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{{Anno di|{{Sc|Cristo XLI}}. Indizione {{Sc|XIV}}.|{{Sc|Pietro Apostolo}} papa 13|{{Sc|Tiberio Claudio}}, figliuolo di Druso imperadore 1.}}
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{{Centrato|''Consoli''}}
{{Centrato|''Consoli''}}


{{Centrato|{{Sc|Cajo Cesare Caligola Augusto}} per la quarta volta e {{Sc|Gneo Sentio Saturnino}}}}
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Che Caligola fosse in questo anno console per la quarta volta, e deponesse tal dignità nel dì 7 di gennaio, l’abbiamo da {{AutoreCitato|Gaio Svetonio Tranquillo|Svetonio}}<ref>{{AutoreCitato|Gaio Svetonio Tranquillo|Suet.}} in Cajo, cap. 17.</ref>, il quale ancora aggiugne, che egli unì ''i due ultimi consolati'', per essere stato console anche nell’anno antecedente. Secondo il {{AutoreIgnoto|Pagi}}<ref>{{AutoreIgnoto|Pagius}}, Dissert. Hypatic.</ref> ed altri, in vece di ''due'' dovrebbe avere scritto {{AutoreCitato|Gaio Svetonio Tranquillo|Svetonio}} ''tre'', perchè egli entrò console anche nell’anno 39 della nostra Era. Che a lui nel consolato fosse sostituito ''Quinto Pomponio Secondo'' nello stesso dì 7 gennaio, si raccoglie da {{AutoreCitato|Cassio Dione Cocceiano|Dione}}<ref>{{AutoreCitato|Cassio Dione Cocceiano|Dio.}}, lib. 59.</ref>, che per tale il nomina nel dì 24 del suddetto mese, in cui fu ucciso Caligola. E {{AutoreCitato|Flavio Giuseppe|Giuseppe Ebreo}}<ref>{{AutoreCitato|Flavio Giuseppe|Joseph.}}, Antiquit. Judaic., lib. 19, c. 1.</ref> attesta anche egli, che erano consoli ''Sentio Saturnino'' e ''Pomponio Secondo'', allorchè Claudio salì all’imperio. Nei Fasti di {{AutoreCitato|Flavio Magno Aurelio Cassiodoro|Cassiodoro}} consoli dell’anno presente son detti ''Secondo'' e ''Venusto'': e però il {{AutoreCitato|Onofrio Panvinio|Panvinio}} ed altri han portata opinione, che nelle calende di luglio questo ''Venusto'' succedesse a Saturnino. Monsignor {{AutoreIgnoto|Bianchini}}<ref>{{AutoreIgnoto|Bianchin.}} in Anast.</ref>, che non trovò consoli in questo anno, e lasciò scappar l’anno medesimo, per assettare la nuova sua cronologia, difficilmente può sperar seguaci in tale opinione. Erano già pervenuti i Romani alla disperazione, veggendosi governati da un Augusto, se non tutto, almen mezzo pazzo e mezzo furioso, il quale specialmente esercitava il suo furore contro la nobiltà; che angariava con insopportabili {{Pagina Annali|Pagina:Annali d'Italia, Vol. 1.djvu/99|138}}imposte e gravezze i popoli, con inviare non i soliti uffiziali, ma i soldati a riscuoterle; che avea<ref>{{AutoreCitato|Flavio Giuseppe|Joseph.}}, Antiquit. Judaic., lib. 19, cap. 1.</ref> spogliato ogni tempio della Grecia di tutte le lor più belle pitture e statue; che permetteva agli schiavi di accusare in giudizio i lor padroni (cosa inaudita), di modo che lo stesso Claudio, zio paterno dell’imperadore, accusato da Polluce suo schiavo, corse pericolo della vita, e fu obbligato a difendersi in senato; Augusto finalmente, che tutto dì si vedea far delle nove pazzie, indegne d’ogni persona ragionevole, non che di un imperadore. Perciò tutti sospiravano, chi per vendetta del passato, chi per impazienza del mal presente, e chi per timore di peggio nell’avvenire, che la terra fosse oramai liberata da questo mostro. Ma niuno osava. I soldati pretoriani, cioè delle guardie, grosso corpo di gente avvezza all’armi, ed affezionata a Caligola per le frequenti sue liberalità, faceano venir meno il coraggio a chiunque avesse voluto tentare contro la vita di lui. Contuttociò non mancarono persone, che, per proprii riguardi e compassione del pubblico, il quale andava di male in peggio, cominciarono a tramar delle congiure. I principali e più coraggiosi furono ''Cassio Cherea'' e ''Marco Annio Minuciano''. Era il primo uno dei tribuni, cioè dei primi uffiziali delle compagnie pretoriane, uomo di petto e di probità tale, che detestava le crudeltà e pazzie tutte di Cajo; dotato anche di molta prudenza e cautela, e però alto ad ogni grande impresa. Caligola, perchè egli avea poche parole, e parlava con voce languida, il teneva per un effemminato, beffandolo anche bene spesso, come un dappoco, e dato solo alla sensualità; di modo che qualor Cherea andava a prendere il nome per la guardia, ora gli dava quel di Priapo o di Cupido, ora quel di Venere ed altri simili: del che si offese molto Cherea. E buon per lui, che sì vil concetto avea
