Pagina:Zibaldone di pensieri III.djvu/226: differenze tra le versioni

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<section begin="1" /><!--{{ZbPagina|1525}}-->come trastullo, ma come impresa di gran momento e dov’egli trattò le materie piú gravi della filosia e teologia, sí dall’opera tutta filosofica, teologica e insomma dottrinale e gravissima del ''{{TestoCitato|Convivio|Convito}}'', simile agli antichi dialoghi scientifici ec. (vedilo), sí finalmente dalle opinioni ch’egli manifesta nel ''{{TestoCitato|De la vωlgare εlωquεnzia|Volgare Eloquio}}''. Ond’é che {{AutoreCitato|Dante Alighieri|Dante}} fu propriamente, com’é stato sempre considerato, e per intenzione e per effetto, il fondatore della lingua italiana. <section end="1" /><section begin="2" />{{ZbPagina|1526}} Ma gli altri due non iscrissero italiano che per passatempo, e tanto è lungi che volessero applicarlo alla letteratura, che anzi non iscrivevano quelle materie in quella lingua, se non perché le credevano indegne della lingua letterata, cioè latina, in cui scrivevano tutto ciò con cui miravano a farsi nome di letterati, e ad accrescer la letteratura; siccome giudicavano (ancor dopo {{AutoreCitato|Dante Alighieri|Dante}}, ed espressamente contro il parere e l’esempio suo, specialmente il {{AutoreCitato|Francesco Petrarca|Petrarca}} ) che la lingua italiana fosse indegna e incapace delle materie gravi e della letteratura; sicché non pur non vollero applicarvela, ma non credettero di potere, né che veruno potesse mai farlo. Opinione che durò fin dopo la metà del Cinquecento circa il poema eroico, del quale pochi anni dopo la morte dell’{{AutoreCitato|Ludovico Ariosto|Ariosto}}, e pochi prima che uscisse la ''Gerusalemme'', si credeva in Italia che la lingua italiana non fosse capace; onde il {{AutoreCitato|Annibale Caro|Caro}} prese a tradurre l’{{TestoCitato|Eneide}} ec. (Vedi il terzo tomo delle sue lettere, se non fallo). Ed è notissima l’opinione che portava il {{AutoreCitato|Francesco Petrarca|Petrarca}} del suo ''Canzoniere;'' ed egli lo scrisse <section end="2" /><section begin="3" />{{ZbPagina|1527}} in italiano, come anche il {{AutoreCitato|Giovanni Boccaccio|Boccaccio}} le sue novelle e romanzi, per divertimento delle brigate, come ora si scriverebbe in un dialetto vernacolo, e per li cavalieri e dame e genti di mondo, che non si credevano capaci di letteratura ec. ec. Ed è pur noto come nel cinquecento si scrissero poemi sudatissimi in latino e storie ec. (19 agosto 1821).
<section begin="1" /><!--{{ZbPagina|1525}}-->come trastullo, ma come impresa di gran momento e dov’egli trattò le materie piú gravi della filosofia e teologia, sí dall’opera tutta filosofica, teologica e insomma dottrinale e gravissima del ''{{TestoCitato|Convivio|Convito}}'', simile agli antichi dialoghi scientifici ec. (vedilo), sí finalmente dalle opinioni ch’egli manifesta nel ''{{TestoCitato|De la vωlgare εlωquεnzia|Volgare Eloquio}}''. Ond’é che {{AutoreCitato|Dante Alighieri|Dante}} fu propriamente, com’é stato sempre considerato, e per intenzione e per effetto, il fondatore della lingua italiana. <section end="1" /><section begin="2" />{{ZbPagina|1526}} Ma gli altri due non iscrissero italiano che per passatempo, e tanto è lungi che volessero applicarlo alla letteratura, che anzi non iscrivevano quelle materie in quella lingua, se non perché le credevano indegne della lingua letterata, cioè latina, in cui scrivevano tutto ciò con cui miravano a farsi nome di letterati, e ad accrescer la letteratura; siccome giudicavano (ancor dopo {{AutoreCitato|Dante Alighieri|Dante}}, ed espressamente contro il parere e l’esempio suo, specialmente il {{AutoreCitato|Francesco Petrarca|Petrarca}} ) che la lingua italiana fosse indegna e incapace delle materie gravi e della letteratura; sicché non pur non vollero applicarvela, ma non credettero di potere, né che veruno potesse mai farlo. Opinione che durò fin dopo la metà del Cinquecento circa il poema eroico, del quale pochi anni dopo la morte dell’{{AutoreCitato|Ludovico Ariosto|Ariosto}}, e pochi prima che uscisse la ''Gerusalemme'', si credeva in Italia che la lingua italiana non fosse capace; onde il {{AutoreCitato|Annibale Caro|Caro}} prese a tradurre l’{{TestoCitato|Eneide}} ec. (Vedi il terzo tomo delle sue lettere, se non fallo). Ed è notissima l’opinione che portava il {{AutoreCitato|Francesco Petrarca|Petrarca}} del suo ''Canzoniere;'' ed egli lo scrisse <section end="2" /><section begin="3" />{{ZbPagina|1527}} in italiano, come anche il {{AutoreCitato|Giovanni Boccaccio|Boccaccio}} le sue novelle e romanzi, per divertimento delle brigate, come ora si scriverebbe in un dialetto vernacolo, e per li cavalieri e dame e genti di mondo, che non si credevano capaci di letteratura ec. ec. Ed è pur noto come nel cinquecento si scrissero poemi sudatissimi in latino e storie ec. (19 agosto 1821).