Pagina:Boccaccio - Decameron II.djvu/273: differenze tra le versioni

 
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e per piú onorarvi quelle quasi ignude v’ha dimostrate, testificando per quello quanta sia la fede che egli ha in voi e che esso fermamente creda voi essere re, e non lupo rapace. Ora, èvvi cosí tosto della memoria caduto, le violenze fatte alle donne da Manfredi avervi l’entrata aperta in questo regno? Qual tradimento si commise giá mai piú degno d’eterno supplicio che saria questo, che voi a colui che v’onora togliate il suo onore e la sua speranza e la sua consolazione? Che si direbbe di voi se il faceste? Voi forse estimate che sufficiente scusa fosse il dire: Io il feci per ciò che egli è ghibellino». Ora, è questo della giustizia de’ re, che coloro che nelle lor braccia ricorrono, in cotal forma, chi che essi si sieno, in cosí fatta guisa si trattino? Io vi ricordo, re, che grandissima gloria v’è aver vinto Manfredi, ma molto maggiore è se medesimo vincere: e per ciò voi, che avete gli altri a correggere, vincete voi medesimo e questo appetito raffrenate, né vogliate con cosí fatta macchia ciò che gloriosamente acquistato avete, guastare. — Queste parole amaramente punsero l’animo del re, e tanto piú l’affiissero quanto piú vere le conoscea; per che, dopo alcun caldo sospiro, disse: — Conte, per certo ogni altro nemico, quantunque forte, estimo che sia al bene ammaestrato guerriere assai debole ed agevole a vincere a rispetto del suo medesimo appetito: ma quantunque l’affanno sia grande e la forza bisogni inestimabile, sí m’hanno le vostre parole spronato, che conviene, avanti che troppi giorni trapassino, che io vi faccia per opera vedere che, come io so altrui vincere, cosí similmente so a me medesimo soprastare. — Né molti giorni appresso a queste parole passarono, che, tornato il re a Napoli, sí per tôrre a sé materia d’operar vilmente alcuna cosa e sí per premiare il cavaliere dell’onore ricevuto da lui, quantunque duro gli fosse il fare altrui possessor di quello che egli sommamente per sé disiderava, nondimen si dispose di voler maritare le due giovani, e non come figliuole di messer Neri, ma come sue. E con piacer di messer Neri, magnificamente dotatele, Ginevra la bella diede a messer Maffeo da Palizzi ed Isotta la bionda a messer Guiglielmo della Magna, nobili cavalieri e gran baron ciascuno: e loro assegnatele, con
e per piú onorarvi quelle quasi ignude v’ha dimostrate, testificando per quello quanta sia la fede che egli ha in voi e che esso fermamente creda voi essere re, e non lupo rapace. Ora, èvvi cosí tosto della memoria caduto, le violenze fatte alle donne da Manfredi avervi l’entrata aperta in questo regno? Qual tradimento si commise giá mai piú degno d’eterno supplicio che saria questo, che voi a colui che v’onora togliate il suo onore e la sua speranza e la sua consolazione? Che si direbbe di voi se il faceste? Voi forse estimate che sufficiente scusa fosse il dire: Io il feci per ciò che egli è ghibellino». Ora, è questo della giustizia de’ re, che coloro che nelle lor braccia ricorrono, in cotal forma, chi che essi si sieno, in cosí fatta guisa si trattino? Io vi ricordo, re, che grandissima gloria v’è aver vinto Manfredi, ma molto maggiore è se medesimo vincere: e per ciò voi, che avete gli altri a correggere, vincete voi medesimo e questo appetito raffrenate, né vogliate con cosí fatta macchia ciò che gloriosamente acquistato avete, guastare. — Queste parole amaramente punsero l’animo del re, e tanto piú l’afflissero quanto piú vere le conoscea; per che, dopo alcun caldo sospiro, disse: — Conte, per certo ogni altro nemico, quantunque forte, estimo che sia al bene ammaestrato guerriere assai debole ed agevole a vincere a rispetto del suo medesimo appetito: ma quantunque l’affanno sia grande e la forza bisogni inestimabile, sí m’hanno le vostre parole spronato, che conviene, avanti che troppi giorni trapassino, che io vi faccia per opera vedere che, come io so altrui vincere, cosí similmente so a me medesimo soprastare. — Né molti giorni appresso a queste parole passarono, che, tornato il re a Napoli, sí per tôrre a sé materia d’operar vilmente alcuna cosa e sí per premiare il cavaliere dell’onore ricevuto da lui, quantunque duro gli fosse il fare altrui possessor di quello che egli sommamente per sé disiderava, nondimen si dispose di voler maritare le due giovani, e non come figliuole di messer Neri, ma come sue. E con piacer di messer Neri, magnificamente dotatele, Ginevra la bella diede a messer Maffeo da Palizzi ed Isotta la bionda a messer Guiglielmo della Magna, nobili cavalieri e gran baron ciascuno: e loro assegnatele, con