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dal Piemonte e dalla monarchia liberale, cercando di radicare nelle classi dirigenti la convinzione, che non ai dovesse sperar salute per l’Italia dal mazzinianiimo, o dal morattismo e assai meno dai Borboni, ma mio da una più sicura e intima intesa col Piemonte. Non è ancora l’unità, ma è l’egemonia giobertiana, che vagheggia il grande ministro.

A meglio riuscirvi, e a renderai sempre più degno di tanta fiducia, il Gropello seppe penetrare, non solo nella più eletta società napoletana, ma nel circolo di quel conte di Siracusa, uno dei più irrequieti principi frondisti, che la storia ricordi, e marito di una principessa di Savoja Carignano. Il Gropello era divenato l’amico di Giuseppe Fiorelli e di Alfonso della Valle di Casanova, nel cui carteggio famigliare il nome di lui ricorre sovente, come può vedersi da una parte di esso, che pubblico o riassumo, e ch’è a me pervenuto dal mio carissimo Giovanni Beltrani. In quel carteggio si rispecchia nitida e viva gran parte dell’ambiente napoletano di allora. Il giovane diplomatico era persuaso, e i fatti gli dettero ragione, che la dinastia dei Borboni doveva mutare indirizzo o perire; ma una mutazione non sembrava verosimile finché era rivo Ferdinando II; onde il carteggio del Gropello, dorante la malattia del re, assume un’importanza singolare, anche per le circostanze veramente drammatiche di quel periodo. Moriva il maggior tiranno d’Italia, come lo chiamavano i suoi nemici, nel tempo stesso che s’iniziava felicemente in Lombardia, col concorso delle armi francesi, la guerra dell’indipendenza; e Cavour, alleato della rivoluzione, si serviva di questa e della propria diplomazia, per minare i deboli troni dei vecchi principi assoluti della Penisola.