Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1915, XX.djvu/234: differenze tra le versioni

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stenta a tenerle dietro, massime non vi avendo altro segno che i nomi alla margine: rappresentandosi poi dee acquistare un non so che di anima e vita, che la renda del tutto cara e piacevole; ma grand’arte e abilità aver deono i comici a ridurre i gesti, la voce, gli accenti, tutto se, a quella semplicità e natura come si ha veramente a un giuoco di società, a una tavola di amici. Il carattere poi della Francese, introdotta in questa commedia con tanta sagacità, e la scena di lei con ''Momolo'', ove sfido chi valesse a non ridere, è cosa pur bella assai, e inimitabile: in somma si vede sempre il pittor del vero» (''Della vita di C. G. e delle sue commedie'', Milano, 1826, pp. 161-2). Nel 1860 Ignazio Ciampi osservava: «Non è in questa commedia lungo lamento che ricordi le querele dei moderni poeti. Egli è un semplice e commovente commiato dai cari veneziani». E riferiva, rifatto in lingua italiana, «l’ultimo discorso d’Anzoletto, che mostra l’anima del poeta, e ch’io traduco a malincuore dal dialetto veneziano, donde traspare limpida l’interna commozione» (''Vita artistica di G.'', Roma, 1860, pp. 134-5). Non c’è in fatti recente biografo che si dimentichi di citare quell’appassionato saluto. Scorge il Masi una «grande effusione» nella presente commedia (''Lettere di C. G.'', Bologna, 1880, p. 56). Al Malamani tutta l’opera sembra un «miracolo di dialogo, che le Compagnie Veneziane riproducono, ma ridotta, mostrificata» (''Nuovi appunti e curiosità gold.'', Venezia, 1887, p. 59). Vernon Lee dice: «Era uno di quei quadri semplici e graziosi della vita del mercante di Venezia, ch’erano i capolavori di Goldoni» (''Il settecento in Italia'', ed. ital., Milano, 1882, II, p. 285). Tutto Concari la chiama «uno dei soliti profili veneziani pieno di vivacità e di movimento, nella melodia carezzevole del nativo dialetto» (''Il Settecento'', Milano, 1900, p. 122). E, di recente. G. B. Pellizzaro: «Nella blanda dolcezza del dialetto è un quadro colorito e animato» (''La vita e le opere di C. G.'', Livorno, 1914, p. 54). Piacque al Landau (''Geschichte der ital. Litt. im XVIII Jahrhudert'', Berlin, 1899, p. 416; v. inoltre ''Allgemeine Zeitung'', Monaco, 1896, n. 52-53); il Sauer, parlando del Goldoni, la proclamò «il suo capolavoro» (''Geschichte der ital. Litteratur'', Lipsia, p. 440). Gonfiò pure la lode Arturo Graf: «Leggete ''Una delle ult. sere di carn''. La favola non è nulla; ma io non so se si possano vedere sulla scena creature più vive di quelle; e il dialogo è cosa che sa di miracolo» (numero unico Teatro Manzoni 1907, p. 35).
