un lontano giorno,
chi sa? qualcuno aprì questa ingiallita
carta, sovra il leggìo d’una dipinta
spinetta, tutto intorno istoriata
a pastorelle inghirlandate, in rosea
veste, su prati in fiore, in riva a laghi
cilestrini... Chi sa? Rideva il sole
quel giorno sulla terra ed era forse
una fanciulla, gli occhi ed il pensiero
tutti pieni di luce, assisa innanzi
al cembalo... Le note altre parole
certo dissero a lei, certo cantarono
alla sua giovinezza ebbra una dolce
lusinga, un inno, una promessa sola
ma smisurata e perfida: - ''Domani!'' -
</poem>
 
====III.====
<poem>
''Domani!'' - Che avverrà domani? Quale
miracolo potrebbe una speranza
risuscitare? Potrà mai la terra
fendersi e scoperchiarsi un’inchiodata
bara, e di nuovo accendersi due spenti
occhi, e una bocca suggellata ancora
aprirsi alle parole? Quelle rigide
mani, potrannno mai come una volta
le mie stringere ancora? Ecco, domani
io questo penserò, come oggi e ieri
e sempre. Così i giorni, i mesi e gli anni
passeranno, e dovrò, placida in volto,
attendere ai doveri, ai modi, agli usi
della vita; sorridere ai cortesi
motti, pensare alle mie vesti, e dire
parole... Sono tutte eguali ormai
l’ore per me, solo la notte è forse
più tormentosa. Io penso i riposanti
profondi sonni dell’infanzia, i lunghi
obblii di quelli abbandonati sonni.
</poem>
 
====IV.====
<poem>
Piove. Certo laggiù, povero morto,
è freddo e buio, ma più freddo e buio
è qui, qui sulla terra, ove le foglie
son tutte gialle, e van col vento, e cadono,
cadono, e il cielo copre una gramaglia
fredda. È quassù l’algore, in questo immenso
deserto, dove sola una smarrita
anima va, senza più meta, incontro
a un’infinita tenebra, sbattuta
dalla tempesta che non posa, in questo
inverno di dolore.
</poem>
 
====V.====
<poem>
Eccole, sono
qui tutte le sue lettere! rivive
qui la sua man nervosa e scrive in fretta
qui sopra il nome mio, chiude, suggella...
Non fu ieri? Son tutte entro la bianca
copertina. Con quale ansia le apersi
in quei giorni lontani, e con qual gioia!
Ecco, a questa la stecca impaziente
lacerò un canto. Per tre lunghi giorni
l’attesi ogni ora, e, nella notte, i sogni
eran pieni di lei: giungeva ed era
diretta ad altri; o protendea la mano
a ghermirla e vedea come in vapore
svanire il foglio...
Alfine giunse! Alcuni
amici conversavano e rideano
con me; ricordo che tranquilla in vista
la presi, la posai, volsi la spalle
alla luce, e più attenta anche mi finsi
alle parole che non più la mente
comprendea. Dentro, un palpito che tutta
mi scoteva; nessun vide le labbra
tremarmi? Certo io le costrinsi a un riso
fine e pacato... Dopo... Oh finalmente
sola, strappai la carta!
Ormai finito
è tutto, tutto è vano; e quasi adesso
esito a trarne il foglio.
Eccolo! steso
dinanzi a me, ma gli occhi una parola
soltanto posson leggere; una nebbia
vela subito gli occhi... È la parola
dolce e crudele come la memoria
d’una carezza che più mai due morte
mani potranno ridonarci: - ''Cara! ''-
</poem>
 
====VI.====
<poem>
E tornerà la primavera! I vesperi
sereni dell’Aprile torneranno
ancora; tornerà l’aria impregnata
d’odore, e in alto, in un clamor di gioia
passeranno le rondini.
</poem>
 
====VII.====
<poem>
Leggiamo!
E tutti i nostri torbidi pensieri
siano travolti come dentro un gorgo
dagli altrui. Qualche eccelsa anima prenda
la nostra come in pugno e la costringa
ad ascoltare la sua voce. Il libro
intonso, invita. Forse una parola
chiude consolatrice? Apriamo a caso.
Ecco: - "Quello che fu pei nostri ingenui
precursori l’assidua ricerca
dell’ideale e della verità
e della gloria, le correnti indocili
del secol nostro han fatto ora un’industria
patentata: l’industria del balocco
verbale". -
Vero e triste! Ma che importa
a me, che importa dell’arte, del vero
della parola? Unico e tremendo
vero questa continua tortura
dei ricordi. Potrò mai per un attimo
dimenticare? potrò mai le nuvole
bianche, come ali bianche, e il sole e i fiori
e i prati e il mare, come un tempo, ancora
guardar serena, senza udir l’amara
domanda dentro: - "Perchè adesso ride
la terra? Perchè tutto è ancora in festa?
che vale ormai!..."
</poem>