Pagina:Politici e moralisti del Seicento, 1930 – BEIC 1898115.djvu/42: differenze tra le versioni

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LUDOVICO ZUCCOLO
LUDOVICO ZUCCOLO


ampliando il significato della voce «politica», compresero anco
ampliando il significato della voce «politica», compresero anco con essa ogni spezie di ragione di stato.
con essa ogni spezie di ragione di stato.


Maggior difficoltá porta seco il saper ben discernere se la ragione di stato sia parte della politica overo sia arte o facoltá a quella subalternata, come la musica all’aritmetica e l’optica alla geometria, o pur sia in tutto dalla politica diversa. Ma chi bene ricordasi delle cose le quali si sono addietro divisate, potrá agevolmente sciogliere questo nodo. Poiché, sendosi detto che nelle buone republiche la ragione di stato risguarda al bene di chi commanda e di chi ubbidisce, né si discosta dal giusto e dall’onesto, è necessario a concludere ch’ella sia parte della politica, convenendo con esso lei nel soggetto e nel fine. Nelle prave republiche poi, le quali la politica propriamente non si propone per iscopo, non potrá dirsi a modo alcuno che la ragione di Stato sia parte della politica; ma né forse anco si doverá ammettere che sia ad essa subalternata, ché da subalternante buona non è facile a capire come subalternata malvagia derivi. E cosí la ragione di stato, per esempio, del tiranno o dei pochi potenti averanno quella somiglianza con la politica, che l’amore reciproco tra i giovani e le femine del mondo tiene con la onesta e perfetta amicizia. Sí che tra la ragione di stato de’ domini malvagi e la politica non sará altra congiunzione che di somiglianza e di analogia. Perché la ragione di stato fará quello ufficio nelle prave republiche che quella parte di politica, la qual mira all’introdurre ed al conservar la forma, fa nelle buone e rette forme di governo.
Maggior difficoltá porta seco il saper ben discernere se la
ragione di stato sia parte della politica overo sia arte o facoltá
a quella subalternata, come la musica all’aritmetica e l’optica
alla geometria, o pur sia in tutto dalla politica diversa. Ma chi
bene ricordasi delle cose le quali si sono addietro divisate, potrá
agevolmente sciogliere questo nodo. Poiché, sendosi detto che
nelle buone republiche la ragione di stato risguarda al bene di
chi commanda e di chi ubbidisce, né si discosta dal giusto e
dall’onesto, è necessario a concludere ch’ella sia parte della
politica, convenendo con esso lei nel soggetto e nel fine. Nelle
prave republiche poi, le quali la politica propriamente non si
propone per iscopo, non potrá dirsi a modo alcuno che la ragione di Stato sia parte della politica; ma né forse anco si doverá ammettere che sia ad essa subalternata, ché da subalternante buona non è facile a capire come subalternata malvagia
derivi. E cosi la ragione di stato, per esempio, del tiranno o
dei pochi potenti averanno quella somiglianza con la politica,
che l’amore reciproco tra i giovani e le femine del mondo tiene
con la onesta e perfetta amicizia. Si che tra la ragione di stato
de’ domini malvagi e la politica non sará altra congiunzione che
di somiglianza e di analogia. Perché la ragione di stato fará
quello ufficio nelle prave republiche che quella parte di politica, la qual mira all’introdurre ed al conservar la forma, fa
nelle buone e rette forme di governo.


Potrebbe forse alcuno notarmi d’aver piti d’una volta asserito in questo discorso che la ragione di stato de’ buoni governi miri al bene di chi commanda e di chi ubbidisce, con
Potrebbe forse alcuno notarmi d’aver piú d’una volta asserito in questo discorso che la ragione di stato de’ buoni governi miri al bene di chi commanda e di chi ubbidisce, con dire che Aristotele distingue i buoni dai rei governi dal riguardar questi al commodo di chi regge e quegli altri al bene di chi ubbidisce. Sí che queste per dottrina di Aristotele vengono ad essere ultime differenze, le quali rendono diverse le buone dalle prave republiche; però non sará ben detto che ne’ retti governi si abbia l’occhio al bene di chi commanda e di chi ubbidisce. «''Tyrannus enim''», diceva pur Aristotele, «''suam, rex''
dire che Aristotele distingue i buoni dai rei governi dal riguardar questi al commodo di chi regge e quegli altri al bene di
chi ubbidisce. Si che queste per dottrina di Aristotele vengono
ad essere ultime differenze, le quali rendono diverse le buone
dalle prave republiche; però non sará ben detto che ne’ retti
governi si abbia l’occhio al bene di chi commanda e di chi
ubbidisce. «Tyrannus enim», diceva pur Aristotele, «suam, re .r