stenta a tenerle dietro, massime non vi avendo altro segno che i nomi alla margine: rappresentandosi poi dee acquistare un non so che di anima e vita, che la renda del tutto cara e piacevole; ma grand’arte e abilità aver deono i comici a ridurre i gesti, la voce, gli accenti, tutto se, a quella semplicità e natura come si ha veramente a un giuoco di società, a una tavola di amici. Il carattere poi della Francese, introdotta in questa commedia con tanta sagacità, e la scena di lei con ''Momolo'', ove sfido chi valesse a non ridere, è cosa pur bella assai, e inimitabile: in somma si vede sempre il pittor del vero» (''Della vita di C. G. e delle sue commedie'', Milano, 1826, pp. 161-2). Nel 1860 Ignazio Ciampi osservava: «Non è in questa commedia lungo lamento che ricordi le querele dei moderni poeti. Egli è un semplice e commovente commiato dai cari veneziani». E riferiva, rifatto in lingua italiana, «l’ultimo discorso d’Anzoletto, che mostra l’anima del poeta, e ch’io traduco a malincuore dal dialetto veneziano, donde traspare limpida l’interna commozione» (''Vita artistica di G.'', Roma, 1860, pp. 134-5). Non c’è in fatti recente biografo che si dimentichi di citare quell’appassionato saluto. Scorge il Masi una «grande effusione» nella presente commedia (''Lettere di C. G.'', Bologna, 1880, p. 56). Al Malamani tutta l’opera sembra un «miracolo di dialogo, che le Compagnie Veneziane riproducono, ma ridotta, mostrificata» (''Nuovi appunti e curiosità gold.'', Venezia, 1887, p. 59). Vernon Lee dice: «Era uno di quei quadri semplici e graziosi della vita del mercante di Venezia, ch’erano i capolavori di Goldoni» (''Il settecento in Italia'', ed. ital., Milano, 1882, II, p. 285). Tutto Concari la chiama «uno dei soliti profili veneziani pieno di vivacità e di movimento, nella melodia carezzevole del nativo dialetto» (''Il Settecento'', Milano, 1900, p. 122). E, di recente. G. B. Pellizzaro: «Nella blanda dolcezza del dialetto è un quadro colorito e animato» (''La vita e le opere di C. G.'', Livorno, 1914, p. 54). Piacque al Landau (''Geschichte der ital. Litt. im XVIII Jahrhudert'', Berlin, 1899, p. 416; v. inoltre ''Allgemeine Zeitung'', Monaco, 1896, n. 52-53); il Sauer, parlando del Goldoni, la proclamò «il suo capolavoro» (''Geschichte der ital. Litteratur'', Lipsia, p. 440). Gonfiò pure la lode Arturo Graf: «Leggete ''Una delle ult. sere di carn''. La favola non è nulla; ma io non so se si possano vedere sulla scena creature più vive di quelle; e il dialogo è cosa che sa di miracolo» (numero unico Teatro Manzoni 1907, p. 35).


Domenico Oliva la pose accanto ai ''Rusteghi'', alle ''Baruffe'', al ''Campiello'', alle ''Donne gelose'', fra i capolavori goldoniani che superano non tanto il tempo in cui furono scritti, «quanto il nostro» (''C. G.'', in ''Giorn. d’Italia'' 24 febbr. 1907). «La commedia» scriveva nel 1907, dopo una recita del Benini nel teatro Quirino di Roma, «oltre alla sua rilevanza storica e biografica, per la quale è carissima a tutti gli studiosi..., è fra le più ardite, fra le più moderne: anzi pare alle volte sia troppo avanzata e accenna a un teatro ch’è ancora oggi, 1 gennaio 1907, il teatro dell’avvenire. Ma il pubblico iersera ne intese tutta la bellezza e intellettualmente si divertì e rise e sorrise e applaudì sempre. E gli applausi furono più vivaci e calorosi quando alla fine cadde la tela, e mentre gli attori danzavano il minuetto accompagnati dalla divina melodia del Boccherini». E lodava la interpretazione del Benini «mirabile come sempre», e tutti gli altri attori, fra cui la Beninì Sambo «inarrivabile nella parte deliziosamente comica
Domenico Oliva la pose accanto ai ''Rusteghi'', alle ''Baruffe'', al ''Campiello'', alle ''Donne gelose'', fra i capolavori goldoniani che superano non tanto il tempo in cui furono scritti, «quanto il nostro» (''C. G.'', in ''Giorn. d’Italia'' 24 febbr. 1907). «La commedia» scriveva nel 1907, dopo una recita del Benini nel teatro Quirino di Roma, «oltre alla sua rilevanza storica e biografica, per la quale è carissima a tutti gli studiosi..., è fra le più ardite, fra le più moderne: anzi pare alle volte sia troppo avanzata e accenna a un teatro ch’è ancora oggi, 1 gennaio 1907, il teatro dell’avvenire. Ma il pubblico iersera ne intese tutta la bellezza e intellettualmente si divertì e rise e sorrise e applaudì sempre. E gli applausi furono più vivaci e calorosi quando alla fine cadde la tela, e mentre gli attori danzavano il minuetto accompagnati dalla divina melodia del Boccherini». E lodava la interpretazione del Benini «mirabile come sempre», e tutti gli altri attori, fra cui la Benini Sambo «inarrivabile nella parte deliziosamente comica