Pagina:Settembrini, Luigi – Ricordanze della mia vita, Vol. II, 1934 – BEIC 1926650.djvu/44: differenze tra le versioni

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che legatolo su di un asino, e messogli sul berretto un cartello dove era scritto: «{{Spaziato|il famoso Moscariello}}», lo menarono prigione in Cosenza. Quando egli una sera narrandomi questi fatti, mi mostrava le sconce cicatrici ed il braccio inutile, desiderava vendetta del feritore che è anche nell’ergastolo, e parlando mi avvicinava l’altra mano grossa, ispida, callosa, omicida, mi fece un indicibile spavento. Una mattina svegliandosi sa che la notte è stato ucciso un ergastolano che gli aveva rubate alcune salsicce: egli si leva, e con feroce sorriso dice: «Ora manderò l’acquavita a chi lo ha ucciso; ed oggi io mi voglio ubbriacare». E fece quello che disse. Il terzo è un abruzzese di un villaggio presso Teramo, e chiamasi Giovanni. Costui racconta che un signore suo padrone volendo il sangue e la roba di un suo parente che lo aveva offeso, chiamò a sé alcuni briganti che andavano correndo la campagna. Una notte, mandato innanzi esso Giovanni con un asino carico di fieno, gli comandò di picchiare alla porta della casa del parente che era in campagna. Facilmente come a conosciuto gli fu aperto: allora il signore e gli assassini, entrano, uccidono spietatamente undici persone, fra le quali donne che piangevano e pregavano, ed una madre ed un fanciullo di diciotto mesi, rubano tutto, ed appiccano fuoco alla casa. Un giovane benché ferito a morte gettasi furtivamente da una finestra, e vive tanto da nominare alcuni degli assassini, e Giovanni che aveva picchiato. Giovanni, sperando impunitá narra tutti i casi del feroce eccidio, e nomina i compagni: dei quali sei col padrone furono impiccati, egli con altri dannato all’ergastolo, dove è giunto da pochi mesi. Il quarto è un giovane anche abruzzese, il quale dice che avendo poco piú di diciotto anni era sempre battuto ed insultato da un contadino, al quale un suo fratello aveva tolto l’innammorata; e il contadino non potendo offendere il rivale, offendeva lui fratello minore e piú debole. Stava egli però pieno di sdegno e di mala voglia: una notte mentre egli falciava il fieno, un pastore lo avvisa che il suo nemico e percussore era poco lontano: egli corre, e con la falce gli
che legatolo su di un asino, e messogli sul berretto un cartello
dove era scritto: «il famoso Moscariello», lo menarono
prigione in Cosenza. Quando egli una sera narrandomi questi
fatti, mi mostrava le sconce cicatrici ed il braccio inutile,
desiderava vendetta del feritore che è anche nell’ergastolo, e
parlando mi avvicinava l’altra mano grossa, ispida, callosa,
omicida, mi fece un indicibile spavento. Una mattina svegliandosi sa che la notte è stato ucciso un ergastolano che
gli aveva rubate alcune salsicce: egli si leva, e con feroce
sorriso dice: «Ora manderò l’acquavita a chi lo ha ucciso;
ed oggi io mi voglio ubbriacare». E fece quello che disse.
Il terzo è un abruzzese di un villaggio presso Teramo, e
chiamasi Giovanni. Costui racconta che un signore suo padrone volendo il sangue e la roba di un suo parente che lo
aveva offeso, chiamò a sé alcuni briganti che andavano correndo la campagna. Una notte, mandato innanzi esso Giovanni con un asino carico di fieno, gli comandò di picchiare
alla porta della casa del parente che era in campagna. Facilmente come a conosciuto gli fu aperto: allora il signore e
gli assassini, entrano, uccidono spietatamente undici persone,
fra le quali donne che piangevano e pregavano, ed una madre
ed un fanciullo di diciotto mesi, rubano tutto, ed appiccano
fuoco alla casa. Un giovane benché ferito a morte gettasi
furtivamente da una finestra, e vive tanto da nominare alcuni
degli assassini, e Giovanni che aveva picchiato. Giovanni,
sperando impunitá narra tutti i casi del feroce eccidio, e nomina i compagni: dei quali sei col padrone furono impiccati,
egli con altri dannato all’ergastolo, dove è giunto da pochi
mesi. Il quarto è un giovane anche abruzzese, il quale dice
che avendo poco piú di diciotto anni era sempre battuto ed
insultato da un contadino, al quale un suo fratello aveva
tolto l’innammorata; e il contadino non potendo offendere il
rivale, offendeva lui fratello minore e piú debole. Stava egli
però pieno di sdegno e di mala voglia: una notte mentre egli
falciava il fieno, un pastore lo avvisa che il suo nemico e
percussore era poco lontano: egli corre, e con la falce gli