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e disse: «Non consta per tutti: Pasquale e Nicola a libertá». «E come lo sai?» «Ho aspettato sino a l’ultimo, ho visto uscire primo il presidente, ed ho domandato proprio a lui. ‘Eh, eh, statevi allegri, è riuscita {{Spaziato|a brenna}} per tutti’». Indi a poco venne mia moglie tutta trafelata per correre, che aveva aspettato lungo tempo in casa, ed aveva saputa la notizia. Piú tardi venne anche l’ispettore che ci confermò ufficialmente la notizia, e si rallegrò con noi. Ma noi eravamo cosí caldi della difesa e persuasi della forza delle nostre ragioni, che rispondemmo ali’ispettore signor Raffaele Orsini che non c’era da rallegrarsi con noi, che la commissione avrebbe dovuto profferire il {{Spaziato|consta che non}} e darci diritto di recrimine contro i nostri calunniatori. E l’ispettore che teneva sempre sgangherata la bocca al riso anche quando dava le busse ai carcerati, ci rispose senza fare atto di ridere: «Contentatevi, signori, contentatevi. Sappiate che c’era ordine, se foste stati condannati, di farvi partire oggi stesso pel bagno: come c’è ordine che oggi stesso don Pasqualino esca libero, e che voi quattro passiate al civile nel carcere dei nobili, stanza numero cinque, a disposizione di S. E. il ministro di polizia». Cosí fu fatto: Pasquale uscí, noi entrammo fra gli altri carcerati nella stanza al numero cinque, e ridotti alla condizione comune non ci fu piú permesso di vedere i nostri parenti nella stanza dell’ispettore, ma all’udienza che era un pandemonio, e mia moglie non ci venne mai.
e disse: «Non consta per tutti: Pasquale e Nicola a libertá». «E come lo sai?» «Ho aspettato sino a l’ultimo, ho visto uscire primo il presidente, ed ho domandato proprio a lui. ‘Eh, eh, statevi allegri, è riuscita {{Spaziato|a brenna}} per tutti’». Indi a poco venne mia moglie tutta trafelata per correre, ché aveva aspettato lungo tempo in casa, ed aveva saputa la notizia. Piú tardi venne anche l’ispettore che ci confermò ufficialmente la notizia, e si rallegrò con noi. Ma noi eravamo cosí caldi della difesa e persuasi della forza delle nostre ragioni, che rispondemmo ali’ispettore signor Raffaele Orsini che non c’era da rallegrarsi con noi, che la commissione avrebbe dovuto profferire il {{Spaziato|consta che non}} e darci diritto di recrimine contro i nostri calunniatori. E l’ispettore che teneva sempre sgangherata la bocca al riso anche quando dava le busse ai carcerati, ci rispose senza fare atto di ridere: «Contentatevi, signori, contentatevi. Sappiate che c’era ordine, se foste stati condannati, di farvi partire oggi stesso pel bagno: come c’è ordine che oggi stesso don Pasqualino esca libero, e che voi quattro passiate al civile nel carcere dei nobili, stanza numero cinque, a disposizione di S. E. il ministro di polizia». Cosí fu fatto: Pasquale uscí, noi entrammo fra gli altri carcerati nella stanza al numero cinque, e ridotti alla condizione comune non ci fu piú permesso di vedere i nostri parenti nella stanza dell’ispettore, ma all’{{spaziato|udienza}} che era un pandemonio, e mia moglie non ci venne mai.


Fu una pazzia quella di sfidare la polizia, ma senza quella pazzia noi saremmo andati in galera. Il ministro Delcarretto teneva certa la nostra condanna, perché i processi politici erano fatti tutti come il nostro, e spesso ci metteva le mani egli stesso, e tutti i processati erano condannati, e nessuno aveva avuto l’ardire che avemmo noi: che l’ardire e l’ingegno ci salvò come salva quasi in tutti i pericoli. Come dunque seppe che noi fummo assoluti entrò in grande furore e disse proprio queste parole: «Non mi resta che invitarli a pranzo quei signori». E in quel furore corse dal re, ed esposta la cosa a modo suo propose di rifarsi la causa da altri {{Pt|giu-|}}
Fu una pazzia quella di sfidare la polizia, ma senza quella pazzia noi saremmo andati in galera. Il ministro Delcarretto teneva certa la nostra condanna, perché i processi politici erano fatti tutti come il nostro, e spesso ci metteva le mani egli stesso, e tutti i processati erano condannati, e nessuno aveva avuto l’ardire che avemmo noi: ché l’ardire e l’ingegno ci salvò come salva quasi in tutti i pericoli. Come dunque seppe che noi fummo assoluti entrò in grande furore e disse proprio queste parole: «Non mi resta che invitarli a pranzo quei signori». E in quel furore corse dal re, ed esposta la cosa a modo suo propose di rifarsi la causa da altri {{Pt|giu-|}}