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rimangono i soli due superiori, ché il terzo più basso, essendo colmato il fosso che ricingeva tutto l’edifizio, è rimasto chiuso e sotterra, e sono oscure ed enormi caverne che io vidi a lume de’ torchi. Vi era ancora un gran numero di criminali, bui, umidi, senz’aria, veri sepolcri; e di questi i piú tetri furono murati, i rimasti si chiamano {{Spaziato|approvati}}. Le finestre erano alte dal pavimento e strette come feritoie: ora sono dilargate e bassate. Il {{AutoreCitato|Carlo Celano|Celano}} ci ha lasciato scritto che ai suoi tempi in questo carcere, che allora aveva tre piani, erano tormentate ben quattromila creature umane: nel 1841 non potevano starci millecinquecento. Tanta parte ne era stata abolita, e quella che rimaneva era crudele e nefanda.


Il carcere superiore chiamasi de’ nobili, l’inferiore del popolo: e vi si entra per due porte diverse, sopra una delle quali è dipinto un Cristo che con la croce addosso sale il Calvario, e sopra l’altro un altro Cristo nell’atto d’essere inchiodato su la croce, due pitture fatte con l’intenzione di dare conforto e speranza a chi entra. Noi entrammo nel carcere del popolo, ma rimanemmo nel piano superiore in un luogo appartato detto {{Spaziato|provvisorio}}, che è uno stretto corridoio nel quale sono cinque criminali che si chiamano le {{spaziato|Camerelle, Marco Perrone, la Lampa, lo Sperone, l’Asprinio}}, che e il piú freddo: tre altri erano murati e serbavano ancora i loro nomi, {{Spaziato|il Gallinaccio, la Monacella, le Farfarelle}}. In questo luogo, che allora fu sgombrato e preparato a posta per noi, si soleva mettere i nuovi arrestati in esperimento per farli confessare mediante paure e tormenti, ed ancora i forzati che per delitti commessi in galera venivano ad essere giudicati in Napoli. E di questi forzati vi erano tradizioni di sangue in ogni criminale: qui furono uccisi due dai compagni; qui fu pugnalato un altro; dallo {{Spaziato|Sperone}} fuggirono dodici che bucarono la volta coi coltelli e riuscirono in una sala superiore; qui stette un anno Marco Perrone, prete, bandito, e poi impiccato, e v’ha lasciato il suo nome. Noi dunque fummo chiusi in quei criminali, ed a me toccò l’{{Spaziato|Asprinio}}. Luce fioca, aria grave, puzzo stomachevole e continuo,
colmato il fosso che ricingeva tutto l’edifizio, e rimasto chiuso e sotterra, e sono oscure ed enormi caverne che io vidi a lume de’ torchi. Vi era ancora un gran numero di criminali, bui, umidi, senz’aria, veri sepolcri; e di questi i piú tetri furono murati, i rimasti si chiamano {{Spaziato|approvati}}. Le finestre erano alte dal pavimento e strette come feritoie: ora sono dilargate e bassate. Il Celano ci ha lasciato scritto che ai suoi tempi in questo carcere, che allora aveva tre piani, erano tormentate ben quattromila creature umane: nel 1841 non potevano starci millecinquecento. Tanta parte ne era stata abolita, e quella che rimaneva era crudele e nefanda.

Il carcere superiore chiamasi de’ nobili, l’inferiore dei popolo: e vi si entra per due porte diverse, sopra una delle quali è dipinto un Cristo che con la croce addosso sale il Calvario, e sopra l’altro un altro Cristo nell’atto d’essere inchiodato su la croce, due pitture fatte con l’intenzione di dare conforto e speranza a chi entra. Noi entrammo nel carcere dei popolo, ma rimanemmo nel piano superiore in un luogo appartato detto {{Spaziato|provvisorio}}, che è uno stretto corridoio nel quale sono cinque criminali che si chiamano le {{spaziato|Camerelle, Marco Perrone, la Lampa, lo Sperone, l’Asprinio}}, che e il piú freddo: tre altri erano murati e serbavano ancora i loro nomi, {{Spaziato|il Gallinaccio, la Monacella, le Farfarelle}}. In questo luogo, che allora fu sgombrato e preparato a posta per noi, si soleva mettere i nuovi arrestati in esperimento per farli confessare mediante paure e tormenti, ed ancora i forzati che per delitti commessi in galera venivano ad essere giudicati in Napoli. E di questi forzati vi erano tradizioni di sangue in ogni criminale: qui furono uccisi due dai compagni; qui fu pugnalato un altro; dallo {{Spaziato|Sperone}} fuggirono dodici che bucarono la volta coi coltelli e riuscirono in una sala superiore; qui stette un anno Marco Perrone, prete, bandito, e poi impiccato, e v’ha lasciato il suo nome. Noi dunque fummo chiusi in quei criminali, ed a me toccò l’{{Spaziato|Asprinio}}. Luce fioca, aria grave, puzzo stomachevole e continuo,