Guida per la città di Firenze e suoi contorni/Prefazione: differenze tra le versioni

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Prefazione

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Prefazione


Vario fu l’opinar dei dotti circa l'origine di Firenze. Chi pretese ravvisar in essa una delle più vetuste città dell Etruria; chi dai macigni di Fiesole fé’ discenderne gli edificatori; e chi di Siila sotto la tirannide fe’ muover da Roma una colonia ad abitarla.

Tali, o simili, per lo più sono le erudite disposizioni, di che s’intessono i preamboli, o prefazioni solite porsi in fronte ai libri della stessa natura di questo. Noi pero sdegnando di ricalcar le altrui orme, rilasceremo agli antiquarii sì fatte materie scegliendone delle più analoghe ad un libro, che specialmente ha rapporto alle belle Arti. Un cenno, o piuttosto uno storico prospetto del risorgimento di quelle in Toscana è il soggetto che da noi a preferenza di ogni altro si scelse.

Se cantando dell’Italia un moderno altissimo ingegno chiamò gli abitatori di quella

D’ogni alta cosa insegnatori altrui,


con quanta maggior ragione non si potrebbe ciò ripetere parlando in special modo della


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[p. II modifica]Toscana, avuto riguardo alle tre arti sorelle delle quali si reputo sempre l’avventurata restauratrice.

Difatti incominciando dalla Pittura, chi è che ignori avere il Fiorentino Cimabue ridonato a quella la vita, rimasta essendo per tanti secoli pressoché del tutto estinta, dopo la desolatrice invasione dei barbari settentrionali? Sebbene una tal gloria si sia tentato d’involare a Firenze da due toscane città Siena e Pisa; delle quali la prima oppone per autorità di tempo e di merito al Fiorentino artista il suo Guido, l’altra il suo Giudo. Comunque ciò sia egli è indubitato per altro che niun altra città d’Italia in quel tempo può contraporre alla nostra pittor di Giotto più eccellente. Ei fu che al dire dell’Alighieri ecclissò di Cimabue la gloria che pervenne secondo il Boccaccio ad ingannare la facoltà visiva degli uomini; che la dirizzò e condusse tant’oltre da lasciarsi dietro ad immensa distanza tutti quei che il precedettero.

Al genio però di Masaccio era riserbato il dare all’arte il più significante incremento. I di lui dipinti a fresco della Cappella brancacci nel Carmine sono veri esemplari, donde appresero a farsi immortali i primi italici pennelli, e che meritarongli dal Caro l'encomio di que’ noti versi. [p. III modifica]     Pinsi, e la mia pittura al ver fu pari;
     L’atteggiai, l’avvivai, le diedi il moto:
     Le diedi affetto: insegni il Buonarroto
     A tutti gli altri, e da me solo impari.


Come a Masaccio della naturai dipintura, al Leonardo da Vinci siam debitori della grandiosa e sublime. Questo sovrumano ingegno guidandola all’apice del suo splendore fu norma unitamente a Michel'Angiolo, al Ghirlandaio a Fra Bartolommeo e ad Andrea Luminari della fiorentina scuola la quale se non ottenne il primo vanto nel colorito conseguì quello per altro della correzione del disegno e della composizione.

La scultura presso i Greci che tanto sentirono il vero bello della natura era giunta al più alto grado di perfezione talché in oggi il chiamar greca una statua è lo stesso che annunziarne quasi l’eccellenza. La scultura io dicea era caduta pur essa in tale avvilimento ed oscurità che non vi voleva meno di un genio straordinario qual fu Niccola Pisano per ritornarla alla luce.

Il suo bassorilievo della cattedrale d’Orvieto in cui con viva ed ardita fantasia il regno espresse della perduta gente e l’urna di S. Domenico in Bologna ne sono la prova più luminosa. Ma nè ad esso nè a Giovanni suo figlio nè ad Andrea Pisano, nè

