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questo nome per l’interlocutore non solo per omaggio all’umanesimo, ma per memoria di {{AutoreCitato|Filone di Alessandria|Filone di Alessandria}}, suo grande antecessore nel sincretismo<ref>Il ravvicinamento è giá in {{AutoreCitato|Joseph Solomon Delmedigo|Joseph Salomon del Medigo}}, ''l. c.'' ({{sc|{{AutoreCitato|Hiram Peri|Pflaum}}}}, p. 151)</ref>. Filone di Alessandria si chiamava ebraicamente Jedidjah, che vuol dire «amico di Dio»: e cosí il Filone dell’Abarbanel non è soltanto «l’amante», ma corrisponde esattamente al Teofilo e Filoteo del {{AutoreCitato|Giordano Bruno|Bruno}}. {{type|l=0.1em|Sofia}} è «la sapienza»: né solo la sapienza greca, ma la sapienza dello gnosticismo giudaico, e prima di tutto la sapienza salomonica, perché il suo compito principale è di dubitare. Come donna, apprendiamo via via che essa è estremamente intelligente ma non bella: che la sua bellezza è esclusivamente spirituale. Ella mostra di possedere, almeno quanto la filosofia, anche le arti della civetteria: e giustamente è stato notato che i dibattiti in cui Sofia si nega e Filone protesta il suo disperato amore costituiscono ai ''Dialoghi'' una cornice artistica degna del Rinascimento<ref>{{sc|{{AutoreCitato|Guido De Ruggiero|G. de Ruggiero}}}}, in «Critica», XXV (1927), p. 396.</ref>. Ma piú originale forse, per quanto meno appariscente, è la tessitura stessa della discussione, che pone le basi del futuro dialogo bruniano e spinoziano, poiché si svolge attraverso continui dubbi, negazioni e antitesi, cui Filone si affatica a superare, con un procedimento ben diverso da quello del dialogo platonico, ma non ignoto a chi abbia qualche familiaritá con la scolastica arabo-giudaica (basti rammentare il ''Fons vitae'' di {{ac|Avicebron|Ibn Gebirol}}, ben noto al nostro) e che del resto anche ricorda le sottili contrapposizioni di {{ac|Pietro Abelardo|Abelardo}} e dei grandi Scolastici, divenute qui materia d’arte.
questo nome per l’interlocutore non solo per omaggio all’umanesimo, ma per memoria di {{AutoreCitato|Filone di Alessandria|Filone di Alessandria}}, suo grande antecessore nel sincretismo<ref>Il ravvicinamento è giá in Joseph Salomon del Medigo, ''l. c.'' ({{sc|Pflaum}}, p. 151)</ref>. Filone di Alessandria si chiamava ebraicamente Jedidjah, che vuol dire «amico di Dio»: e cosí il
Filone dell’Abarbanel non è soltanto «l’amante», ma corrisponde esattamente al Teofilo e Filoteo del {{AutoreCitato|Giordano Bruno|Bruno}}. Sofia è «la sapienza»: né solo la sapienza greca, ma la sapienza dello gnosticismo giudaico, e prima di tutto la sapienza salomonica, perché il suo compito principale è di dubitare. Come donna, apprendiamo via via che essa è estremamente intelligente ma non bella: si che la sua bellezza è esclusivamente spirituale. Ella mostra di possedere, almeno quanto la filosofia, anche le arti della civetteria: e giustamente è stato notato che i dibattiti in cui Sofia si nega e Filone protesta il suo disperato amore costituiscono ai ''Dialoghi'' una cornice artistica degna del Rinascimento<ref>{{sc|G. de Ruggiero}}, in «Critica», XXV (1927), p. 396.</ref>. Ma piú originale forse, per quanto meno appariscente, è la tessitura stessa della discussione, che pone le basi del futuro dialogo bruniano e spinoziano, poiché si svolge attraverso continui dubbi, negazioni e antitesi, cui Filone si affatica a superare, con un procedimento ben diverso da quello del dialogo platonico, ma non ignoto a chi abbia qualche familiaritá con la scolastica arabo-giudaica (basti rammentare il ''Fons vitae'' di {{ac|Avicebron|Ibn Gebirol}}, ben noto al nostro) e che del resto anche ricorda le sottili contrapposizioni di {{ac|Pietro Abelardo|Abelardo}} e dei grandi Scolastici, divenute qui materia d’arte.


I ''Dialoghi'' dovevano essere quattro, dedicati successivamente alla definizione e determinazione di amore e desiderio, all’universalitá o comunitá dell’amore, al problema fondamentale della sua origine, infine agli effetti dell’amore. Senonché dopo i tre che abbiamo (''D’amore e desiderio''; ''De la comunitá d’amore''; ''De l’origine d’amore''), invano si desidera il quarto, come invano lo desiderarono i contemporanei<ref name="p434">Dalla dedica (datata 1540) dell’''Institutione di tutta la vita dell’uomo nato nobile'' (Venezia, 1542) di {{AutoreCitato|Alessandro Piccolomini|Alessandro Piccolomini}} a Don {{AutoreCitato|Diego Hurtado de Mendoza y Pacheco|Diego Mendoza}} (lo stesso che poi indusse probabilmente il Montesa a tradurre i ''Dialoghi'' in ispagnuolo), appare che il Mendoza, allora ambasciatore di Spagna a Venezia, molto desiderava il ritrovamento del «Quarto dialogo di Filone e Sofia», o, se non si trovasse, che almeno il Piccolomini lo aggiungesse lui. Questi giudicava che fosse «meglio {{pt|d’aspet-}}</ref>; del suo argomento si ha quasi
I ''Dialoghi'' dovevano essere quattro, dedicati successivamente alla definizione e determinazione di {{type|l=0.1em|amore e desiderio}}, all’universalitá o {{type|l=0.1em|comunitá}} dell’amore, al problema fondamentale della sua {{type|l=0.1em|origine}}, infine agli {{type|l=0.1em|effetti}} dell’amore. Senonché dopo i tre che abbiamo (''D’amore e desiderio''; ''De la comunitá d’amore''; ''De l’origine d’amore''), invano si desidera il quarto, come invano lo desiderarono i contemporanei<ref name="p434">Dalla dedica (datata 1540) dell’''Institutione di tutta la vita dell’uomo nato nobile'' (Venezia, 1542) di {{Sc|{{AutoreCitato|Alessandro Piccolomini|Alessandro Piccolomini}}}} a Don {{AutoreCitato|Diego Hurtado de Mendoza y Pacheco|Diego Mendoza}} (lo stesso che poi indusse probabilmente il {{AutoreCitato|Carlos Montesa|Montesa}} a tradurre i ''Dialoghi'' in ispagnuolo), appare che il Mendoza, allora ambasciatore di Spagna a Venezia, molto desiderava il ritrovamento del «Quarto dialogo di Filone e Sofia», o, se non si trovasse, che almeno il Piccolomini lo aggiungesse lui. Questi giudicava che fosse «meglio {{pt|d’aspet-}}</ref>; del suo argomento si ha quasi
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