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Sparse il vostro signor, che mai parola
Non pronunciò che vera anche non fosse,
590Che nessun danno ebbe da lui giustizia.
     Tutti que’ saggi allor per timor grave
Che aveano in cor dell’arabo signore,
Giovani e vecchi insiem, sovra quel foglio
Scrisser lor nomi asseverando il falso
595Dir di cotal dagli orridi serpenti.
Ma là sul regio limitar, di doglia
Strido s’intese, d’uom che ad alta voce
Chiedea giustizia. Di Dahàk fu addotto
L’infelice al cospetto, e ai prenci accanto
600Dato un loco gli fu. Ma quel possente,
Con fier cipiglio e corrugata fronte,
Dimmi, gridò, da chi t’avesti offesa!
     Alto diè un grido e per l’arabo prence
Ruppe in lamenti: O re, Kàveh son io
605Che giustizia ti chieggo. Oh! tu mi rendi
Giustizia, o re, che qui correndo venni
E piangendo qui sto con desolata
L’anima mia per te. Che se t’è ufficio
Render giustizia a chi la chiede e implora,
610D’assai crescer dovea la tua possanza
Su questa terra. Ma venìa l’offesa
Da te solo, o signor, sì che nel core
Sempre e sempre per te mi sia confitta
Atroce punta di dolor. Se questo
615Non era il voler tuo perch’io dovessi
Sì gran danno patir, perchè la mano
Stender sui figli miei? Deh! tu li rendi,
Li rendi all’amor mio. Guarda l’affanno
Di me infelice, di cui sempre afflitta
620L’anima resterà. Deh che fec’io?
Che feci, o re? Dillo, se il sai. Ma colpa
Se in me non trovi, a che cercar pretesti
E scuse mendicar? Ben tu riguarda