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, [p. IV modifica]ad Agostino ed Agnolo Sanesi, nè a Niccola Aretino, nè a molti altri di quel tempo fu dato il produr qualche cosa che degna fosse di stare in qualche modo a confronto coi parti del greco scalpello. Il solo Donatello potè cotanto. Ei fu quegli e le cui opere ( giusta il parere del Vasari) ebber tanta grazia, disegno, e bontà che esse furono tenute più simili alle eccellenti opere degli antichi maestri, che quelle di qualunque altro fosser giammai. La Giuditta che adorna la Loggia dell Orcagna , e il S. Giorgio di Orsanmichele formano di lui l'elogio il piu bello. Levaronsi in fama non volgare, un Filarete, un Bertoldo, un Benedetto da Maiano, un Baccio da Montelupo, un Desiderio da Settignano, un Luca della Robbia , Michelozzo, Andrea Verrocchio la maggior parte allievi di Donatello , e superò di tutti l'eccellenza Lorenzo Ghiberti l'insigne gettatore delle Porte di S. Giovanni , monumento unico nel suo genere . Sorse quindi il primo luminare di questa città Michel' Angiolo che lo scoraggiamento fu di chi gli successe, e di chi attentossi d’imitarlo. Ad onta di pochi leggeri nei che dai meschini intelletti se gli sogliono attribuire; ad onta delle osservazioni di qualche moderno paradossista, egli è pur quel Michel' Angiolo che il nome meritossi di Divino, e di Dante della scultura.

Il Cellini dopo di lui meritò i primi [p. V modifica]onori nella scultura, e fiorirono contemporaneamente in Firenze, Baccio Bandinelli, Vincenzio Danti, e molti altri di pregio non volgare nell’arte anzidetta.

Anche l'Architettura a rifiorir tornò per opera dei Toscani. Nei secoli della barbarie era talmente decaduta, che al dir del mentovato Vasari: Facevasi allora fabbriche senz’ordine con stranissime invenzioni, con disgraziatissima grazia, e con peggiore ornamento.

Sorsero fra di noi pertanto Arnolfo di Lapo nativo di Colle di Val d’Elsa architetto del tempio di S. Croce, della Metropolitana e del Palazzo della Signoria, Fra Giovanni da Campi, Fra Sisto, Fra Ristoro Domenicano Giotto, Michelozzo, e V Orcagna il quale sdegnoso di seguire la traccia de’ suoi predecessori e sostituendo l’arco semicircolare a quello di sest’acuto costruì la magnifica loggia volgarmente detta dei Lanzi, che luminosamente attesta questa felice sua innovazione e in un la sua gloria. Ma nè V Or cagna nè gli altri tolsero a fatto la gotica maniera. Molto era lontana dalla perfezione, finché non giunse il Brunellesco che a passi di gigante valorosamente ve la condusse.

La lunga sua dimora in Roma, e gli studi che ei fece su quel classico suolo de’ resti più preziosi dell’antichità lo misero in istato di far rivivere nella sua patria, [p. VI modifica]tornato ch'ei vi fu, le meraviglie di Roma stessa, e d’Atene. Vuolsi un esempio di quanto in simil genere ardir possa umana niente? Si sollevi lo sguardo alla sua cupola , e basta. Cercasi un modello di architettonica semplicità ed eleganza? La chiesa di S. Spirito uno ne offre dei più cospicui.

Contemporaneo ed allievo del Brunellesco fu Leon Batista Alberti, quell’uomo grande cui per avere scritto precetti teorici d’architettura, e quelli avvalorati con la pratica fu dalla posterità concesso il nome di moderno Vitruvio. Le tante di lui sontuose fabbriche in patria, in Roma, in Padova e sopratutto la chiesa di S. Francesco in Rimini mostrano che ne era ben degno.

Bruneilesco, e l' Alberti prepararono l'aureo secolo dell'Architettura moderna, il secondo cioè di Bramante, di Raffaello, di [[W|Q5592|Michelangiolo}}, di Palladio, di Pignola e di quanti altri fiorirono nel XVI secolo. Sopra d’ogni altro però robusto e generoso com aquila spiegò il Buonarroti il volo, che come nelle altre due, riescì anche in quest’arte eccellente. Dopo di esso ai tempi del cavaliere [[W|Q160538|Bernino}}, originario pur di Toscana, ed a quello specialmente del Borromino l'architettura cadde nella depravazione,e vi rimase fino alla metà, dello scorso secolo, epoca in cui l'egregio Paoletti, e qualche altro suo contemporaneo la ricondussero al buono stile.