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Ma se i secoli gotici non ci avessero invidiate le poesie di Alceo, forse l’amor della patria e delle virili virtù suonerebbe più dalla lira di quel capitano odiator de’ tiranni1, di quel che suoni dalle imitazioni di un cortigiano, che lusinga il suo signore confessandogli di essere fuggito dalla battaglia, estremo esperimento degli ultimi romani contro la fazione di Cesare2, e fa aiutatore un Iddio del suo tradimento. È da badare che di tulle quasi le reliquie di Alceo, restate presso Eraclide Pontico ed Ateneo, si trova non dirò l’imitazione, ma la traduzione letterale3 in Orazio. Che si ha dunque a pensare sì d’Alceo come degli altri lirici, de’ quali, quantunque incontriamo rari vestigi, vivono i nomi tuttora e vivranno immortali come le muse? Quasi una intera ode si appropriò Catullo della sventurata Saffo4, imitata ad un tempo da Lucrezio5; ed ho argo-

  1. Quintil., lib. x. Orazio, lib. ii, od. x, vers. 26 e seg. Lib. {sc|iv}}, od. viii, vers. 8, ed altrove.
  2. Lib. ii, od. vii, vers. 14. Lib. iii, od. iv, vers. 27. E ne’ Sermoni.
  3. Paragona fra gli altri lo prime due strofe, od. x, lib. I, e l’ode xv, vers. 5 e seg., con i i frammenti d’Alceo stampati fra’ lirici greci.
  4. Catullo, carmen li, Longino, sezione x.
  5. Lib. III, vers. 153 e seg.