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Versione delle 22:40, 2 mar 2021

XI, L’estate finiva. Si cominciavano a vedere contadine per i campi, c le scalette contro i tronchi dei frutteti. Adesso con Dino non uscivamo dal prato: c’eran le pere, c’era l’uva, c’era il campo di meliga. Venne la nuova dello sbarco in Calabria. La notte, discus¬ sioni accanite. Il fatto grosso, irreparabile, accadeva. Dimque pro¬ prio nessuno tentava nulla? Dovevamo finire così? L’otto settembre d sorprese che con Gregorio abbacchiavamo le noci. Prima passò sulla strada un autocarro militare, che ululava alle curve e levò un polverone. Veniva da Torino. Dopo un attimo, altro schianto e altro fragore: un secondo autocarro. Ne passarono cinque. La polvere giunse fin tra le piante, nell’aria limpida della sera. Q guardammo in facda. Dino corse in cortile. Sull’imbrunire giunse Cate. - Non sapete? - gridò dalla strada. - LTtalia ha chiesto oggi la pace. Alla radio la voce monotona, rauca, incredibile, ripeteva mac¬ chinalmente ogni cinque minuti la notizia. Cessava e riprendeva, ogni volta con uno schianto di minaccia. Non mutava, non cadeva, non aggiungeva mai nulla. C’era dentro l’ostinazione di un vecchio, di un bambino che sa la lezione. Nessimo di noi disse nulla If per 11, tranne Dino che batté le mani. Restammo sconcertati, come prima al passaggio dei cinque autocarri. Cate d disse che a Torino nei caffè e per le strade radio-Londra sbraitava e grandi crocchi applaudivano. C’era stato uno sbarco a Salerno. Si combatteva dappertutto. - A Salerno? non a Genova? - C’eran cortei, dimostrazioni. - Non si capisce cosa facciano i tedeschi, - disse Cate. - Se ne andranno, si o no? 63 Digitized by v^ooQle