Che Caligola fosse in questo anno console per la quarta volta, e deponesse tal dignità nel dì 7 di gennaio, l’abbiamo da {{AutoreCitato|Gaio Svetonio Tranquillo|Svetonio}}<ref>{{AutoreCitato|Gaio Svetonio Tranquillo|Suet.}} in Cajo, cap. 17.</ref>, il quale ancora aggiugne, che egli unì ''i due ultimi consolati'', per essere stato console anche nell’anno antecedente. Secondo il {{AutoreCitato|Antoine Pagi|Pagi}}<ref>{{AutoreCitato|Antoine Pagi|Pagius}}, Dissert. Hypatic.</ref> ed altri, in vece di ''due'' dovrebbe avere scritto {{AutoreCitato|Gaio Svetonio Tranquillo|Svetonio}} ''tre'', perchè egli entrò console anche nell’anno 39 della nostra Era. Che a lui nel consolato fosse sostituito ''{{Wl|Q344263|Quinto Pomponio Secondo}}'' nello stesso dì 7 gennaio, si raccoglie da {{AutoreCitato|Cassio Dione Cocceiano|Dione}}<ref>{{AutoreCitato|Cassio Dione Cocceiano|Dio.}}, lib. 59.</ref>, che per tale il nomina nel dì 24 del suddetto mese, in cui fu ucciso Caligola. E {{AutoreCitato|Flavio Giuseppe|Giuseppe Ebreo}}<ref>{{AutoreCitato|Flavio Giuseppe|Joseph.}}, Antiquit. Judaic., lib. 19, c. 1.</ref> attesta anche egli, che erano consoli ''Sentio Saturnino'' e ''Pomponio Secondo'', allorchè Claudio salì all’imperio. Nei Fasti di {{AutoreCitato|Flavio Magno Aurelio Cassiodoro|Cassiodoro}} consoli dell’anno presente son detti ''Secondo'' e ''Venusto'': e però il {{AutoreCitato|Onofrio Panvinio|Panvinio}} ed altri han portata opinione, che nelle calende di luglio questo ''Venusto'' succedesse a Saturnino. Monsignor {{AutoreCitato|Francesco Bianchini|Bianchini}}<ref>{{AutoreCitato|Francesco Bianchini|Bianchin}}. in Anast.</ref>, che non trovò consoli in questo anno, e lasciò scappar l’anno medesimo, per assettare la nuova sua cronologia, difficilmente può sperar seguaci in tale opinione. Erano già pervenuti i Romani alla disperazione, veggendosi governati da un Augusto, se non tutto, almen mezzo pazzo e mezzo furioso, il quale specialmente esercitava il suo furore contro la nobiltà; che angariava con insopportabili {{Pagina Annali|Pagina:Annali d'Italia, Vol. 1.djvu/99|138}}imposte e gravezze i popoli, con inviare non i soliti uffiziali, ma i soldati a riscuoterle; che avea<ref>{{AutoreCitato|Flavio Giuseppe|Joseph.}}, Antiquit. Judaic., lib. 19, cap. 1.</ref> spogliato ogni tempio della Grecia di tutte le lor più belle pitture e statue; che permetteva agli schiavi di accusare in giudizio i lor padroni (cosa inaudita), di modo che lo stesso Claudio, zio paterno dell’imperadore, accusato da Polluce suo schiavo, corse pericolo della vita, e fu obbligato a difendersi in senato; Augusto finalmente, che tutto dì si vedea far delle nove pazzie, indegne d’ogni persona ragionevole, non che di un imperadore. Perciò tutti sospiravano, chi per vendetta del passato, chi per impazienza del mal presente, e chi per timore di peggio nell’avvenire, che la terra fosse oramai liberata da questo mostro. Ma niuno osava. I soldati pretoriani, cioè delle guardie, grosso corpo di gente avvezza all’armi, ed affezionata a Caligola per le frequenti sue liberalità, faceano venir meno il coraggio a chiunque avesse voluto tentare contro la vita di lui. Contuttociò non mancarono persone, che, per proprii riguardi e compassione del pubblico, il quale andava di male in peggio, cominciarono a tramar delle congiure. I principali e più coraggiosi furono ''{{Wl|Q333788|Cassio Cherea}}'' e ''Marco Annio Minuciano''. Era il primo uno dei tribuni, cioè dei primi uffiziali delle compagnie pretoriane, uomo di petto e di probità tale, che detestava le crudeltà e pazzie tutte di Cajo; dotato anche di molta prudenza e cautela, e però alto ad ogni grande impresa. Caligola, perchè egli avea poche parole, e parlava con voce languida, il teneva per un effemminato, beffandolo anche bene spesso, come un dappoco, e dato solo alla sensualità; di modo che qualor Cherea andava a prendere il nome per la guardia, ora gli dava quel di Priapo o di Cupido, ora quel di Venere ed altri simili: del che si offese molto Cherea. E buon per lui, che sì vil concetto avea
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