Pagina:Boccaccio - Decameron I.djvu/150: differenze tra le versioni

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savio cavaliere che nel reame di Francia trovar si possa: e si come io senza marito posso dire che io mi veggia, cosí voi ancora senza mogliere. Per che io vi priego, per cotanto amore quanto è quello che io vi porto, che voi non neghiate il vostro verso di me e che della mia giovanezza v’incresca, la qual veramente come il ghiaccio al fuoco si consuma per voi. — — A queste parole sopravvennero in tanta abbondanza le lagrime, che essa, che ancora piú prieghi intendeva di porgere, piú avanti non ebbe poter di parlare, ma bassato il viso e quasi vinta, piagnendo, sopra il seno del conte si lasciò con la testa cadere. Il conte, il quale lealissimo cavaliere era, con gravissime riprensioni cominciò a mordere cosí folle amore ed a sospignerla indietro, che giá al collo gli si voleva gittare, e con saramenti ad affermare che egli prima sofferrebbe d’essere squartato che tal cosa contro all’onore del suo signore né in sé né in altrui consentisse. Il che la donna udendo, subitamente dimenticato l’amore ed in fiero furore accesa, disse: — — Adunque sarò io, villan cavaliere, in questa guisa da voi del mio disidèro schernita? Unque a Dio non piaccia, poi che voi volete me far morire, che io voi o morire o cacciar del mondo non faccia. — — E così detto, ad una ora messesi le mani ne’ capelli e rabbuffatigli e stracciatigli tutti, ed appresso nel petto squarciandosi i vestimenti, cominciò a gridar forte: — — Aiuto aiuto, che il conte d’Anguersa mi vuol far forza! — — Il conte, veggendo questo e dubitando forte piú della ’nvidia cortigiana che della sua coscienza, e temendo, per quella, non fosse piú fede data alla malvagitá della donna che alla sua innocenza, levatosi, come piú tosto potè della camera e del palagio s’uscí e fuggissi a casa sua, dove, senza altro consiglio prendere, pose i suoi figliuoli a cavallo, ed egli montatovi altressi, quanto piú tosto potè n’andò verso Calese. Al romor della donna corsero molti, li quali, vedutala ed udita la cagione del suo gridare, non solamente per quello dieder fede alle sue parole, ma aggiunsero, la leggiadria e l’ornata maniera del conte per potere a quel venire essere stata da lui lungamente usata. Corsesi adunque a furore alle case del conte per arrestarlo: ma non trovando lui, prima le rubâr tutte
savio cavaliere che nel reame di Francia trovar si possa: e si come io senza marito posso dire che io mi veggia, cosí voi ancora senza mogliere. Per che io vi priego, per cotanto amore quanto è quello che io vi porto, che voi non neghiate il vostro verso di me e che della mia giovanezza v’incresca, la qual veramente come il ghiaccio al fuoco si consuma per voi. — — A queste parole sopravvennero in tanta abbondanza le lagrime, che essa, che ancora piú prieghi intendeva di porgere, piú avanti non ebbe poter di parlare, ma bassato il viso e quasi vinta, piagnendo, sopra il seno del conte si lasciò con la testa cadere. Il conte, il quale lealissimo cavaliere era, con gravissime riprensioni cominciò a mordere cosí folle amore ed a sospignerla indietro, che giá al collo gli si voleva gittare, e con saramenti ad affermare che egli prima sofferrebbe d’essere squartato che tal cosa contro all’onore del suo signore né in sé né in altrui consentisse. Il che la donna udendo, subitamente dimenticato l’amore ed in fiero furore accesa, disse: — — Adunque sarò io, villan cavaliere, in questa guisa da voi del mio disidèro schernita? Unque a Dio non piaccia, poi che voi volete me far morire, che io voi o morire o cacciar del mondo non faccia. — — E così detto, ad una ora messesi le mani ne’ capelli e rabbuffatigli e stracciatigli tutti, ed appresso nel petto squarciandosi i vestimenti, cominciò a gridar forte: — — Aiuto aiuto, che il conte d’Anguersa mi vuol far forza! — — Il conte, veggendo questo e dubitando forte piú della ’nvidia cortigiana che della sua coscienza, e temendo, per quella, non fosse piú fede data alla malvagitá della donna che alla sua innocenza, levatosi, come piú tosto potè della camera e del palagio s’uscí e fuggissi a casa sua, dove, senza altro consiglio prendere, pose i suoi figliuoli a cavallo, ed egli montatovi altressí, quanto piú tosto potè n’andò verso Calese. Al romor della donna corsero molti, li quali, vedutala ed udita la cagione del suo gridare, non solamente per quello dieder fede alle sue parole, ma aggiunsero, la leggiadria e l’ornata maniera del conte per potere a quel venire essere stata da lui lungamente usata. Corsesi adunque a furore alle case del conte per arrestarlo: ma non trovando lui, prima le rubâr tutte